La maggior parte dei rifugiati nel mondo, anche se questo non fa notizia, sono accolti in paesi poveri. In Uganda, ad esempio, sono oltre un milione. In un paese governato da oltre trent’anni da un presidente autoritario, le politiche di accoglienza sono comunque tra le più aperte al mondo. I rifugiati hanno diritto a usufruire di tutti i servizi, possono lavorare, coltivare la terra e fare investimenti ma soprattutto sono liberi di muoversi, di scegliere quando andarsene e dove. I luoghi di accoglienza sono ben diversi dai nostri Cpr e dai lager libici sostenuti dall’Ue. La situazione resta complessa, dal momento che Museveni, noto per aver attuato una feroce repressione del dissenso, è accusato di strumentalizzare i rifugiati per ottenere credibilità internazionale e distogliere l’attenzione dai suoi metodi autoritari
Per provare a superare i numerosi luoghi comuni sul fenomeno migratorio che caratterizzano il dibattito politico degli ultimi anni è necessario, oggi più che mai, provare ad analizzare il fenomeno nel suo insieme.
Sappiamo che le motivazioni che spingono a partire sono molteplici e che i regolamenti attuali necessitano di una revisione e riconsiderazione dato che ormai è veramente obsoleto distinguere tra rifugiati, profughi, migranti economici e climatici. La pandemia ci ha poi insegnato che i confini politici esistono solo sulla carta e le disposizioni e i divieti per gli accessi al territorio comunitario e alla libera circolazione generano soltanto un aumento della migrazione clandestina. Nonostante ciò, in Europa si continua a non voler vedere il fallimento delle soluzioni emergenziali, dei muri, delle repressioni violente e dei fili spinati. L’Europa è sempre più blindata e gli abusi, le torture e le morti in aumento lungo tutti i confini mentre si continua a finanziare la Libia e la Turchia allo scopo di arginare il più possibile il fenomeno. Poco importa se questi Stati non garantiscono alcun rispetto dei diritti umani, se uomini e donne vengono seviziati, sfruttati. Il Nuovo Patto UE su Migrazioni ed Asilo ha riconfermato questa linea senza trovare soluzioni alle criticità aperte dal Regolamento di Dublino e nulla resta dei principi che ispirarono il Manifesto di Ventotene per un’Europa libera ed unita.
Eppure, se proviamo ad uscire dai confini angusti di questo continente opulento scopriremo che la maggior parte dei migranti nel mondo trovano rifugio altrove, nei paesi a loro più vicini. Secondo l’UNHCR, infatti, il 73 per cento viene accolto nei paesi confinanti e ben l’86 per cento nei paesi così detti “in via di sviluppo”. Tra questi l’Uganda. Nel 2019, l’Uganda era inserito al 178esimo posto su 193 stati nella classifica stilata in base al Pil dal Fondo Monetario Internazionale. Un paese considerato dalla Banca Mondiale a basso reddito – il reddito pro capite medio è di 657 dollari annui – con un incremento demografico annuo del 3,3% su una popolazione di 40 milioni e con un tasso di analfabetismo del 24%. Un paese evidentemente povero, con un’aspettativa di vita di 62 anni che nell’immaginario collettivo evoca scenari di malnutrizione, fame e malattie ma nonostante ciò, l’Uganda è uno dei primi paesi al mondo per numero di rifugiati accolti.
Uno dei paesi più accoglienti del mondo
L’Uganda è firmataria della Convenzione per i Rifugiati stipulata nel 1951 e del Protocollo correlato del 1967, della Convenzione dell’OAU (Organizzazione dell’Unione Africana) del 1969 che cura gli aspetti inerenti ai problemi dei rifugiati in Africa. In base alla legge per i rifugiati del 2006, l’Uganda garantisce i diritti basilari tra cui la libertà di espressione e di movimento nel paese. Governato dal 1986 dal discusso presidente Yoweri Museveni, l’Uganda oggi è considerato uno dei paesi più accoglienti del mondo: nel 2018 l’UNHCR calcolava che i rifugiati presenti fossero circa 1,3 milioni, provenienti principalmente dal Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo (RDC) e Burundi. A causa della guerra civile del 2013 in Sud Sudan, ci sono stati tra il 2016 e il 2018 mediamente 2.500 ingressi al giorno. Nonostante gli accordi di pace firmati a ottobre 2018, gli scontri tra etnie sono continuati e pochi dei rifugiati sono rientrati in patria.
