Ray Acheson è una femminista e da molti anni è impegnata nella campagne antinucleari. In questo articolo spiega perché il Trattato internazionale sulla proibizione delle armi nucleari è un documento importante, ma soprattutto diverso dalla maggior parte degli altri documenti dell’Onu, e ricorda quali sono i limiti del testo. Per la cronaca, tutti gli stati dell’Ue che non hanno ratificato il Trattato e che ospitano sul loro territorio testate Nato, in giugno erano presenti come osservatori alla conferenza degli Stati che hanno sottoscritto il Trattato, ad eccezione dell’Italia che pertanto non ha contribuito al dialogo che si è aperto con tutti i paesi. “Non stiamo solo costruendo un Trattato, stiamo costruendo una comunità – scrive Acheson – Una comunità di attori che comprendono la realtà delle armi nucleari e che hanno il coraggio di rinunciarvi e di investire in un mondo migliore. Tutti sono benvenuti. Il nostro futuro dipende da questo…”

Dal 19 al e il 23 giugno a Vienna si è tenuta la prima conferenza degli Stati (1MSP-First Meeting of the States Parties) che hanno sottoscritto il Trattato internazionale sulla proibizione delle armi nucleari (documento a cura della Campagna Senzatomica e Rete Italiana Disarmo). Stipulato dalle Nazioni Unite già nel 2017 ed entrato in vigore il 22 gennaio del 2021, il trattato è ad oggi l’unico accordo internazionale che ha come obiettivo la messa al bando non solo l’utilizzo delle armi nucleari, ma anche la minaccia del loro uso, il loro stoccaggio e il loro sviluppo. Il trattato al momento è stato ratificato da 66 stati e firmato da altri 82 stati1. Tutti gli stati dell’Unione europea che non hanno ratificato il trattato e che ospitano sul loro territorio testate Nato (Germania, Belgio e Olanda) erano presenti come osservatori, ad eccezione dell’Italia che pertanto non ha contribuito al dialogo che si è aperto con i paesi che hanno ratificato il Trattato. All’importante evento hanno partecipato associazioni pacifiste e delle vittime. Di seguito, Ray Acheson, responsabile del progetto disarmo della Women’s International League for Peace and Freedom, ne riassume i tratti salienti mettendo in rilievo le possibilità che si aprono all’attivismo a livello internazionale.
Nella giornata conclusiva della prima riunionedegli Stati Parte (First Meeting of States Parties 1MSP) del trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Treaty on the Proibition of Nuclear Weapons (TPNW), gli Stati Parte hanno adottato una forte Dichiarazione (pdf) e un altrettanto forte Piano di azione (pdf). Entrambi i documenti mettono gli stati nucleari fermamente sull’avviso: le loro azioni e le loro politiche sono inaccettabili, immorali e illegali e si stanno mettendo a punto piani per l’eliminazione dei loro arsenali e per la giustizia riparatrice per i danni che hanno causato. È giunto il tempo per chi possiede queste armi atroci di rinunciare alla politica di violenza e di unirsi alla maggioranza della comunità internazionale nella ricerca della pace attraverso la cooperazione e il disarmo.
Disarmo in azione
Rispetto a molti altri documenti conclusivi delle Nazioni Unite, la Dichiarazione esprime chiaramente la sua posizione. Parla in modo perentorio contro le armi nucleari descrivendole come armi che sono usate per reprimere, intimidire e aumentare la tensione. “Questo mette in risalto ora più che mai la falsità delle dottrine della deterrenza, che sono basate e fanno affidamento sulla minaccia dell’uso effettivo delle armi nucleari e pertanto, sui rischi di distruzione di innumerevoli vite, società, nazioni e sull’inflizione di conseguenze catastrofiche a livello globale”. La Dichiarazione inoltre esprime allarme e sgomento “per le minacce di usare le armi nucleari e per la crescente e stridula retorica”. Gli Stati Parte “condannano inequivocabilmente tutte le minacce nucleari, sia esplicite che implicite, in qualunque circostanza”.
Il Piano di azione offre un percorso chiaro per un’azione collettiva contro le armi nucleari. Lungi dall’essere una semplice dichiarazione di intenti, il documento è una tabella di marcia elaborata dagli Stati Parte in collaborazione con i sopravvissuti, le comunità colpite, la società civile, le organizzazioni internazionali e consiste in passi pratici per mettere in atto il trattato. Le azioni includono un lavoro iniziale sulla base di un fondo fiduciario a sostegno delle persone che sono state danneggiate dalle esplosioni nucleari, prevedono l’istituzione di un comitato scientifico consultivo, stabiliscono una scadenza di dieci anni per la distruzione delle armi nucleari, l’aumento del numero degli Stati Parte e molto altro ancora.
