Che non sia una crisi economica come le altre che hanno segnato la storia del capitalismo sono sempre di più a pensarlo. Del resto, con la crisi economico/finanziaria si intrecciano altri cambiamenti evidenti, dalla crisi climatica a quella dello sfruttamento delle risorse naturali, passando per la crisi dei paradigmi dell’Occidentale. «Fine della filosofia» (Asterios), propone tre preziosi saggi di Cornelius Castoriadis (raccolti e introdotti da Francesco Bellusci), per orientarsi proprio sulla crisi del pensiero e della politica, che includono e preparano la crisi economica.
Il testo propone innanzi tutto due sintetiche e illuminanti definizioni di filosofia e di politica. Definizioni che andrebbero studiate in tutte le scuole di ogni ordine e grado. «Filosofia: non si tratta di sistemi, dei libri, dei ragionamenti scolastici – scrive il filosofo e psicoanalista francese d’origine greca – Si tratta primi di tutto della messa in discussione della rappresentazione istituita del mondo, degli idoli della tribù, nell’orizzonte di un’interrogazione illimitata». E ancora: «Politica: non si tratta delle elezioni comunali, e nemmeno delle elezioni presidenziali. La politica, nel vero senso del termine, è la messa in discussione dell’istituzione effettiva della società, l’attività che cerca di prendere di mira lucidamente l’istituzione sociale come tale». Le idee di Castoriadis, morto del 1997, sembrano tornare con John Holloway, l’autore di «Cambiare il mondo senza prendere il potere» (Carta/Intra moenia, 2004) e di «Crack capitalism» (Derive Approdi, 2012), piuttosto che con lo storico Howard Zinn che qualche anno fa sul settimanale Carta ha scritto: «Sto parlando di un senso delle proporzioni che è smarrito nella follia elettorale. Sosterrei un candidato contro un altro? Sì, per due minuti, il tempo che serve ad abbassare la leva nella cabina elettorale. Ma prima e dopo quei due minuti, il nostro tempo, la nostra energia, dovremmo impiegarli per istruire, mobilitare, organizzare i nostri concittadini sul posto di lavoro, nel nostro quartiere, nelle scuole…».
In Castoriadis l’obiettivo della politica è piuttosto chiaro: «Non è la felicità, è la libertà. La libertà effettiva è ciò che chiamiamo autonomia. L’autonomia della collettività, che può realizzarsi solo attraverso l’auto-istituzione e l’autogoverno espliciti, è inconcepibile senza l’autonomia effettiva degli individui che la compongono». Nasce allora l’esigenza di capire quale sia per il fondatore del gruppo politico «Socialismo o barbarie» (editore del giornale omonimo degli anni ‘40, vicino al marxismo libertario di Rosa Luxemburg) il significato della rivoluzione oggi. Spiega Castoriadis: «Il contenuto del progetto rivoluzionario? Palesemente, non può essere né l’assurdità di una società senza istituzioni, né l’idea di istituzioni buone date una volta per tutte, giacché qualsiasi insieme di istituzioni, una volta costituito, tende necessariamente ad autonomizzarsi e ad asservire nuovamente la società ai significati immaginari che lo sottendono. Il contenuto del progetto rivoluzionario non può essere che l’idea di una società divenuta capace di una perpetua riconsiderazione delle sue istituzioni. La società post-rivoluzionaria non sarà semplicemente una società autogestita; sarà una società che si auto-istituisce esplicitamente, e non già una volte per tutte, ma in maniera ininterrotta».
A nostro avviso però occorre leggere questo punto di vista insieme alla critica che il filosofo francese fa al produttivismo e al mito dello sviluppo (del capitalismo), spesso ricordata da Serge Latouche e altri pensatori della decrescita. «Non è perché non si dà società senza produzione e consumo che questi devono essere eretti a fini ultimi dell’esistenza umana – scrive Castoriadis –, ciò che è la sostanza effettiva dell’«individualismo» e del «liberalismo» di oggi… Il capitalismo non è semplicemente l’incessante accumulazione per l’accumulazione, ma la trasformazione implacabile delle condizioni e dei mezzi per l’accumulazione, la rivoluzione costante della produzione, del commercio, della finanza e dei consumi. Esso incarna un significato immaginario sociale nuovo: l’espansione illimitata del ‘dominio razionale’. Dopo qualche tempo, questo significato permea e tende a informare la totalità della vita sociale (per esempio lo stato, l’esercito, l’educazione ecc.)».
Proseguendo l’analisi del capitalismo e del liberalismo dei tempi moderni, Castoriadis si dimostra anche in grado di prevedere con lucidità disarmante le profonde crisi economiche e sociali attuali. «Questo liberalismo potrà difficilmente sopravvivere ai suoi risultati – scrive Castoriadis nel 1986 (!) – allorquando questi cominceranno a fare chiaramente la loro comparsa: miseria crescente per grande maggioranza di paesi sottosviluppati, disoccupazione crescente nei paesi industrializzati, minaccia permanente di un crollo del sistema monetario e finanziario internazionale».
Tuttavia, l’autore di «La rivoluzione democratica. Teoria e progetto dell’autogoverno» (Eleuthera 2001) non rinuncia a ragionare sul cosa fare qui e ora. In una conferenza in Portogallo, nel novembre 1996, un anno prima della sua morte, rispondendo alla domanda «che fare in questo scenario?» Castoriadis «consegna» uno splendido «testatmento»: «Io penso che siamo all’incrocio di due cammini della storia, della grande storia. Un cammino appare fin d’ora chiaramente tracciato, in ogni caso per quello che è il suo orientamento generale. È il cammino della perdita di senso, della ripetizione di forme vuote, del conformismo, dell’apatia, dell’irresponsabilità e del cinismo, contestualmente all’impresa in crescita dell’immaginario capitalista dell’espansione illimitata di un «dominio razionale» (…), di un’espansione illimitata del consumo per il consumo, vale a dire per niente (…). L’altro cammino dovrebbe essere aperto; non è del tutto tracciato. Può essere aperto solo da un risveglio sociale e politico, una rinascita, un risorgere del progetto di autonomia individuale e collettiva, vale a dire dalla volontà della libertà. Questo esigerebbe un risveglio dell’immaginazione e dell’immaginario creatore. (…) Un tale risveglio è per definizione imprevedibile. È sinonimo di un risveglio sociale e politico. I due cammini non possono che marciare insieme. Tutto ciò che noi possiamo fare, è di prepararlo come possiamo, lì dove ci troviamo».
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