C’è chi pensa che non siano sufficienti finora le letture femministe della pandemia, proprio ora che i corpi sono al centro di decisioni a qualsiasi livello. Certo, alcune analisi hanno mostrato come la pandemia abbia ulteriormente penalizzato la vita delle donne e aumentato le violenze in tutte le loro forme, ma anche come il covid sia per alcuni aspetti una crisi della cura. E rispetto al green pass? E sul bisogno di riappropriarsi della medicina? E sui diversi dispositivi autoritari approvati, soprattutto in Italia? Un contributo di Nicoletta Cocchi, ricercatrice e traduttrice femminista
Da due anni m’interrogo come molte altre su quello che sta accadendo alle nostre vite e alle scelte che siamo chiamate a fare sui nostri corpi cercando di darmi risposte posizionate, incarnate, alias femministe. Fin dall’inizio dell’emergenza ho cercato di non oppormi aprioristicamente alle difficili scelte dei nostri governi, ma di fronte ai tanti divieti, prescrizioni, recinzioni e gabbie fisiche e mentali che si alternavano a misure di allentamento per poi tornare con una presa sempre più totalitaria sulle nostre vite, il mio atteggiamento è cambiato. Ogni mia previsione, anche la più distopica, si verificava regolarmente.
Allora come oggi mi guardo intorno, m’informo cercando fonti attendibili, parlo e discuto con vicine/i, amiche femministe e non, dosando le parole in acrobatiche conversazioni per non infilarmi in contrapposizioni prive di soluzioni, cerco dati, prove, tento ragionamenti. Quando, non più tardi di qualche mese fa, la presunta nuova normalità sembrava essersi imposta, ho avuto la certezza che qualcosa si era irrimediabilmente rotto, e gli ultimi decreti che entreranno in vigore in questi giorni mi danno la conferma che così è. Sono tra coloro che hanno scelto di non vaccinarsi, dunque non partecipo a convegni, incontri in librerie, non frequento biblioteche e nemmeno più l’associazione di donne che ho frequentato per anni, e naturalmente non vado al ristorante e al cinema. Ma a parte il cambiamento di stile di vita è la strana natura dei problemi che si affacciano alla mia mente a essere cambiata: che faccio se verranno a rovistare nella mia spesa, se, come molto probabile, non potrò più ritirare denaro col bancomat, se la mia tessera sanitaria non sarà compatibile con i requisiti richiesti, se se se. Un atavico fatalismo e una buona dose di speculative fiction mettono di solito a tacere questi sinistri mormorii della mente.
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Se pur virtualmente mantengo rapporti con alcune donne con cui scambio ragionamenti, visioni, analisi, cercando di fare rete con altri sporadici collettivi femministi. Non ho smesso tuttavia di cercare voci di donne, femministe, radicali e non, che mi aiutino a capire. Cerco in qualche modo una complicità nel dissenso contro la deprimente stagnazione di pensiero. Non lo trovo, se non molto raramente. Trovo invece interessanti ed elaborate analisi su come la pandemia abbia ulteriormente penalizzato la vita delle donne e aumentato le violenze in tutte le loro forme, su come il covid sia una crisi della cura e come abbia messo in luce tagli, privatizzazioni, riduzione dei servizi, mercati scellerati, povertà e tutte le disuguaglianze delle politiche liberiste. E come abbia evidenziato la crisi climatica che ci sta mandando al collasso. Leggo anche che la medicina di genere si sta molto interrogando riguardo i diversi effetti vaccinali sui nostri corpi. Molti sono i convegni sul tema della cura, le pubblicazioni non si contano. La nostra società è stata abbandonata all’incuria . Come negarlo? Tuttavia, non una parola, un dubbio, un interrogativo sul discorso medico scientifico tout court e le politiche emergenziali per la salute pubblica che da due anni ridisegnano le nostre libertà e i nostri diritti, non un cenno alle possibili terapie alternative ai vaccini, nessuna ombra sull’effettiva validità del siero e sui rischi delle ripetute inoculazioni, nessuna perplessità su come vengono elaborate le statistiche, nessuna domanda sulla super carta verde che da questa settimana impedisce alle terrapiattiste come me di andare alla posta o in banca, ma se tutto va bene a fare la spesa – oggi leggo solo beni di prima necessità -, e entrare in farmacia per comprare i farmaci consentiti e approvati dal ministero della salute. Né tantomeno trovo un accenno sull’incompatibilità con il nostro ordine costituzionale dei continui decreti emergenziali o lo svuotamento delle nostre cosiddette democrazie. E ancora, nessuna solidarietà verso chi non si piega a qualsivoglia ricatto ed è sospeso dal lavoro. Ma mi fermo qui per non scadere nell’ovvietà di una pericolosa propaganda antivaccinista.
