Zona di coltivazione intensiva di patate, pomodori, fragole e ortaggi, Cassibile è un paesone attaccato a Siracusa. Un territorio frequentato da migranti che come per magia appaiono e scompaiono al ritmo delle stagioni. Una realtà come tante ne esistono in Italia ma che oggi viene descritta e raccontata da un diario meditato a lungo: un giornalista siciliano, che per ovvi motivi si firma anonimamente “il randagio”, raccoglie storie ed esperienze di questo luogo, simbolo dello sfruttamento dei caporali

Accade a Cassibile ma anche altrove. Frazione del comune di Siracusa, Cassibile è nota anche per la firma dell’armistizio siglato nel 1943 tra il primo ministro italiano Pietro Badoglio e i rappresentanti degli Alleati. Una frazione di quasi 6.000 abitanti le cui abitazioni si snodano ai lati della via Nazionale che taglia in due il paese: una lacerazione che segna una contraddizione tra l’andirivieni di tir, auto e lo scenario agricolo che caratterizza l’area circostante.
Zona di coltivazione intensiva di patate, pomodori, fragole e ortaggi, scandisce i propri ritmi con la produzione dei prodotti e di chi li coltiva e raccoglie. Un territorio frequentato da migranti che come per magia appaiono e scompaiono al ritmo delle stagioni.
Una realtà come tante ne esistono in Italia ma che oggi viene descritta e raccontata da un diario meditato a lungo e che descrive uno spaccato di oltre dieci anni di testimonianze dirette e raccolte nel tempo. La connivenza “sospetta” dei Carabinieri che nulla fanno di fronte all’andirivieni di migranti caricati e portati dai caporali nei campi, sfruttati e spesso, troppo spesso, truffati. Incendi dolosi a fine stagione, paghe non retribuite, ingiurie, offese nel silenzio totale di tutti. Attraverso il sito il Megafono, un giornalista siciliano che per ovvi motivi si firma anonimamente “il randagio” ha deciso di pubblicare una raccolta di storie ed esperienze di questo luogo, simbolo della concentrazione più becera del perbenismo complice dello sfruttamento dei caporali.
Ispirandosi agli insegnamenti di Pippo Fava, il randagio inizia a scrivere il suo racconto:
“Ho scelto di raccontare tutta la storia, senza filtri, aggiungendo anche i dettagli che, normalmente, dentro un articolo o un reportage, non hanno particolare importanza. Ma dentro un racconto lungo e complessivo diventano fondamentali. Perché rendono l’idea della situazione attuale. E ne definiscono i contorni, ne mostrano le complicità, consapevoli e inconsapevoli. Molti di questi dettagli, peraltro, sono il frutto anche di un’attività diversa da quella svolta come giornalista indipendente dentro le campagne, tra le baracche, il fango e le testimonianze. Un’attività di osservatore, di attivista e, in certi momenti, persino di interlocutore per una soluzione”.
Una storia a puntate, divisa per capitoli. Eccone un estratto dal Capitolo 2 La violenza:
“Al terreno si accedeva da una ampia apertura del recinto. Lo scenario era avvilente. Materassi piazzati sotto gli alberi, stoviglie, spazzatura. I carrubi diventavano stanzoni dove ripararsi dal sole di luglio. Un sole cocente. In gran parte erano eritrei, tutti appena entrati in possesso dell’asilo politico. Rifugiati aventi diritto. Tutti ospiti del Cara di Cassibile. Qualcuno, dal centro, avrebbe dovuto chiamare l’Unhcr, avvisare dell’esito positivo delle domande, in modo che ciascun rifugiato potesse essere inserito nel programma nazionale asilo. I rifugiati così avrebbero conosciuto la loro destinazione, avrebbero ricevuto i soldi per il biglietto del treno e sarebbero partiti verso una nuova vita. Invece no. Perché i numeri in emergenza non li controlla nessuno e quindi, se un centro è sovraffollato, può giostrare quei numeri come meglio crede. O più precisamente, come meglio conviene. Non denunciare le dimissioni di ottanta ospiti, significava continuare a percepire i soldi che quotidianamente lo Stato riconosceva al Cara per la gestione di quegli ospiti. E fare spazio, al contempo, per farne entrare altri 80. E prendere anche quei soldi”.
Fonte: Ilmegafono.org
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