Il 2023 è stato l’anno dei decreti anti-immigrati. Qui la prima parte dell’articolo
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10 marzo – Decreto anti-integrazione, anti-accoglienza, anti-capitano/scafista
Valga ricordare innanzi tutto che il decreto-legge 20/20231 è stato adottato, in pompa magna, dal Consiglio dei Ministri riunitosi nel Municipio di Cutro pochi giorni dopo la strage di migranti sulle coste di Steccato di Cutro nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, in cui hanno perso la vita almeno 94 migranti, di cui 35 bambini, oltre a decine di dispersi, per l’affondamento della barca a 150 metri dalla spiaggia2. Né prima, né in tale occasione, né dopo, membri del Governo hanno reso omaggio alle vittime, deposte nel Palazzetto dello sport di Crotone, disvelando la natura meramente mediatica e propagandistica della dislocazione del Consiglio dei Ministri; unico rappresentante dello Stato centrale ad averlo fatto è stato il Presidente Mattarella a due giorni dall’evento.
Il decreto in questione, insieme alla legge di conversione 50/2023, ha:
(1) resuscitato la programmazione triennale dei flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri già prevista dal Testo Unico Immigrazione (d.lgs. 286/1998), ma di fatto disapplicata da anni;
(2) reso più difficile l’applicazione della “protezione speciale” codificata dal D.L. 130/20203 e previsto procedure di frontiera accelerate applicabili a certe categorie di richiedenti asilo;
(3) continuato la demolizione del sistema di accoglienza diffusa SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) e prefigurato un ritorno al SIPROIMI (Sistema di Protezione per titolari di protezione Internazionale e Minori), favorendo altresì l’accoglienza straordinaria (CAS) gestita dai prefetti;
(4) inasprito le sanzioni penali per gli “scafisti” da colpire su tutto globo terraqueo;
(5) Introdotto deroghe alla disciplina appalti per la gestione di arrivi e accoglienza.
Su questo Decreto si è scritto molto, soprattutto da parte dei giuristi che si occupano di diritto di asilo; si rinvia perciò a quegli scritti per gli approfondimenti, qui sia sufficiente qualche cenno.
1. Programmazione triennale dei flussi – Una parte del Decreto (articoli da 1 a 3) è dedicata, come recita il titolo, ai flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri, in aggiunta alla già ampia stratificazione normativa esistente. Rivive, almeno per il triennio 2023-2025, la programmazione triennale di ingressi per lavoro subordinato, anche stagionali, e per lavoro autonomo (già prevista dal TUI ma rimasta di fatto disapplicata dal 2006, sostituita dalla procedura, normativamente residuale ma di fatto divenuta la regola, dei decreti annuali sui flussi), mediante Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i ministri competente e il CNEL e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, tenuto conto del fabbisogno del mercato del lavoro indicati dal ministero competente, previo confronto con sindacati e datori di lavoro maggiormente rappresentative.
È prevista la possibilità di emanare, “in via transitoria”, ulteriori decreti nel corso del triennio, qualora se ne ravvisi l’opportunità. Alcune priorità o riserve o fuori quota sono previste in casi particolari (datori di lavoro nel settore agricolo e lavoratori di Stati che informano i propri cittadini deirischi derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari o che collaborano per istruzione, formazione professionali e rimpatri).
Il 4 ottobre 20\23 è stato pubblicato il DPCM che ha fissato in 452.000 gli ingressi di stranieri, così suddivisi nei tre anni: a) 136.000 nel 2023; b) 151.000 nel 2024; 165.000 nel 2025. Si tratta di numeri del tutto omogenei rispetto agli ultimi decreti flussi annuali, quindi nessuna novità, nè risultano analisi fattuali preliminari effettuate sul fabbisogno. Basti pensare che nel suo ultimo discorso da Governatore della Banca d’Italia Vincenzo Visco ha suggerito di aumentare il saldo migratorio, considerata la diminuzione della popolazione in età lavorativa (800 mila lavoratori dal 2019) e le stime sugli andamenti demografici (sei milioni di italiani in meno al 2040 tra i 15 e i 64 anni)4.