Quando ancora non erano vietate le manifestazioni, in molte città tra cui Bologna dove abito, erano state indette manifestazioni NUDM contro il sistema patriarcale sanitario. Ho pensato beh finalmente qualcosa si muove, decido di andare. M’incammino verso la piazza e incrocio la manifestazione e anche quella per il cambiamento climatico. Belle, colorate, festose, con coreografie degne dei migliori palcoscenici. Non si manifestava per l’autodeterminazione dei propri corpi e la libera scelta su come curarli, si manifestava per il riconoscimento della vulvodinia, l’endometriosi e la neuropatia del pudendo e il dolore pelvico. Non che non siano questioni importanti trascurate dal sistema medico e che colpiscono un gran numero di donne, pardon, persone assegnate femmine alla nascita, AFAB la nuova sigla, ma mi sembrava che scendere in piazza per contestare il sistema sanitario patriarcale potesse avere altre priorità in questi giorni. Chessò, la materialità di un corpo che nelle scienze mediche evapora sempre più in un flusso di dati, i nessi tra scienza e profitto, il dominio di un modello medico-scientifico unidemensionale che si pone come necessario e giusto, un sistema di controllo sempre più invasivo e molecolare del nostro stato di salute da parte dello Stato, il famigerato biopotere foucaultiano sbandierato in tutte le salse dalle più accreditate analisi critiche femministe, quelle cose lì. Che l’ultimo successo del femminismo sia che non ne abbiamo più bisogno, come qualcuna dice? Eppure, la riappropriazione della medicina – penso ai gruppi di medicina e salute delle donne – e l’autodeterminazione del proprio corpo, insieme alla critica delle istituzioni mediche, sono state esperienza politiche fondamentali, se non fondanti, dei primi femminismi; così come l’epistemologia della scienza femminista, che mettendo in discussione la neutralità e l’universalità del canone scientifico ne svelava il carattere storicamente maschile, fu fondamentale nell’aprire orizzonti diversi ai femminismi successivi.
A pochi metri di distanza, la manifestazione no green pass del sabato. M’infilo nel corteo grigio e monotono scandito dalla litania salmodiante del nogreenpassnogreenpass intercalato dal canto di gente-come-noi. Gente che si stringe nei cappotti e diffuso senso di frustrazione nell’aria. Gente senza nome e come in prestito alla piazza, moderno lumpenproletariat che deborda da qualsiasi classificazione o soggetto politico conosciuto. Inedita lotta di classe? Forse. Certamente gente che ha paura, una fottuta paura di quello che il capitale gli può fare, e che già ha cominciato a fare. Sono a disagio, non so se sono gente come loro, ma resto, devo metterci la faccia.
Oggi è qualche mese dopo, accendo la tv e una virstar dice che il nostro sistema immunitario potrebbe alla lunga non essere contento di così tante inoculazioni, in ogni caso se dovremo farne una quarta o quinta o anche una sesta la faremo. Un’altra virstar dice che sì, forse non tutto è stato regolare nel conteggio dei morti, spesso anche chi entrava in ospedale in fin di vita per un incidente d’auto o per ictus veniva registrato tra i decessi per covid. Si indignerà la conduttrice, penso tra me e me, si alzerà sulla sedia la giornalaia di turno, succederà pur qualcosa. Niente, la trasmissione continua nella raccapricciante indifferenza degli invitati.
