di Alessandro Pertosa*
A Riccardo Orsolini**
in ricordo dei rigori
che gli paravo
quando aveva tre anni
A Domenico Orsolini
châera mio amico
e cogli occhi incantati
ci guardava giocare
Il genio mancino si sottrae alla regola due volte, e non vuole saperne di sottoporsi alla grammatica civile della consuetudine. Ă genio fra i normali. Ă mancino fra i destri. La sua fantasia disarticola il mondo e colora lo spazio di utopie cangianti, che si fanno chimere ad ampio raggio, oltre lâorizzonte abitato dai comuni mortali. Nella sua furia creatrice, il genio immagina traiettorie siderali, e le scorge sfolgoranti di lĂ dal confine. LĂŹ dove il massimo e il minimo infinito fingono una coincidenza ossimorica, o qualcosa del genere, che se provi appena a sussurrarla ti corre un brivido per la schiena. Ma lui, dai remoti recessi del suo estro, crea sogni che diresti impossibili e mirabilia venate dâincanto.
Da piccolo aveva sempre un pallone fra i piedi. E in piazza giocava tutto il giorno, fino a consumarsi le scarpe. Me lo ricordo come in un sogno. Io avevo ventâanni. Lui tre. Il suo sinistro funambolico era giĂ bello, pieno, elegante. E qualche volta gli paravo i rigori. Lui, oggi, è diventato un adulto. Un calciatore fatto, si direbbe: eppure negli occhi serba ancora quel fantasioso stupore infantile, di quando rincorreva la luna accarezzando un pallone.
Chi ha nel cuore un estremo desiderio di bellezza non finisce mai di inventare traiettorie che sâinfilano allâincrocio dei pali, per poi brillare di gioia quando il gol sembra a tutti impossibile, e invece accade. Ma quello del gol è un istante che il genio dimentica presto. PerchĂŠ le reti piĂš belle non le ha ancora segnate. La gloria piĂš intensa non lâha ancora vissuta. Resta tutto ogni volta da rifare daccapo. Per questo non ha memoria, ma solo un futuro davanti, che si dispiega come un fiume in piena. E lui, sulla cresta dellâonda, tenta lâennesimo tuffo controvento, in mezza rovesciata.
Dalle tribune sembra che se ne stia in disparte, fuori dal gioco. Eppure se osservi in profonditĂ , capisci subito che il suo spirito aleggia ovunque. I compagni lo cercano con uno sguardo di lacrime e speranza. A volte gli lanciano la palla persino alla cieca, quasi invocassero il Messia di venirli a salvare. Lui è lĂ . Sulla destra, largo, in mare aperto. Unâisola staccata dalla terraferma, dalle sicurezze insipienti su cui si poggia chi non ha talento. PerchĂŠ il genio è unâisola: e nel calcio lo trovi a macerarsi da solo, fra le sue fragilitĂ di poeta. Uno stop, un dribbling, uno scatto: coi piedi radenti le ciglia erbose del prato, sâinvola leggero a inventare traiettorie mirabili, che spalancano il cuore.
La tattica è la legge dei mediocri. Il genio la ignora. PerchĂŠ gli sgorga dal cuore unâispirazione che rompe gli schemi rigidi della concretezza piccina, e spalanca le porte al fantastico. Crea gioco dâistinto. Apre scenari impensabili, disegna geometrie strabilianti, rapite da vapori sinuosi, e colori, e luci oniriche. Si direbbe che viva in un mondo incantato, tutto suo. In un lampo intuisce ciò che non può essere detto, spiegato. Lo sente. Annusa lo spazio per naufragarci dentro, affogando nellâarmonia di un gesto sublime.
E in procinto di scattare lungo linea, attende lâintuizione originale. Ha il cuore intriso di talento e gli occhi di un bambino. Quando meno te lâaspetti, va incontro alla luna. La stoppa dâesterno, danzando, e la spinge in avanti. Come un soffio, un refolo dolce. Una delicata carezza che percepisci appena dagli spalti. E lo stupore dei tifosi, per il gesto repentino, sâincastona allâunisono in unâeco di brillanti. Quasi volando, dalla tre quarti destra del campo, scivola verso il fondo. La palla sembra irraggiungibile, fin quando non lâaccarezza di nuovo. Le scocca un bacio soffice con la punta del piede, lâaccarezza da sotto, e il primo avversario si pianta a guardarlo, mentre gli scappa da un fianco, verso il centro. Non câera spazio. Non ci sarebbe stato spazio per nessuno, tranne che per lui. Dalle tribune lo stupore si fa incanto. Il genio improvvisa. Non sa lâattimo prima cosa farĂ un secondo dopo. Dâistinto sgattaiola via. E la sua grazia è commovente. Salta gli avversari che raddoppiano, triplicano. E quelli restano basiti in mezzo alla scena, come birilli immobili, imbambolati. Sanno châè mancino e lo spingono sul fondo, a destra. O almeno vorrebbero. PerchĂŠ lui ritorna allâimprovviso bambino e sogna un volo estasiante; la piuma che ha in corpo scintilla di scatto verso lâinterno del campo. La palla non câè, o almeno sembra sparire – in un numero da circo – per poi mostrarsi radiosa verso lâangolo alto dellâarea. Gli sta incollata ai piedi come unâamante. Lâennesimo avversario tenta unâestrema difesa, disperata, ma il genio intuisce, anticipa e con lâesterno sinistro sposta la palla dâun soffio, quel tanto che basta a spalancargli la porta; e prima che gli tornino addosso di nuovo, dâinterno mancino colpisce la sfera: è un bacio stampato sul cuoio. Ă un calcio dâamore. O un verso perfetto dâuna sublime poesia recitata agli uccelli, che in cielo, distesi, lo stanno a guardare.
Il calcio è una lingua con una sua grammatica. E cosĂŹ come i poeti svicolano dalla sintassi con invenzioni straordinarie, il genio calcistico strazia le indicazioni della panchina e ne escogita di nuove: fa senza sforzo ciò che per gli altri è impensabile. Sfida le leggi della fisica, inventa geometrie. E nel farlo, crea dâemblĂŠe nuove fisionomie tattiche, che supererĂ un attimo dopo. I suoi gol non sono mai tutti uguali: uno è diverso dallâaltro. PerchĂŠ il genio non si piega ai rituali, agli schemi, allo standard, e non può stare in una gabbia. Crea una forma e se la butta alle spalle. CosĂŹ il poeta mancino pensa sempre alla giocata perfetta, al tunnel che non ha ancora fatto, allo stop volante dâesterno che dagli spalti non fai in tempo nemmeno a guardare, ma che lui ha giĂ dimenticato.
La sfera sembra voli alta nel cielo, poi plana improvvisa, allâincrocio dei pali, per insaccarsi leggera in un tripudio di gioia.
Il calcio è una lingua di prosa che diventa poesia quando le trame di gioco, geometriche, rasentano il meraviglioso, poi svicolano a tutta forza e diventano comete di stelle. Ma queste non si lasciano parlare da tutti. Solo i geni ne sono capaci.
E il poeta mancino inventa un fraseggio stretto, di prima, poi allâimprovviso rompe gli schemi. Coi piedi a pennello, colora ogive nellâaria, e queste diventano code cangianti, che sfrangiano le maglie strette della tattica, schiantate da una scintilla di bellezza per lâennesimo gol, giĂ dimenticato.
Non capita spesso che qualcosa solletichi contemporaneamente la mia testa e il mio cuore, che qualcosa mi catturi e mi commuova. Tu, Alessandro, hai realizzato una doppietta. Grazie!