A dispetto del titolo, comunque, e delle tante dichiarazioni roboanti, poco cambia rispetto all’assenza di canali regolari di ingresso perché resta intatto l’impianto normativo del D.L. 189/2002 (c.d. legge Bossi-Fini) che pretende di imporre un improbabile incontro a distanza tra datori di lavoro e i potenziali candidati all’ingresso nel Paese, notoriamente una finzione perché nessuno assume una persona che non conosce. Con l’ulteriore complicazione, introdotta adesso, della condizione essenziale della “previa verifica di indisponibilità di manodopera presente sul mercato nazionale”, inutile e farraginosa, destinata a restare disapplicata dai centri per l’impiego.
2. Protezione speciale – La c.d. protezione speciale è una forma di protezione complementare rispetto alle protezioni maggiori, internazionale e sussidiaria5, ed è riconosciuta allo straniero che non ha titolo per accedere a dette protezioni ma non può essere espulso per varie ragioni6. Fin dalla sua introduzione nel 2018 con il primo decreto sicurezza del ministro Salvini (D.L. 113/2018), in sostituzione della più ampia protezione umanitaria7, lo straniero non può essere espulso quando c’è rischio di persecuzioni o torture o trattamenti inumani o degradanti in caso di rientro in patria, in applicazione del principio di non respingimento (art. 33 della Convenzione di Ginevra; art. 10 della Costituzione); la riforma apportata dalla Lamorgese con il D.L. 130/2020 aveva poi esplicitato che la protezione speciale poteva essere riconosciuta anche per vita privata e familiare e chiarito i criteri per valutarla (in breve: intervenuta integrazione8), come previsto dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
Il D.L. 20/2023 non ha abrogato la protezione speciale; l’istituto è ancora in vigore e il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU non è venuto meno, perché una legge ordinaria non può abrogare obblighi internazionali (anche richiamati nell’art. 5, comma 6, del TUI, non abrogato9), però la sua applicazione incontra maggiori ostacoli perché, con la riforma dell’istituto (con l’art. 7 del Decreto), deve passare dal richiamo a fonti normative internazionali, invece che alla legge nazionale, e sia le Commissioni territoriali che i giudici potrebbero ometterla, scientemente o meno10. Il relativo permesso dura due anni, consente di lavorare, è rinnovabile ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro, limitazione di non poco conto.
Nel sistema previgente la domanda di protezione speciale poteva essere presentata direttamente al Questore; la legge 50/2023 di conversione del D.L. 20/2023 ha eliminato le disposizioni che prevedevano tale possibilità, lasciando come unico canale la trasmissione della domanda dalle Commissioni territoriali al Questore (che già durante l’iter di conversione del decreto avevano iniziato a respingere le richieste)11.
Un cenno in questo contesto di compressione del diritto di asilo meritano le specifiche previsioni che hanno introdotto procedure accelerate di frontiera per l’esame della protezione internazionale applicabile ai richiedenti che tentano l’ingresso irregolare eludendo i controlli di frontiera e a coloro che provengono da un Paese c.d. “sicuro” (così sono considerate la Libia e la Tunisia, per esempio)12. Durante la procedura il richiedente può essere trattenuto al fine di accertare il suo diritto a fare ingresso nel territorio dello Stato, a meno che paghi una “cauzione”13. I tempi stretti per la procedura amministrativa per il riconoscimento e per l’impugnativa attuano una limitazione dei diritti di difesa che stride con la materia trattata dei diritti umani14.
3. Un’altra spallata all’accoglienza diffusa e all’integrazione– La prima spallata all’accoglienza diffusa l’aveva data nel 2018 il Ministro Salvini trasformando lo SPRAR15 in SIPROIMI (con il D.L. 113/2018, mentre Riace finiva nel mirino dei controlli plurimi). Dopo la timida riforma della Ministra Lamorgese del 2020, che ha introdotto il Sistema di Accoglienza e Integrazione – SAI (con il DL 130/2020), senza tuttavia darvi attuazione16, ora si torna di fatto al SIPROIMI, pur restando formalmente la denominazione SAI e venendo meno la distinzione tra prima e seconda accoglienza17. Nella sostanza, al di là dei nomi, cosa succede?