Ma non voglio addentrarmi nei meandri del circo mediatico e nemmeno in quello emergenziale dei decreti che stanno trasformando questo paese in un avamposto del baraccone global-patriarcale, né tantomeno nel circo delle evidenze sempre più numerose che non possono non far dubitare delle continue crepe gestionali di questa pandemia. Qualcuno ha cominciato a parlare anche tra i commessi dello Stato nei media mainstream, per ora sottovoce, in modo contraddittorio, ma forse proprio per questo chi ha orecchi per intendere dovrebbe interrogarsi e ragionare, aprire le crepe e non temere la crisi d’autorità delle scienze che queste lasciano intravedere. Lo deve fare per lasciare spazio alla varietà dei punti di vista della scienza, non solo quelli maggioritari ma anche quelli che rispondono a saperi minori, senza avere la pretesa di possedere la conoscenza assoluta e oggettiva della realtà. E chiedersi quali siano le forze in campo che determinano la direzione vincente. Lo deve fare anche per dare una chance alla propria vita, una chance di cui al momento non crede di avere bisogno perché premiato dalla scelta (non giudico se giusta o sbagliata) del proprio allineamento, ma di cui domani potrebbe rammaricarsi di fronte al prevedibile rinforzo di dose (e non solo di vaccino) di ricatti e sottomissioni. La mia impressione è che la carta verde non sia uno strumento sanitario ma politico-finanziario, così come lo storytelling della ricaduta della colpa del contagio su una parte di popolazione non allineata il capro espiatorio che mette a tacere i mille interessi delle politiche di ristrutturazione del capitale. Le pestilenze da sempre generano l’untore di turno, gli ebrei nell’Europa della metà del trecento, i roghi delle streghe nei due secoli successivi. Sempre le stesse donne, gli stessi vagabondi, gli stessi eretici, stranieri, medici-stregoni, gli stessi diversi. Le pestilenze sono ghiotte occasioni di cambiamento sociale e politico, comodi dispositivi di liberazione dai corpi non graditi, non più utili, furbeschi spartiacque tra un primo e un dopo. Fu così per l’Europa nel passaggio cruciale dall’ordine feudale a quello mercantilistico-capitalista, lo sarà anche questa volta. Verso cosa non si sa, ma i segnali che s’intravedono all’orizzonte non sembrano presagire nulla di buono.
Il re è nudo, vecchio e impotente, e pateticamente ridicolo anche, in quel voler a tutti i costi reinventarsi nel sogno prometeico di plasmare la propria e altrui materia. Un blasfemo istinto di conservazione patriarcale che ci sta trascinando in un vortice senza via d’uscita, e più il Patriarca reitera i tentativi di autoconservazione più porta a galla le radici dei valori, delle dinamiche e dei costrutti di questo modello di “civiltà”. Che, ricordiamolo, è la “civiltà” di una formazione sociale tra le altre, e che per quanto pervasiva non è l’unica. Oltretutto è anche abbastanza recente, solo 4, 5.000 anni di vita. Certo, tragicamente resistente ma non eterna.
L’ultimo secolo del movimento delle donne – perché certamente molti altri ce ne sono stati nel corso del tempo – ha dato vita a forme di resistenza nell’enunciazione e nelle pratiche, sgretolando le forme simboliche e le immagini del modello egemonico del pensiero e della coscienza umana. La messa in discussione del potere da parte delle donne – il nostro “non essere d’accordo col mondo” – da sempre passa attraverso delle politiche del corpo, politiche della vita. Ci sono passate le baccanti, le gnostiche e le streghe, le suffraggiste e le femministe radicali di ogni specie. Il femminismo degli ultimi sessant’anni, con le sue pratiche politiche dell’essere in presenza nella relazione con le altre, ha dato vita a saperi corporei radicati affinché ci liberassimo dalle linee di potere, anche interiorizzate, che ci normano e gestiscono. Attraverso queste pratiche di scambio, dove i corpi si espongono gli uni agli altri col loro portato di affettività, parola e differenza di esperienza, il soggetto non si pone come sovrano assoluto ma come essere-in-relazione, e da lì fonda il suo agire politico. Dunque, il corpo, è già dimensione politica. A partire da qui si potrebbero aprire molti discorsi per confrontarsi con le politiche dei corpi a cui oggi siamo assoggettate.