Genere, intersezionalità e rappresentazione
Nessuno dei due documenti, naturalmente, è perfetto. La Dichiarazione, per esempio, rafforza una concezione di genere binaria, sottolineando “l’importanza della partecipazione uguale, piena ed effettiva di uomini e donne alla diplomazia per il disarmo nucleare”. Non riconosce altre identità di genere, né avanza un approccio intersezionale (pdf) al disarmo che viene adottato in sempre maggior misura dagli attivisti che riconoscono la sovrapposizione delle oppressioni e delle esperienze basate sul genere, la sessualità, la razza, la condizione socioeconomica e molto altro ancora.
Detto questo, il Piano di azione impegna gli Stati Parte ad ottemperare ai loro obblighi in base al TPNW, ovvero a “stabilire uno spirito di cooperazione, inclusività e trasparenza, e a integrare le considerazioni di genere in tutto il lavoro dell’applicazione del trattato”, nonché a facilitare “la partecipazione attiva di parti interessate di rilievo, a tenere in considerazione i diversi bisogni delle persone delle comunità colpite e delle popolazioni native e ad assicurare una forte direzione di tutti gli Stati Parte.
Il Piano di azione contiene ulteriori quattro impegni (47-50) per la operatività delle disposizioni che riguardano il genere, inclusa l’istituzione di un Gender Focal Point, e per lo sviluppo di linee guida volte a garantire assistenza alle vittime con attenzione al genere e all’età per integrare le prospettive di genere nell’assistenza e nella cooperazione internazionale.
Il potere del processo
Di uguale importanza per gli esiti di questa riunione è il suo processo. Nonostante le difficoltà di un incontro ospitato nel Nord globale nell’ottenere i requisiti di accessibilità – a causa delle restrizioni dei visti, dei viaggi lunghi e costosi come pure delle attuali sfide del Covid-19 e del cambiamento climatico – questo convegno è stato uno degli incontri intergovernativi sul disarmo nucleare più inclusivi che si siano mai tenuti. La rappresentanza governativa degli stati che hanno aderito al trattato a livello mondiale, provenienti specialmente dal Pacifico, dall’America latina, dai Caraibi, dal Sud Est asiatico e dall’Africa, è stata molto forte. Gli attivisti, le attiviste, gli accademici e le accademiche presenti provenivano prevalentemente dal Nord globale, ma i sopravvissuti, le comunità colpite e i gruppi della società civile provenienti dal Sud globale hanno partecipato in modo significativo e in numero più elevato rispetto ad altri incontri sul trattato nucleare.
Di grande importanza sono state le decisioni e le azioni adottate dal 1MSP radicate nel vissuto di coloro che conoscono per esperienza gli impatti delle armi nucleari. Il Piano di azione sottolinea l’importante principio “niente su di noi senza di noi” e assicura che coloro che sono stati colpiti maggiormente saranno i più coinvolti nell’attuazione degli obblighi positivi. Nelle osservazioni conclusive il presidente, ambasciatore Alexander Kmentt, ha detto: “Ringrazio voi, sopravvissuti e comunità colpite, che avete iniziato un nuovo modo di lavorare insieme per portare avanti i nostri obiettivi”.
Collaborazione e solidarietà
Si spera che questa nuova modalità di azione si possa estendere oltre gli stati 1MSP, agli stati nucleari e a quelli che li sostengono. Un approccio collaborativo è essenziale rispetto alle comunità colpite, ma anche nelle relazioni di uno stato con l’altro. La polarizzazione intorno a questo trattato, che è stata costruita ad arte da coloro che ricevono benefici economici e politici dalla violenza nucleare, deve cessare.
La Dichiarazione ha “deplora[to] le azioni di alcuni stati nucleari volte a scoraggiare gli stati non nucleari dall’unirsi al trattato” e ha suggerito “che l’energia e le risorse di questi stati sarebbero meglio dirette nel fare concreti progressi verso il disarmo nucleare”.
C’è molto lavoro da fare, come evidenzia il Piano d’azione e ce ne sarà ancora di più in futuro. Alcune raccomandazioni da parte di ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) e di altri attori della società civile, dei sopravvissuti e dei gruppi accademici, non compaiono nel piano; certamente ci saranno più suggerimenti da parte dei governi via via che si procederà nell’attuazione. Tutti gli stati che sono al di fuori del trattato dovrebbero unirsi in questo lavoro per costruire un mondo sulla base della condivisione, senza armi nucleari.
“Noi non ci facciamo illusioni sulle sfide e gli ostacoli che ci stanno di fronte per realizzare gli scopi del trattato” si legge nel paragrafo finale della Dichiarazione, ma noi andiamo avanti con ottimismo e determinazione. Di fronte ai rischi catastrofici posti dalle armi nucleari e nell’interesse della sopravvivenza del genere umano, non possiamo fare diversamente. Seguiremo ogni via aperta e lavoreremo senza sosta per aprire quelle che sono ancora chiuse. Non avremo riposo finché l’ultimo stato non avrà firmato il trattato, l’ultimo ordigno bellico non sarà smantellato e distrutto e le armi nucleari non saranno totalmente eliminate dalla terra”.
