Il documentario Salvador Allende, vive en la memoria di Patricio Guzmán restituisce pienamente la figura del presidente cileno e il suo tentativo di dare speranza al Cile. Frutto di una produzione internazionale, il documentario è distribuito in Italia da ZaLab: è possibile vederlo sulla piattaforma streaming ZALAB VIEW, insieme ad altri settanta titoli che raccontano storie di tutto il mondo e di tutti i mondi
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Patricio Guzmán è il padre del documentario cileno: legato a vita all’esperienza della presidenza Allende e al sanguinoso colpo di stato militare cileno, Guzmán fu imprigionato nell’Estadio Nacional della capitale Santiago, da cui riuscì ad uscire per recarsi direttamente in esilio a Parigi, città dove ancora oggi vive. Come il regista, anche i suoi materiali cinematografici arrivarono in Europa grazie a uno zio di Guzmán, che li conservò in un baule inviato su una nave che partiva per il Vecchio Continente. Grazie a questa prontezza di fuga umana e filmica, Guzmán potè impegnarsi a diffondere, come meglio sapeva, la storia civile e politica di Salvador Allende, del paese che come presidente stava provando a realizzare, del golpe che uccise i sogni e le speranze del popolo cileno.
L’opera Salvador Allende, vive en la memoria è frutto di una produzione internazionale e distribuita in Italia da ZaLab, e come documentario è vincitore di premi in tutto il pianeta; è possibile vederlo sulla piattaforma streaming ZALAB VIEW – partecipa al cinema che cambia, insieme ad altri 70 titoli documentari che raccontano storie di tutto il mondo e di tutti i mondi.
Il documentario Salvador Allende restituisce pienamente la grande figura del presidente cileno e il tentativo di dare speranza al suo paese; realizzato e prodotto nel 2004, il documentario si avvarrà anche di quei materiali che sopravvissero al golpe militare, proprio come accadde al regista. La figura di Allende è narrata dalla nascita, avvenuta in una famiglia colta, borghese e progressista, che accompagnò la vita politica del giovane medico: sua sorella Laura condivise con Salvador le stesse scelte politiche e di governo, per cui fu incarcerata due anni dalla dittatura militare, morendo poi a Cuba in esilio. La storia prosegue sovrapponendo le immagini del passato alle interviste dei testimoni dell’epoca, dando voce anche a chi si oppose e lottò per fare la Storia.
Il documentario si concentra sulla presidenza tra il 1970 e il 1973, fino al golpe dell’11 settembre: Allende fu sempre attento al destino delle classi proletarie e lavoratrici, sin da quando, studente e poi giovane medico, partecipò alla nascita del partito Socialista cileno ed esercitò la professione sanitaria negli ambulatori pubblici della sua città, Valparaíso. La scelta di impegnarsi nella politica istituzionale per migliorare le sorti del suo popolo, porterà il giovane medico ad essere prima perseguitato, poi deputato, ministro, senatore della Republica de Chile, costruendo, nell’arco di più di vent’anni, la possibilità di realizzare la Republica Socialista, primo esperimento al mondo nel coniugare democrazia e socialismo. Attento a quanto stava succedendo in America Latina (Allende era amico di Fidel Castro e Che Guevara, fu molto affascinato dalla Rivoluzione Cubana), il presidente era consapevole dell’opposizione fascista di parte della sua gente, sotto l’inquietante ombra della CIA statunitense, di Nixon e di Kissinger.
Allende costruì, passo dopo passo, un cammino che fece sempre con il popolo cileno, che lo amava sinceramente e credeva in lui. Proprio il popolo lo acclamò in tutto il paese, una volta eletto presidente nazionale, proposto dall’ampia Unidad Popular che portava la sinistra cilena alla maggioranza parlamentare, con l’appoggio della Democrazia Cristiana che poi lo tradirà, con i militari. Guzmán utilizza le sue immagini d’epoca, in cui schiere di uomini e donne di tutte le età accolgono il presidente Allende ovunque si recasse, “una sociedad entera en estado amoroso” verso un destino che finalmente la voleva protagonista. Realizzò le promesse elettorali, nazionalizzando le miniere e le banche, espropriando i latifondi e dando la terra ai contadini, bloccando i prezzi e aumentando i salari; avvertì sempre pubblicamente che stava preparando il suo popolo a un futuro duro che, però, avrebbe costruito un Cile migliore. Come racconta uno dei testimoni intervistati nel documentario, Allende si preoccupava delle persone comuni, della comunità, ed era la prima volta che la politica partiva davvero dal basso, dal popolo in carne e ossa.
