Dopo dieci anni siamo tornati a Bassora nel sud dell’Iraq ed abbiamo trovato la città piena di rifiuti, con poca acqua e continui black out. Come nel 2003 ma con miliardi spesi per la ricostruzione del paese. Che ha visto al momento alcuni arricchirsi, tanti farsi mantenere da un sistema statale clientelare e corrotto ed il paese ancora da ricostruire e pieno di ingiustizie, come dimostrano le manifestazioni di massa di inizio 2013. Di quei miliardi spesi molti sono italiani, soldi pubblici, e sono serviti a garantire gli appalti per il petrolio. Molti sono serviti ad alimentare la corruzione intorno ai contratti petroliferi. L’Eni è sotto inchiesta per questo in Iraq. La leggenda narra anche di altri fondi italiani dati per ospedali poi sono finiti nei bordelli. La commissione d’inchiesta del Senato americano parla invece di milioni scomparsi nel nulla e di precise responsabilità.
Ma il paradosso è che la montagna di soldi spesi da tutto il mondo in Iraq non hanno garantito nulla alla popolazione, in un meccanismo molto simile ai fondi per il terremoto dell’Irpinia.
Cosa manca dopo dieci anni? La maggioranza della popolazione ha massimo 6 ore di elettricità al giorno. In uno dei paesi al mondo più ricchi di petrolio. Un iracheno su quattro non ha accesso ad acqua potabile. L’80% dei rifiuti non è trattato e finisce in discariche a cielo aperto. I casi di malformazioni, conseguenza del massiccio uso di armi chimiche ed uranio impoverito durante la guerra, sono in continuo aumento con percentuali simili a quelle di Chernobyl in alcune aree. Il 20% della popolazione è analfabeta a causa delle pessime condizioni del sistema scolastico. Centinaia di migliaia sono le vedove di guerra ed in molte non ricevono alcun aiuto. Il 20% della popolazione è ancora sfollata, in particolar modo i membri delle minoranze sono dovuti fuggire dalle loro case per rifugiarsi in aree sicure dove non rischiano persecuzioni. Il sistema di dighe GAP In Turchia ha diminuito consistentemente il livello del Tigri e dell’Eufrate facendo aumentare di molto la salinità dell’acqua nel sud del Paese. Attacchi e violenze sono sempre all’ordine del giorno. Il paese rimane insicuro.
Ed in questi mesi sono arrivati circa 70.000 siriani in Iraq, alla ricerca di un luogo sicuro dove stare. Gli iracheni sono stati solidali ma da soli non ce la possono fare. Per loro stessi e per i siriani.
Noi di Un ponte per… continuiamo a sostenerli sia per i bisogni umanitari sia aiutandoli a combattere corruzione ed ingiustizie. Il percorso di chi rivendica beni comuni e spazi sociali in Italia in questo senso è molto importante, perché anche gli iracheni chiedono giustizia sociale e la difesa dei loro fiumi come il Tigri minacciato dalle dighe in Turchia, delle loro risorse naturali come il petrolio svenduto al resto del mondo, della loro scuola pubblica distrutta e mai più ricostruita. Chiedono giustizia sociale, come facciamo noi. E la loro esperienza di “democratizzazione” è importante anche per capire cosa sta accadendo in tutto il mondo arabo.
Per raccontare l’Iraq di oggi e ricordare che 10 anni fa in 3 milioni a Roma protestavamo contro la guerra in Iraq ci vedremo il 15 febbraio 2013 alle 17 a La Sapienza, presso il Dipartimento di Studi Orientali di Roma Aula 1 I° piano Via Principe Amedeo 182 b. Ci vedremo per raccontare la guerra del petrolio. E poi la sera alle 21 all’Archivio audiovisivo del movimento operaio in via Ostiense per raccontare anche le persone che queste guerre le subiscono. Convinti che le loro storie siano anche le nostre.
Domenico Chirico, Un ponte per
Lascia un commento