Con un emendamento introdotto dalla Lega nel corso dell’iter di conversione del D.L. 20/2023 (trasfuso nell’art. 5-ter), i richiedenti protezione internazionale non possono più essere accolti nei SAI, gestiti dagli enti locali in collaborazione con enti del terzo settore, ma soltanto nei centri di accoglienza governativi (previsti dall’art. 9 e 11 del d.lgs. 142/2015), che nella quasi totalità dei casi sono CAS – Centri di Accoglienza Straordinaria, fino alla decisione definitiva sulla domanda, come era già per il SIPROIMI.
I CAS di straordinario hanno solo il nome (ingannevole), perché da anni sono diventati la norma, con presenze che si collocano in media in un rapporto di 1 a 3 rispetto al numero di accolti nei centri SAI. Sono gestiti dai prefetti attraverso l’affidamento, con o senza gara, ad ex hotel o ad altre strutture, spesso aspecifiche e senza staff adeguati, nelle periferie delle città, senza servizi, senza integrazione, ghettizzanti, in cui il tempo non passa mai, sacche di manodopera a basso costo e ricattabile a disposizione della criminalità organizzata.
La scelta di limitare l’accoglienza diffusa ai soli titolari di protezione internazionale è contro-intuitiva. Sono proprio i richiedenti protezione – più che i titolari – che hanno bisogno di un’accoglienza “amica”, per integrarsi, trovare un lavoro, orientarsi nel Paese dove sono arrivati. La verità è che nessun governo, nessuna forza politica ha puntato alla sistematizzazione dell’accoglienza diffusa nei suoi vent’anni di vita, nonostante abbia dato prova di essere buona tanto per le persone accolte quanto per le comunità locali e i territori ospitanti.
Solo due categorie di richiedenti possono ancora essere accolti nei SAI: quelli entrati con corridoi umanitari o in attuazione di programmi di reinsediamento (richiedenti già individuati da UNHCR nei Paesi di provenienza che entrano con un visto); e, nei limiti dei posti disponibili, i “vulnerabili” (ai sensi dell’art. 17 d.lgs. 142/2015 – disabili, anziani, donne incinta, famiglie monoparentali con figli minori, gravemente malati); in entrambi i casi, con accesso limitato ai servizi di primo livello, ad esclusione dei servizi di integrazione, riservati ai titolari di protezione.
Sono fatte salve le misure di accoglienza nel SAI già disposte alla data di entrata in vigore del D.L. 20/2023, quelle per i profughi ucraini titolari di protezione temporanea (accanto ai CAS e alle strutture attivate dalla Protezione Civile), quelli per i cittadini afghani arrivati in Italia sulla base di specifiche operazioni di evacuazione delle autorità italiane durante la crisi afghana18.
Altra spallata (con gli articoli 5-quater e 6-ter) è stata data all’integrazione con una serie di misure volte a revocare o ridurre le condizioni di accoglienza a determinate condizioni ma soprattutto con l’eliminazione dell’assistenza psicologica, della somministrazione di corsi di lingua italiana e dei servizi di orientamento legale e al territorio per gli stranieri ospitati nei centri di accoglienza governativi, ossia prevalentemente CAS, che come visto sono stati rafforzati e destinati in esclusiva ad accogliere i richiedenti asilo. Quindi le persone sono accolte in situazioni precarie e non sono loro assicurati strumenti per capire dove sono, cosa fanno lì e cosa ne sarà di loro.
È previsto inoltre che gli stranieri ospitati nei punti di crisi possano essere trasferiti in strutture “analoghe” sul territorio nazionale. Quando queste sono destinate alle procedure di frontiera con trattenimento, vengono identificate d’intesa con Ministero della giustizia. Infine, se non sono disponibili posti nei centri governativi ex artt. 9 e 11 d.lgs., l’accoglienza può essere disposta dal prefetto in strutture di accoglienza provvisoria in cui sono assicurati il vitto, l’alloggio, il vestiario, l’assistenza sanitaria e la mediazione linguistico-culturale. Cioè ancora albergaggio e ghettizzazione.