Il femminismo silente di questi giorni mi fa pensare che si stia facendo piazza pulita di decenni di pratiche politiche dei corpi “a partire da sé” e, più in generale, degli orizzonti di libertà, desiderio e trasformazione trasmessi dai movimenti delle donne. Una perdita di memoria, visioni e autodifese che ci appiattisce su uno sguardo da nessun luogo e che ci preclude qualsiasi minimo tentativo di pensiero, critica e risposte alternative. Ma spero non sia così, spero che tutte, sotterraneamente, stiano riflettendo, confrontandosi in qualche gruppo o collettivo, o interrogandosi da sole per poi uscire allo scoperto, ognuna col suo posizionamento.
Ho tra l’altro l’impressione che nell’emergenzialismo imperante anche l’etica della cura e del bene comune, le sole proposte da più parti avanzate dalle donne, siano un ritornello controproducente per le nostre vite e che servano al massimo a tenere in piedi un mondo che ci ha già per troppo tempo affaticate. Oggi sappiamo di poter fare meglio e di più con altre sapienze, altre forme di relazione, altre etiche. Non è certo tempo di manifesti, forse più di qualche bozza di idee, nuove e coraggiose e prudentemente ottimiste, con cui immaginare nuovi territori, habitat, comunità, e soprattutto tanta disponibilità a imparare facendo. Senza alcuna pretesa di voler “costruire dei mondi” da zero, eppure vederli nascere ogni volta che cambiamo i modi in cui ci organizziamo, non come siamo organizzate/i dallo Stato.
Per concludere, voglio portare l’esempio di un momento felice del femminismo nostrano, uno tra i tanti, ma che potrebbe esserci d’aiuto per riprendere il filo di certi discorsi, quando l’incidente di Chernobyl spinse le donne a interrogarsi su cosa stesse succedendo. Nacquero allora molte riflessioni sociali sulla scienza, a mio parere ancora molto attuali, sulla cultura del rischio e il senso del limite rispetto ai concetti di sviluppo, progresso, tecnoscienze e ai loro rapporti con il mercato e gli interessi del capitale piuttosto che con il benessere delle persone. Oltre alle questioni messe in campo allora, bisogna ora mettere le mani in pasta sia negli autoritari dispositivi di assoggettamento sia nei sistemi normativi interiorizzati di quella che a breve sarà la post-normalità. Non farlo equivale a piazzarsi in una comfort zone che nulla sposta. Ciò richiede di abbandonare la paura stando centrate nei nostri corpi in relazione, e coltivare ancora l’amore della libertà, della vita, della gioia. A volte può essere contagiosa.
Patrizia Fausti dice
Non concordo con questa analisi. Trovo fuorviante l’accostamento delle lotte femministe con il presunto regime dittatoriale sanitario. La scienza e la medicina valgono ed hanno avuto in passato e continuano ad avere oggi il loro peso fondamentale e necessario nello sviluppo e nell’evoluzione sociale, culturale e civile.
Daria dice
Meravigliosa. Grazie. Il silenzio delle femministe sul tema della libera scelta vaccinale e del green pass obbligatorio mi ha suscitato un grande senso di smarrimento e delusione. Ripartiamo da qui, con riflessioni su quanto accaduto e su cosa possiamo fare. “Il mio corpo è dimensione politica.” – grazie, serve ricordarlo.
Lisa dice
Forse proprio in quanto donne, cara Patrizia, sarebbe tempo di far capire che Le Scienze e le Scienze Mediche contano, non LA scienza e LA Medicina univoca che mette a tacere ogni ragionevole dubbio.
Le Scienze contano, è vero. Chi scrive il contrario? Non certo questo articolo in cui si invita a ben altro. Non temere la crisi di autorità. Salutare con favore chi accoglie dubbi sani e fecondi.
‘ aprire le crepe e non temere la crisi d’autorità delle scienze che queste lasciano intravedere. Lo deve fare per lasciare spazio alla varietà dei punti di vista della scienza, non solo quelli maggioritari ma anche quelli che rispondono a saperi minori, senza avere la pretesa di possedere la conoscenza assoluta e oggettiva della realtà’
È scritto in questo articolo.