I nuovi rifugiati
Di fronte all’emergenza Afghanistan, il presidente Yoweri Museveni ha avviato un piano di accoglienza, su richiesta degli Stati Uniti per gli afghani e il 25 agosto 2021 sono arrivati i primi 51 dei 2000 previsti. L’Uganda si attesta così anche il primato di primo paese africano ad accogliere rifugiati provenienti da un altro continente. L’Unhcr ha garantito gli screening necessari e l’alloggio per la quarantena, gli Stati Uniti invece hanno coperto i costi dell’accoglienza.
Il metodo “ self-reliance”
In un paese governato da oltre trent’anni da un presidente autoritario, le politiche di accoglienza sono tra le più aperte al mondo. I rifugiati hanno diritto ad usufruire di tutti i servizi come un qualunque cittadino, possono lavorare, coltivare la terra e fare investimenti ma soprattutto sono liberi. Liberi di muoversi, di scegliere quando andarsene e dove. I luoghi di accoglienza sono ben diversi dai nostri Cpr, dai lager libici sponsorizzati dall’Europa, dove si vive segregati in condizioni disumane. Accolti in dieci refuges settlements, per lo più in aree di confine, i rifugiati vengono avviati ad un percorso di autonomia. Nei distretti di Adjumani e Moyo il numero dei rifugiati supera persino quello della popolazione locale: 58% e 52% rispetto ai residenti. Il governo ugandese consegna ad ogni famiglia un lotto di terra di 900 metri, su cui costruire una casa e coltivare il terreno, garantisce 12 kg di cibo al mese per persona, l’assistenza sanitaria gratuita e la massima libertà di spostamento. I campi dove vengono accolti i rifugiati non hanno recinti, le persone possono organizzarsi e avviare attività commerciali, i bambini frequentano le scuole degli autoctoni. Il 30 per cento dei finanziamenti destinati ai rifugiati viene investito nelle comunità accoglienti che così possono realizzare strutture comunitarie, costruire strade, pozzi o quant’altro serva alla comunità. Il miglioramento delle condizioni generali ha creato interazione e collaborazione tra rifugiati e cittadini ugandesi permettendo l’inserimento completo dei rifugiati all’interno delle comunità. Gli aiuti umanitari inoltre portano con sé anche investimenti per le infrastrutture, la costruzione di ospedali, scuole, pozzi, strade e zone di scambio e di commercio che migliorano le condizioni generali degli abitanti di zona. La libertà di movimento dei rifugiati incoraggia l’iniziativa imprenditoriale e mira alla completa autonomia.
Un villaggio grande come due metropoli
Nell’Uganda nord-occidentale, l’insediamento di Bidibidi è oggi tra i più grandi del mondo: copre 250 chilometri quadrati della metà orientale del distretto di Yumbe, ospita più di 270.000 rifugiati. Si estende verso sud dal confine sud-sudanese e si riversa nel distretto di Moyo lungo la riva occidentale del fiume Kochi. Prima di diventare un insediamento, nell’agosto del 2016, era soltanto un piccolo villaggio . Da allora, il governo dell’Uganda e le ONG hanno lavorato per realizzare un centro adatto ad ospitare e contenere l’afflusso del crescente numero di richiedenti asilo dal Sud Sudan. Oggi ci sono scuole, ospedali, parrucchieri, ristoranti, centri medici, chiese, negozi, parchi giochi e campi di calcio. Acqua corrente, connessione internet ed elettricità quasi ovunque. Le abitazioni sono disposte in cerchio per mantenere comunque lo schema del villaggio tradizionale.
Un forte impatto
L’accoglienza dei rifugiati ha dunque favorito un cambiamento radicale per le zone coinvolte in tutto il paese. L’abbattimento di un’intera foresta per la costruzione di villaggi, la rapida crescita demografica con conseguente riduzione di risorse naturali, acqua in primis, hanno inevitabilmente generato degli effetti collaterali causando notevoli disagi nelle popolazioni locali che vivono principalmente di agricoltura e allevamento. Inoltre, l’insufficienza di impianti igienico-sanitari ha poi provocato inquinamento delle acque ed epidemie di colera. Il presidente Museveni è stato accusato di strumentalizzare i rifugiati allo scopo di ottenere consenso e credibilità internazionale e distogliere l’attenzione dai suoi metodi autoritari. Intanto alcuni scandali hanno coinvolto funzionari dello stato accusati di aumentare il numero delle presenze dei rifugiati per ottenere maggiori finanziamenti dai donatori. In un rapporto del 2016 del Dipartimento di Stato americano sul traffico di esseri umani è stato segnalato il rischio che i bambini sud sudanesi negli insediamenti di rifugiati del nord dell’Uganda possano essere stati oggetto di traffico. C’è da evidenziare però che questo tipo di problematiche si riscontrano un po’ ovunque e che la gestione dei fondi sull’accoglienza può essere inquinata da personaggi senza scrupoli. Ne abbiamo avuto ampie testimonianze in Italia, nella gestione di alcuni Cas e Cpr e in Libia, dove fiumi di denaro europeo finiscono in mano a mercenari violenti.