Pugno duro contro gli scafisti su tutto il globo terraqueo – Il Decreto inasprisce le sanzioni penali per il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e introduce, ritagliandolo sul naufragio di Cutro, il nuovo delitto di favoreggiamento dell’immigrazione aggravato dal trasporto in condizioni di insicurezza o degrado di uno o più stranieri, a cui segua l’involontaria causazione dello sua/loro morte o lesione personale (pena fino a trenta anni di reclusione per la morte di più persone). Le pene si applicano anche quando la morte è causata fuori da territorio italiano, nelle acque internazionali. Cioè l’Italia agisce contro gli scafisti su tutto il globo terracqueo – salvo che poi gli scafisti sono spesso migranti costretti a improvvisarsi capitani di navi, come nel film Io capitano di Garrone. Si tratta di interventi repressivi dal valore più simbolico/propagandistico che tecnico-giuridico, incuranti dell’efficacia e dell’effettività che li connotano.
Si collocano sullo stesso fronte repressivo/punitivo anche altre misure introdotte dal D.L. 20/2023 di modifica delle procedure di espulsione e rimpatrio finalizzate ad accelerare la tempistica, con rilevanti criticità in termini di garanzie e diritti di difesa delle persone migranti e qualche contraddizione interna (finalità acceleratoria vs aumento dei termini di trattenimento nei CPR per i cittadini di Paesi con i quali l’Italia ha stipulato accordi in materia di rimpatrio).
Deroghe al codice appalti – In continuità e coerenza con la demolizione del SAI, nel dettare Misure per il potenziamento tecnico-logistico del sistema di prima accoglienza e dei controlli di frontiera” il D.L. 20/2023: (1) estende le deroghe alle norme appalti già previste per i CPR alla realizzazione di strutture per l’accoglienza di carattere emergenziale, fino al 2025, fornendo anche una copertura finanziaria; (2) prevede deroghe alle norme appalti per cui il Ministero dell’Interno può avvalersi, in situazioni di particolare affollamento, della Croce Rossa Italiana per la gestione del punto di crisi di Lampedusa, alle condizioni previste nel capitolato per i centri di prima accoglienza ex artt. 9 e per i CAS ex 11 d.lgs. 142/2015, fino al 31 dicembre 2025; (3) prevede deroghe alle norme appalti per l’affidamento di servizi di trasporto marittimo per migranti entro una spesa massima di 8 milioni di euro circa per il 2023, fornendo anche una copertura finanziaria.
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19 settembre – Più CPR per tutti e più a lungo
Il decreto 124/202319 prevede due articoli che, in un contesto di norme dedicate a tutt’altro (sud e politiche di coesione), si occupano di trattenimento presso i Centri di permanenza per i rimpatri e di realizzazione delle strutture di prima accoglienza.
L’articolo 20 modifica il TUI estendendo fino a 18 mesi il limite massimo di permanenza nei Centri di Permanenza e Rimpatrio (CPR) degli stranieri in posizione irregolare sul territorio nazionale in attesa di espulsione. Il termine ordinario è di 3 mesi, prorogabile di altri 3 mesi. Ulteriori proroghe, di 3 mesi in 3 mesi, soggette a convalida, fino al massimo di altri 12 mesi, possono essere stabilite in determinati casi, per esempio se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei Paesi terzi.
L’articolo 21, in relazione all’urgenza e alla necessità connessa con l’incremento dei flussi migratori, aggiunge i centri di accoglienza gestiti a livello governativo, ordinari e straordinari (artt. 9 e 11 d.lgs. 142/2015), i punti di crisi (hotspot – art. 10-ter TUI) e i CPR (art. 14 TUI) all’elenco delle opere per la difesa e la sicurezza nazionali previste dal Codice dell’ordinamento militare (art. 233 d.lgs. 66/2010, così ridenominate nel loro complesso in luogo dell’originario “opere di difesa nazionale”).
