Israele ha utilizzato i Territori occupati come la migliore vetrina del potenziale offensivo e di controllo dei sistemi d’arma e d’intelligence sviluppati dalle sue aziende di settore. È la tesi di Laboratorio Palestina, ultimo lavoro di Antony Loewenstein nel quale emerge il sostegno israeliano ad alcuni dei regimi più spietati degli ultimi settant’anni, e si denuncia come, paradossalmente, proprio questa capacità bellica e di controllo sono fattori determinanti nel ruolo centrale guadagnato dal Paese nella governance globale tanto da renderlo, nei fatti, inarrestabile
“La lezione che Israele dovrebbe imparare dall’Ucraina (…) è che la forza militare non è sufficiente, è impossibile sopravvivere da soli, abbiamo bisogno di un vero sostegno internazionale, che non può essere comprato semplicemente sviluppando droni che sganciano bombe”. Così all’inizio del 2022 il giornalista e opinionista Gideon Levy, nelle settimane dopo l’invasione della russa, aprì uno squarcio nella prospettiva che oggi, dopo anni di guerra in Ucraina e mesi di massacro in Palestina, appare chiara a chi non sia ottenebrato da fumi ideologici o furie partigiane.
Il mondo degli ultimi quarant’anni, quello del dopo Guerra fredda, sta esplodendo, le potenze (e le impotenze) mondiali si stanno riallineando lungo nuovi assi di gravitazione e riaccendono frizioni lungo tutte le linee di faglia: quelle nuove della corsa alle risorse strategiche e quelle geopolitiche storiche. Il libro di Antony Loewenstein Laboratorio Palestina, tradotto e edito da Fazi Editore, vincitore del Walkley Book Award per il miglior libro del 2023, il più prestigioso riconoscimento giornalistico in Australia – è una sorprendente inchiesta che ha molti meriti. Il principale è quello di ricostruire, da cinquant’anni ad oggi, con una passione documentale rara soprattutto nel nostro Paese, la scelta israeliana di imporsi come partner politico e tecnologico desiderabile in questa fase di ripresa di economia della guerra. E di utilizzare i Territori occupati palestinesi come laboratorio “in vivo” delle armi e delle tecnologie di sorveglianza che esporta in tutto il mondo e che alimentano la sua intoccabilità e crescente volontà di potenza.
Loewenstein, cinquant’anni anni, è un giornalista e documentarista investigativo australiano che ha scritto per testate come The New York Times, The Guardian e ha vissuto a Gerusalemme Est dal 2016 al 2020. Secondo la sua ricerca, l’occupazione illegale della Cisgiordania e della Striscia di Gaza ha fornito allo Stato israeliano un’esperienza formidabile nel controllo di una popolazione “nemica”, i palestinesi. La Palestina è diventata, così, per l’industria israeliana della difesa e della sorveglianza, una sorta di “pubblicità vivente” di come, con i propri sistemi tecnologici, si possano individuare e colpire le minoranze non gradite. Il libro esplora la capacità del sistema-paese israeliano di “vendere armi a chiunque le voglia”, quantifica quanto la tragedia dell’11 settembre si sia tradotta, in realtà, in un grande affare per il settore armiero e della sorveglianza. Dal “prevenire lo scoppio di una pace”, alla grande capacità di “vendere” come spot pubblicitario dei propri sistemi d’arma, l’occupazione israeliana al mondo, il libro esplora quello che definisce “fascino duraturo del dominio israeliano” e rintraccia nelle tecnologie per la sorveglianza di massa che si annidano “nel cervello del nostro telefono”, oltre che nella scarsa simpatia dei social media per i palestinesi e i loro diritti continuamente violati.
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Quando l’economia reale, a livello globale, è così concentrata e imperiale nell’imporre le proprie esigenze contro le ragioni legittime della società e dell’ambiente, da non riuscire nemmeno più a porgere il suo profilo riformista, si infrange contro i limiti del pianeta ma anche contro la sopportazione di cittadini e lavoratori sempre più sfruttati e silenziati. La nuova economia di guerra, e le tecnologie digitali che ne affinano gli obiettivi, ben pettinano le velleità autocratiche di tutte le forze politiche che le scelgono per provare a coprire la propria sostanziale insufficienza nel governo di questa fase tanto complessa. Quanto raccontato dal volume ne ricostruisce un paradigma esemplare.
Nonostante l’enormità e le potenziali evoluzioni evocate del sistema di violazioni denunciato, lo stile del libro è diretto e asciutto. Anche nei passaggi più sorprendenti o tragici, dove si rivelano connessioni oggettive tra mondi, personaggi, scelte sbagliate e drammatiche che attraversano i decenni rimanendo ugualmente tragiche e piene di conseguenze nefaste per popolazioni, regioni, intere epoche. Non c’è la ricerca dell’effetto, del colpo di scena: tutto è minuziosamente ricostruito, fattuale, autoevidente, accompagnato da un apparato di note e contesti che è esso stesso libro e spunto per decine di altre potenziali inchieste.
Dalle tecniche di polizia alle munizioni letali, dal software di spionaggio Pegasus ai droni utilizzati dall’Unione Europea per monitorare i migranti nel Mediterraneo, Israele, sostiene Loewenstein, aderisce al profilo del perfetto alleato dei neoimperialisti, come leader mondiale nei dispositivi militari e di intelligence che alimentano i conflitti più violenti del pianeta. Nel libro, grazie a documenti inediti, Loewenstein fa emergere e denuncia, ad esempio, il sostegno israeliano ad alcuni dei regimi più spietati degli ultimi settant’anni, tra cui il Sudafrica dell’apartheid, il Cile di Pinochet, la Romania di Ceaușescu, l’Indonesia di Suharto e il Ruanda prima e durante il genocidio del 1994.
Antony Loewestein mette in questa incredibile inchiesta anche una motivazione personale di particolare qualità: “Come essere umano e ebreo – spiega in un passaggio del volume – so che l’uguaglianza e la giustizia tra israeliani e palestinesi sono l’unico modo per risolvere questo conflitto. Questo libro è il mio contributo a porre fine a decenni di discriminazione e rivelare i meccanismi segreti grazie ai quali è potuta durare tanto. Il futuro non è ancora scritto”, aggiunge, indicando il potenziale di cambiamento di visione e di approccio che questo lavoro può determinare, se letto con apertura e senza tesi preconcette, rispetto alle implicazioni delle dinamiche descritte ben al di fuori dei Territori occupati.
“Laboratorio Palestina vede la luce nel momento più opportuno, come monito agli israeliani a liberarsi del loro fascismo”, scrive Moni Ovadia nella sua intensa prefazione. Anche servisse solo a questo, sarebbe già un libro da non perdere. Ma è una grande occasione, anche per i non ebrei, di ragionare sull’escalation militare praticata come soluzione della crisi politica globale. A partire dalle scelte di un Paese che aveva cultura e storia adeguati a far vivere la democrazia nelle sue forme più alte, e che è, invece, sempre più il paradigma della deriva antidemocratica, coloniale e bellicista che rischia di prevalere anche in Europa.
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maria gianotti dice
Deriva coloniale, antidemocratica e bellicista che in Europa ha già prevalso, o forse non era mai stata cancellata, come dimostra ciò che accade alle frontiere, la vendita delle armi a chiunque le paghi, il trattamento riservato alla grecia….