Marco dice
Che strano… avevo notato anche io questo silenzio femminista sul tema della imposizione vaccinale sul proprio corpo; ma, da maschio, mi sono detto “è chiaro che non capisci nulla di queste cose, sei maschio…” e quindi mi sono ben guardato dal fare questa domanda ad amiche per non ricevere insulti e improperi. Come l’autrice, noto la stessa apatica mancanza di reazione, nei media o fra le amicizie/conoscenze, di fronte a contraddizioni che dovrebbero far scattare almeno un campanellino d’allarme. Niente. Non so. Sarà che ci si abitua in fretta a qualsiasi cosa, sarà un meccanismo di difesa della mente di fronte a fatti incomprensibili.
Mi ricordo di aver letto, parecchi anni fa, un fumetto (non ricordo assolutamente, il titolo, l’autore…) su di un reame fantastico, il cui re si divertiva ad emanare continui editti insensati. Mi ricordo una striscia in cui un personaggio diceva ad un altro “Il Re ha appena emanato una nuova legge”, e l’altro: “E cosa dice questa legge?” La risposta del primo: “E’ vietato indossare un cappello ornato di fiori e frutta, in un teatro affollato, nei giorni dispari”. Il potere ha la forza di emanare editti, quali che siano, e la usa.
Samantha dice
Meravigliosamente detto. Grazie compagna
Manuela dice
Grazie per la riflessione che mi fa sentire meno sola in questa realtà assurda, da donna e da cittadina “pensante”.
Valentina dice
Mi dispiace che non puoi più partecipare a convegni e conferenze, sono distrutta….magari si potrebbe manifestare per tutte quelle donne stuprate in Italia a cui i giudici contestano il modo di vestire…ma questo, per fortuna l’ha fatto la corte europea denunciando l’Italia per questo schifo…poi guarda di fronte a cotanta intellettuale insofferenza verso un regime restrittivo che vi blocca nelle vostre battaglie e non vi permette di essere decisive io alzo le mani. Per quanto riguarda il tono vittimistico e pleonastico di questo squallido articolo ti do un consiglio sicuramente non richiesto: meno linguaggio da supercazzola tipo collettivi anni settanta e più concretezza per favore che magari vi capisce pure la signora Pina la cui figlia è stata molestata da un insegnante e non sa dove sbattere la testa perché nessuno le dà retta.
Alex dice
Avere la libertà di scrivere un’articolessa di millemila righe in pieno contrasto con le decisioni governative è esclusivo delle democrazie. Perciò non sarei così pessimista come la scrivente. Con argomenti forti e inattaccabili, distanti dalle ideologie agée, anche chi teme le restrizioni e gli obblighi imposti – che la maggioranza ha però dovuto osservare per arrivare all’attuale abbassamento dei contagi -, può essere ascoltato. Ma, finché le dimostrazioni di dissenso verso le decisioni del potere centrale verteranno sulla libertà di vaccinarsi o meno contro un virus pandemico, ogni azione di pressione sulle istituzioni non avrà seguito. Perché, purtroppo, ogni argomento decade quando dall’ambito particolare del singolo diritto del singolo individuo, si passa a considerare che da due anni viviamo in un periodo storico che verrà ricordato come una ecatombe mondiale di decessi causati dalla stessa malattia
Tundra dice
Un grazie di cuore per questo articolo, che per inciso non trovo affatto vittimista e nemmeno pessimista. Lo girerò ad un’amica femminista con cui per trent’anni ho condiviso pratiche e visioni critiche della scienza patriarcale, e con la quale sono invece ora in conflitto da mesi, senza riuscire a trovare le parole per un confronto vero.
Marina Mantini dice
Sarebbe interessante avere dei riferimenti bibliografici sulle riflessioni interessanti che scaturirono da Chernobyl, grazie in anticipo per le info
monica dice
Grazie per questa riflessione
Nicoletta Crocella dice
Grazie! Ci penso da parecchio! Ai tempi di Cernobyl e poco dopo, furono i libri e l’incontro con Elisabeta Donini, che di scienza ne sapeva ben più di tanti che cianciano, che dalla sua scelta di passaggio alla filosofia della scienza riuscì a trasmettere e mettere in crisi la fiducia cieca nel potere della scienza senza contestualizzarla Posso consigliare a chi chiede dei testi del periodo di rintracciare La Nube e il Limite di Elisabbetta Donini, che è una pietra miliare io credo della riflessione sulla scienza .