Con DPCM, su proposta dei Ministri della difesa e dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, si definiscono le aree interessate dalla realizzazione di un numero idoneo di strutture, anche temporanee, con riferimento a CPR e centri di accoglienza, anche attraverso la valorizzazione di immobili già esistenti.
L’incarico per realizzare le opere di difesa e sicurezza nazionale è affidato al Ministero della Difesa, per il tramite del Genio militare e delle Forze armate (anche avvalendosi della società in house Difesa servizi S.p.A.). A tal fine, il Ministero della difesa può ricorrere alle procedure previste dal nuovo Codice appalti (d.lgs. 36/2023) per le procedure di acquisizione in caso di somma urgenza e di protezione civile previste, seppure sono tenute ferme le ordinarie procedure per la realizzazione e la gestione delle medesime strutture previste dalla legislazione vigente. Viene stanziato un apposito fondo nello stato di previsione del Ministero della Difesa con una dotazione iniziale di 20 milioni per il 2023 per la realizzazione delle opere e altri fondi per la gestione. È previsto che il piano possa essere aggiornato periodicamente anche in relazione all’afflusso di ulteriori risorse finanziarie.
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Note
1 D.L. 10 marzo 2023, n. 20,Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare (convertito con modificazioni dalla L. 5 maggio 2023, n. 50).
2 Su tale accadimento c’è un processo penale nei confronti degli scafisti, ma è stato presentato anche un esposto molto documentato da parte di quaranta organizzazioni della società civile per chiedere l’accertamento di eventuali responsabilità da parte delle autorità italiane ed europee (Frontex) nelle cause e nella gestione del naufragio..
3 D.L. 21 ottobre 2020, n. 130 contenente disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare (conv. con mod. L. 173/2020), c.d. decreto Lamorgese.
4 https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2023/cf_2022.pdf.
5 La protezione internazionale (status di rifugiato) è riconosciuta per fondato timore di persecuzione per ragioni razza, religione, opinioni politiche ecc. nel Paese di origine (Convezione di Ginevra 1951, art. 1). La protezione sussidiaria è riconosciuta per rischio di danno grave in caso di rientro in patria, cioè condanna a morte, tortura, minaccia alla vita in caso di guerra interna o internazionale (dir. 2004/83/CE, rifusa nella dir. 2011/95/UE). In quanto derivate dal diritto internazionale ed europeo, entrambe devono essere necessariamente previste e riconosciute nel nostro ordinamento. La competenza per il riconoscimento delle due protezioni è delle Commissioni territoriali, organismi amministrativi sparsi su tutto il territorio nazionale (20, più 30 sezioni), composti da 1 funzionario della carriera prefettizia, 1 esperto di diritti umani nominato dall’UNHCR e 4 funzionari amministrativi; il diniego di riconoscimento è soggetto all’impugnativa dinanzi le sezioni specializzate dei tribunali ordinari (26, presso i tribunali sede delle corti di appello), a sua volta soggetta soltanto al ricorso per Cassazione (l’appello è stato soppresso dal D.L. 13/2017 del Ministro Minniti).
6 Si distingue dalla protezione per casi speciali (es. sfruttamento lavorativo, vittime di violenza domestica, calamità, cure mediche, se espressamente previsti e in casi eccezionali). Il D.L. 20/2023 ha anche reso più rigorose le condizioni per ottenere un permesso di soggiorno per alcuni casi speciali – in particolare malattia e calamità, accentuandone il carattere di eccezionalità.
7 Riconosciuta dal previgente Testo Unico Immigrazione “al ricorrere di seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” (art. 5, comma 6, d.lgs. 286/1998). Era una clausola aperta, suscettibile di libero apprezzamento da parte della Commissione territoriale, o del giudice in sede di impugnativa, dava titolo a un permesso di due anni e accesso al lavoro, alle prestazioni sociali e all’edilizia popolare.
