È realizzato con con tre diversi intrecci di perline, è lungo duecentocinquanta metri e farà il giro dei comuni che lo vorranno. Il tappeto proposto dall’artista albanese Jonida Xherri è destinato ad allungarsi, arricchendosi di storie, fili e perline di tutti coloro che vorranno parteciparvi. È una delle opere collettive, dedicate alla parola accoglienza, con cui mostrare che è possibile creare trame di mondi diversi
Si chiama Jonida Xherri ed è un’artista albanese, in Italia da tredici anni. Quest’anno avrebbe dovuto ottenere la cittadinanza italiana ma i decreti sicurezza hanno fatto slittare di altri due anni questo riconoscimento. Parla italiano benissimo e nelle sue parole si coglie tutta l’umanità e la sensibilità che non le derivano solo dalla sua condizione ma soprattutto dalla sua visione del mondo e della vita.
Si sente cittadina di questa Terra, nel diritto legittimo di muoversi, come ognuno di noi, liberamente, senza barriere né confini. Un’esperienza di vita che impregna ogni sua creazione ma anche la sua quotidianità. Tre le opere che stanno facendo parlare di lei, tre lavori realizzati partendo da un filo comune: l’accoglienza. “L’accoglienza oggi è sempre messa in relazione con i migranti – dice sorridendo – ma in realtà è insita nella natura umana e appartiene a tutti. Bisogna recuperare questo significato e farne il nostro approccio verso la vita, dovunque siamo e chiunque incontriamo”.
Le sue opere sono realizzate insieme a tante persone incontrate con le quali ha condiviso i drammi ma anche il piacere dello stare insieme, del calore. “In ognuna delle istallazioni ci sono le vite delle persone che quasi per magia, si abbracciano”. Il risultato sorprende, l’armonia che ne emerge è spesso sconcertante. “Il potere dell’accoglienza può fare miracoli. Nel tappeto di perline, realizzato con tre intrecci e che ora è lungo duecentocinquanta metri, c’è tutto questo”. Un tappeto iniziato a Scicli, in Sicilia, nella terra di Montalbano e dell’accoglienza (leggi anche La casa delle culture), che farà il giro dei comuni che lo vorranno e che è destinato ad allungarsi, arricchendosi di storie, fili e perline di tutti quelli che vorranno parteciparvi. “Vorremmo arrivare ad un chilometro, ma chissà… forse potremmo anche superarlo”.
Anni e anni di incontri, scambi, contatti, hanno permesso a Jonida di coinvolgere tantissime realtà italiane e internazionali nella realizzazione non solo di questo tappeto ma anche di un grande arazzo – un metro per undici – che sta facendo il giro dei comuni italiani disposti a esporlo nella facciata del municipio. “O Italia, o grande stivale, non cacciarmi di nuovo a pedate” si legge sull’opera, riprendendo la citazione di Emanuel Carnevali, poeta e migrante Italiano, di ritorno in Italia nel primo Novecento e dedicata alla propria terra. “Mani che l’hanno riprodotta intrecciando fili, mani di italiani di nascita e italiani di sentimento, italiani che vogliono immigrare e italiani che vogliono restare a sperando in un’Italia migliore; immigrati che si trovano in Italia per caso o perché l’hanno scelto, immigrati che vedono Italia come terra di passaggio o come terra dove vogliono stare per sempre”. In questi giorni è a Modica, poi sarà a Vimercate, Salemi, Santa Croce sull’Arno, Scicli, le adesioni continuano. “Alla fine del viaggio si farà un catalogo con l’elenco delle località che l’hanno accolto ed esposto e di quelle che lo hanno rifiutato in modo che tutti sappiano”. Per tessere un tappeto o un arazzo ci vuole tempo, pazienza, capacità di ascolto e di stare insieme seguendo i ritmi di tutti, in una parola: condivisione. “E allora l’opera d’arte è soltanto un aspetto, un dettaglio importante che racchiude tanti incontri intorno a un telaio, davanti a una tazza di thè, dove ci si conosce e ci si aiuta”.
Tante sono le giornate trascorse a tessere, tante le idee messe insieme dall’umana sofferenza. Oggi nella chiesa di San Domenico a Modica è “attraccata” una barca fatta con 629 scatole di cioccolato di Modica, 629 come il numero dei migranti ai quali è stato rifiutato lo sbarco nel 2018 della nave Aquarius. ”Abbiamo scelto di usare il cioccolato perché è un prodotto che ci arriva dall’Africa e come tutte le merci non incontra barriere, proibizioni. Per gli esseri umani invece questo non è concesso. Non è assurdo tutto ciò?”.
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Roberta Ferruti (Rete dei Comuni Solidali), cura il blog Tra le righe.
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