La figura limpida di Salvador Allende emerge in tutto il racconto, pur nelle drammatiche avversità che porteranno i militari alla sollevazione armata anticostituzionale: ne fu protagonista proprio quel generale Pinochet su cui il presidente aveva confidato, appena il mese prima del golpe, proprio per scongiurare la ribellione militare. Allende porterà ovunque, dentro e fuori il Cile, l’importanza dell’esperienza che stava facendo, cercando di creare una società nuova, democratica e protagonista; il suo discorso all’Onu, nel 1972, attaccava direttamente le multinazionali statunitensi, esplicando le terribili conseguenze per le popolazioni, esattamente come poi si è realizzato nel mondo liberista. Non a caso, lo stesso ambasciatore statunitense dell’epoca, Edward M. Corry, dichiara candidamente che il presidente Nixon aveva chiesto dal 1970 di non permettere ad Allende di realizzare la sua carica. Non è un mistero, infatti, che gli Stati Uniti intervennero, direttamente ed indirettamente, sui processi politici di molti stati nel difendere i propri interessi geopolitici ed economici. Come riporta l’ambasciatore Corry, gli Usa condizionarono anche l’Italia a partire dal 1948, sovvenzionando la Democrazia Cristiana di De Gasperi contro il Pci, e lo stesso fecero in altri paesi, tra cui il Cile.
Guzmán mostra come il popolo fu partecipe, soffrì e si schierò nel sostegno al medico socialista e alle sue aspirazioni, lottando e realizzando le profonde trasformazioni politiche ed economiche che la Unidad Popular proponeva per il Cile; allo stesso tempo, nel racconto sono presenti anche l’odio e la spietatezza contro il comunismo, che portò il paese alla crisi economica antecedente il golpe: quella borghesia che appoggiava le multinazionali straniere, a cui Allende stava togliendo ricchezza e profitto a favore del popolo, si schierò e tacque durante la presa del Palazzo Presidenziale della Moneda e durante tutta la dittatura.
Sarà quella stessa borghesia che depredò e saccheggiò la casa personale del presidente, a Valparaíso, rubando quanto possibile tra i resti fumanti della costruzione: l’aviazione golpista bombardò anche la residenza di Allende, pur sapendo che lui non era presente, costringendo la moglie Hortensia Bussi a salvarsi fuggendo dai vicini e senza prendere nulla dalla sua casa. Sempre la dittatura obbligò la vedova di Allende, il giorno dopo la sua morte, ad assistere all’interramento del corpo del marito, senza far porre nessun segno su chi era, ufficialmente desaparecido fino al 1975; Hortensia Bussi lottò da allora contro i generali cileni, per tornare a morire in patria dopo un lungo esilio.
La fine drammatica di Allende si realizzò per la sua scelta di non abbandonare il popolo: rifiuterà di andare in esilio e si sparerà per non cadere prigioniero dei golpisti, dopo aver costretto i suoi ad arrendersi ed uscire dalla Moneda incendiata. La volontà di Allende era di scongiurare la guerra civile, cercando l’appoggio, poi tradito, dei militari; la scelta di non armarsi non permetterà la risposta del popolo al golpe, che pure si interrogò su cosa fare. Come raccontano diverse interviste, non era possibile opporsi a livello militare, e le persone che partecipano al documentario mostrano chiaramente la sofferenza di non aver potuto salvare Allende e se stessi.
Dopo ci furono quindici anni di dittatura militare che portò alla sospensione del processo democratico e all’impoverimento della popolazione; tra 30.000 e 40.000 persone furono le vittime, torturate, sparite e giustiziate dai militari: tra loro, il cantautore Victor Jara, ministri, vertici delle forze armate, intellettuali, operai, indigeni, contadini; migliaia di persone straniere subirono la stessa fine della popolazione cilena. Dopo ci fu la dittatura militare argentina, nel 1976, che agì le stesse torture e violazioni dei diritti umani che il Cile aveva consumato.
Eppure, le immagini gioiose delle donne cilene nelle piazze, le corse dei bambini e delle bambine dietro ai treni su cui viaggiò in tutto il paese Allende, accompagnano le parole ferme del presidente nei tanti comizi filmati; sulle immagini popolari cantano le musiche indigene degli IntiIlimani, che dal Cile hanno poi risuonato nei cortei e nelle manifestazioni di tutto il mondo come simbolo di libertà e giustizia popolare.
C’è una divisione nel mondo, tra bene e male, tra popoli e potere economico, tra giustizia e ingiustizia: Salvador Allende ne è stato parte, scegliendo sempre quella giusta. Come da tutti riconosciuto, Allende era un caballero, un uomo d’onore, e lo stesso non furono i suoi nemici. Allende era una persona gentile e civile, che aveva speranza, come disse egli stesso, nell’interesse, nel patriottismo e nella morale del popolo cileno. Non fu solo così, purtroppo, ma lui ci ha veramente provato, e grazie a Guzmán continueremo ad averne memoria.
Molto bello. Da diffondere.
Da Allende e il golpe di Pinochet (allora c’erano giornalisti veri che facevano vera informazione, non servi della narrazione dominante) inizia il mio interesse e la mia fratellanza per l’America Larina. Vedrò sicuramente il documentario
Lo guarderò volentieri con tutta la tristezza del tempo! Facemmo una marea di manifestazioni a Roma pe r difendere il Cile e ricordo ancora in un giorno tragico che l’ambasciatore cileno e il personale che piangendo ci dissero dal balcone dell’ambasciata che era finito il Cile e che Allende era morto