8 L’art. 7 D.L. 20/2023 ha soppresso il terzo e quarto periodo dell’art. 19, comma 1.1, del TUI. La soppressione ha riguardato le disposizioni del TUI che consentivano allo straniero di fondare una domanda di protezione internazionale sul rispetto della sua vita privata e familiare, tenuto conto “della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”. Esplicitazione e ricognizione dell’obbligo previsto dall’art. 8 della CEDU, che tutela proprio la vita privata e familiare, nonché strumento per migliaia di stranieri “irregolari”, alias senza titolo di soggiorno (non per questo “clandestini”), ma radicati sul territorio per le motivazioni contemplate dalla norma, di uscire dall’invisibilità, molto spesso dallo sfruttamento lavorativo, e quindi pagare le tasse e godere dei diritti basilari di esistenza e di vita dignitosa.
9 Art 5, comma 6, TUI: “Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”.
10 La soppressione non si applica retroattivamente a coloro che prima dell’entrata in vigore del DL avevano già chiesto la fissazione di appuntamento per la domanda di asilo, sicché il problema si pone, al momento, solo per le nuove richieste di fissazione di appuntamento; e non si applica neanche alla prima domanda di rinnovo del PDS per protezione speciale successiva all’entrata in vigore del Decreto, che avrà però durata di un anno anziché due.
11 Nel caso in cui la Commissione territoriale cui è chiesta una delle due protezioni maggiori, internazionale o sussidiaria, non ne ravvisi i presupposti – perché, ad esempio, sussistono le cause di esclusione previste dall’art. 10 d.lgs. 251/2007, tra cui l’aver commesso crimini di guerra o reati gravi nel paese di origine, ma ritenga impossibile l’allontanamento dello straniero per il rischio che subisca persecuzioni o torture (in applicazione del principio di non refoulement, ai sensi dell’art. 19, commi 1 e 1.1, TUI) trasmette gli atti al questore per il rilascio della citata protezione.
12 Sulla disapplicazione di queste disposizioni in sede di convalida del trattenimento si sono espresse diverse corti, in quanto in contrasto con gli standard costituzionali ed europei. Fin troppo nota è la vicenda della giudice Apostolico di Catania. Cfr. https://www.questionegiustizia.it/articolo/nota-trib-catania.
13 Il Decreto del Ministero dell’Interno del 14 settembre 2023 fissa a 4.938 euro il valore della «garanzia finanziaria» da rilasciare con una fideiussione bancaria o garanzia fideiussoria assicurativa.
14 Cfr. https://www.asgi.it/notizie/le-nuove-procedure-accelerate-di-frontiera-quali-prospettive-in-unottica-di-genere/
15 Introdotto dall’articolo 1-sexies del DL 416/1989, convertito, con modificazioni, dalla L. 39/1990.
16 Non è mai stato adottato il decreto del Ministero dell’Interno previsto dal D.L. 130/2020 in sostituzione del SIPROIMI.
17 Per una sintesi e dati cfr. https://www.openpolis.it/parole/come-funziona-laccoglienza-dei-migranti-in-italia/.
18 Una serie di paletti stringenti presidiano l’accesso e il soggiorno dei titolari di protezione nei SAI: una volta individuato, per il titolare di protezione internazionale, il centro SAI di destinazione da parte del Servizio Centrale, se il titolare non si presenta entro 7 giorni dalla comunicazione decade dalla misura, salvo casi di forza maggiore o giustificato ritardo. Misure di accoglienza ridotte o revocate per il richiedente che si renda responsabile di violazioni gravi o ripetute delle regole del centro di accoglienza o di comportamenti gravemente violenti, compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili. Stesse conseguenze in caso di condotte illecite fuori dal centro. Il gestore del centro richiama formalmente l’ospite e poi, se del caso, invia relazione al prefetto che decide il trasferimento in altro centro o la riduzione o la revoca, decisione che viene comunicata alla Commissione territoriale che deve decidere sulla domanda.
19 DL 19 settembre 2023, n. 124 – Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione, convertito con modificazioni dalla L. 13 novembre 2023, n. 162.
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