Leggendo i commenti, quelli indignati, quelli fideistici sul vaccino eccetera, mi rendo conto che la comunicazione della paura è quella che ha funzionato di più, e ha posto barriere fisiche, ma anche di pensiero che sarà molto difficile scavalcare e accantonare.
Betty Argenziano dice
Anche io sono per l’autodeterminazione sui nostri corpi, e siamo molte femministe a dirlo fin dall’inizio. Il problema èche non esistiamo come entità politica. Dobbiamo trovare il modo di contarci, organizzarci, sistematizzare questo pensiero profondamente femminista e anti-patriarcale.
Sirya dice
Grazie Nicoletta! Cominciavo a temere di dover rinunciare anche alla lettura di Comune.info, dopo aver spento l’amatissima Radio3. Una lagna monocorde, mentre su tutte noi, sulle nostre figlie, sulle nostre madri si abbatteva l’obbligo di prestare i nostri corpi alla sperimentazione. Necromedicina, l’ha chiamata Mary Daly nel suo Quintessenza, ahime premonizione avveratasi di come il neo-liberismo patriarcale si abbatte sul mondo. Oggi leggevo i dati sulla mortalità annuale in Italia dell’Istituto Superiore della Sanità: nel 2020 nel Centro Sud la mortalità é di circa – 4% rispetto al triennio 2017/2019: qualcosa non torna, no? qualcuno dovrà rispondere… Da donna e femminista non vivevo felice contenta prima, figuriamoci adesso. Tuttavia mi dico che forse una scossetta ci voleva, per tirarci fuori dalla confort zone, dove il dibattito politico delle donne mi sembrava da tempo assai arenato (i femminicidi sempre in crescita, la disparità salariale ancora lì, inamovibile,…). Ci si è concentrate molto sull’autodeterminazione dei corpi, il femminismo ha sostenuto il riconoscimento dei movimenti LGBT. Oggi io non sono più una donna, sono una Cis… tanto per fare un esempio… eppure oggi in questa società così avanzata e democratica, sono una paria, perchè autodeterminare il mio corpo (di Cis ahahah), decidendo cosa inocularmi e cosa no, è diventato una colpa da espiare con l’esclusione – con l’invisibilizzazione (invisibile agli occhi di colleghi e allievi, che a un certo punto sparisci e nessuno si fa due domande, o ti fa due domande). Potrei dire tanta sofferenza… ed invece dico Che Liberazione! Oggi sono più libera di prima per lottare, per incazzarmi, per creare nuovi e più autentici legami, per riattivare visioni e sogni fuori dal patriarcato e dalla necromedicina e dalla scienza fideistica. Quante persone meravigliose che si lasciano riconoscere, di provenienze diverse, con storie diverse, con sogni che nell’urgenza si possono realizzare. Urgenza di voltare pagina da un mondo di dame e damerini che anche quando fanno antagonismo e critica politica, in realtà fanno solo minuetti. Cara Nicoletta, è stato stimolante leggerti, grazie
Alda dice
Grazie.
IL CORPO E’ MIO E LO GESTISCO IO vale ancora, non dimentichiamolo.
Floriana Campanozzi dice
“IL CORPO È MIO E ME LO CURO IO”
pensavo ingenuamente che potesse bastare per contrapporsi all’assurdo
diktat del Governo nel proporre poi obbligare la popolazione ad una cura unica. Che assurdità!!!
Come se un mattino scoprissimo che tutti i gatti sono diventati neri, i tulipani tutti gialli, le rose tutte rosse, le farfalle tutte bianche e gli umani tutti rasati e con una tuta grigia vagamente cinese.
È un sogno, anzi un incubo, no è il film “1984” tratto dal libro di Orwell che chissà perché ci è tornato in sogno.
Comunque anche io sono rimasta molto addolorata che le donne di sinistra, le amiche femministe con le quali abbiamo sfilato avvolte nelle bandiere arcobaleno anni e anni ora siano lì “pancia a terra” ai piedi del Drago a fare le fusa al lucertolone. Trentanni di battaglie, sorellanze, ideali, lotte… buttate alle ortiche. Boh, magari si invecchia.