In Uganda comunque la presenza delle ONG sta dando un valido contributo e si lavora con le comunità locali e dei rifugiati offrendo servizi di educazione, salute e medicina, formazione professionale e micro-credito. Molti progetti sono stati condotti proprio all’interno di Bidibidi: per garantire la massima partecipazione da parte dei migranti si organizzano seminari su tecniche costruttive sostenibili per contrastare il taglio degli alberi e avviare la riforestazione.
Inutile negare che questo sistema di accoglienza non presenti delle criticità e che l’arrivo massiccio e costante di rifugiati non lo abbia messo fortemente a rischio ma ciò non di meno l’Uganda, con la sua testimonianza, unico paese dell’Africa Orientale, sta insegnando ai governi di tutto il mondo che una politica di accoglienza dignitosa e rispettosa delle persone può realmente giovare alla collettività tutta.
Il dramma dei Minori straniere non accompagnati
Un’indagine di The Guardian e del collettivo di giornalismo transfrontaliero Lost in Europe ha denunciato che 18.292 minori migranti non accompagnati sono scomparsi nel nostro continente tra gennaio 2018 e dicembre 2020, equivalenti a quasi 17 al giorno. Solo nel 2020, 5.768 bambini sono scomparsi in 13 paesi europei. Nel 2016 Brian Donald, funzionario dell’Europol fu tra i primi a dare l’allarme. Già allora aveva denunciato la scomparsa di 10 mila minori stranieri l’anno eppure nulla fu fatto per contrastare il fenomeno. Ma dove finiscono questi ragazzi? Per il minorenne straniero non accompagnato finire nella rete della delinquenza strutturata è purtroppo tremendamente facile. A fronte di apparati pubblici che non esistono e non li proteggono c’è la criminalità organizzata, una struttura efficiente pronta ad accoglierli. Un reticolo perfettamente funzionante, fatto di cosche locali che nelle varie nazioni europee e africane hanno dato vita a reti transfrontaliere. Un giro di miliardi che inizia in Africa con la doppia opzione di trafficante di essere umani e trafficante di organi. I minori non accompagnati sono le vittime più probabili di questo traffico: se non hanno una famiglia alle spalle pronta a ripagare il debito o a fare da garante, possono venire ammazzati e gli organi rivenduti a 15.000 dollari. I trafficanti li mettono in borse termiche, li consegnano ai medici del Sahara, agli egiziani, come denunciato da Nigrizia in un report del 2018. Quelli che giungono in continente, trovano le organizzazioni criminali europee ad attenderli e i minorenni stranieri vengono spesso utilizzati per la prostituzione, le estorsioni oppure per lo spaccio . Nel marzo 2019, The Guardian e Lost in Europe hanno scoperto che almeno 60 bambini vietnamiti erano scomparsi dai centri di accoglienza olandesi; le autorità olandesi sospettavano che fossero stati trasferiti in Gran Bretagna per lavorare nelle fattorie di cannabis e nei saloni di bellezza ma non furono mai ritrovati. Herman Bolhaar, il relatore nazionale olandese sulla tratta di esseri umani, ha parlato della necessità di una stretta cooperazione a livello europeo per affrontare le cause per cui migliaia di minori migranti non accompagnati scompaiono senza lasciare traccia. Eppure, sebbene quasi tutti i paesi dispongano di procedure dettagliate intese a far fronte alla scomparsa di minori non accompagnati, secondo un rapporto del 2020 dell’European Migration Network, di fatto non funzionano.
Ricardo Gustavo Espeja dice
C’est autoritaire mais un pays pauvre donné une lesson au riche Commu
naute Européenne.
Mais la question des enfants sans famille est très
Horrible