Affrontare il peso nucleare nel modo più ampio
Naturalmente, in linea con gli impegni positivi del TPNW, il lavoro degli Stati Parte dovrà continuare anche dopo l’eliminazione delle bombe nucleari.
Come ha detto l’attivista Janine Yazzie – che tra l’altro coordina i protocolli (nucleartruthproject.org/protocols.html) del Nuclear Truth Project (nucleartruthproject.org/) – durante un evento collaterale sugli obblighi positivi, “gli impatti catastrofici delle attività connesse al nucleare non iniziano né finiscono con la detonazione di una bomba né l’omicidio di massa finisce immediatamente dopo l’impatto dell’esplosione. No, l’omicidio di massa che proviene dalla produzione di questi ordigni, da coloro che vi investono e che li proteggono continuerà fino a che continuerà la devastazione della salute dei nostri popoli e del nostro ambiente. Fino a che le nostre acque non si potranno ancora bere, il nostro suolo non sarà più contaminato e i nostri bambini non verranno più al mondo con l’uranio nei loro corpi”.
Allo stesso modo in una recente lettera al primo ministro e al parlamento australiano i membri dei popoli Yankunytjatjara, Kokotha, Adnyamathanha, Dieri e Kuyani e la società civile (icanw.org.au) hanno affermato che “lungi dall’essere eventi ormai passati alla storia, noi affermiamo con chiarezza che i test in sé stessi non sono stati i soli danni. La distruzione che si lasciarono alle spalle e le attuali complicazioni e paure per le ricadute tossiche, la contaminazione e le ferite mentali sono ancora fortemente sentite dalle comunità aborigene nelle regioni in cui si svolsero i test”.
Il TPNW è un trattato volto a fermare le minacce nucleari, la corsa all’armamento nucleare e le armi nucleari. Ma è anche un trattato che mira non solo al disarmo, ma all’abolizione. Questo significa che aspira alla giustizia, che aspira non solo a smantellare le bombe, ma a costruire un mondo che sia sicuro per tutti, in solidarietà con tutti. In questo senso il TPNW è uno strumento adeguato ad affrontare questi mali e queste eredità, se gli Stati Parte ne avranno il coraggio.
Costruire una comunità
Il primo incontro degli Stati Parte ha indicato che è possibile per il TPNW raggiungere i suoi obiettivi. Questo perché le persone viaggeranno per il mondo per aiutare a costruire il piano e la sua realizzazione, e perché noi metteremo tutta la nostra energia e la nostra passione per assicurare che sia messo in atto pienamente e in modo efficace.
Vedere il trattato in azione può attrarre altri stati e indurli ad unirsi. Durante il 1MPS otto paesi hanno annunciato che stanno lavorando per ratificare il TPNW: Brasile, Democratica repubblica del Congo, Ghana, Repubblica Dominicana, Indonesia, Mozambico, Nepal e Niger. Sappiamo che altri stati hanno messo in atto questo processo. Assistere al successo del trattato, inoltre, induce gli stati a proporsi come sedi di futuri incontri. Il Messico terrà la presidenza del 2MSP che si svolgerà dal 27 novembre al 1° dicembre 2023 presso la sede delle Nazioni Unite a New York. Il Kazakistan presiederà il 3MSP2.
Non stiamo solo costruendo un trattato, stiamo costruendo una comunità. Una comunità di attori che comprendono la realtà delle armi nucleari e che hanno il coraggio di rinunciarvi e di investire in un mondo migliore. Tutti sono benvenuti. Il nostro futuro dipende da questo.
Note
1 Per un aggiornamento su firme e ratifiche rimando al sito: https://www.icanw.org.
2 Il Kazakistan ha ratificato il Trattato il 29 agosto 2019 nel settantesimo anniversario della prima esplosione nucleare nel suo territorio. Per quarant’anni, dal 1949 al 1989, l’Unione sovietica ha condotto in segreto test nucleari nella regione sia in superficie che nel sottosuolo. La storia di queste sperimentazioni e delle drammatiche conseguenze sulla popolazione è stata ricostruita nella recentissima opera di Togzhan Kassenova, Atomic Steppe. How Kazakhstan Gave Up the Bomb, Stanford University Press, Stanford 2022 (N.d.T.).
L’articolo – titolo originale La prima riunione degli Stati Parte prende una posizione forte contro la bomba, è stato pubblicato su Reaching Critical Will-Women’s International League for Peace and Freedom, “Nuclear Ban Daily”, vol. 3, n. 4, 23 giugno 2022, pp. 1-3, e qui con con l’autorizzazione dell’autrice, Ray Acheson, femminista antinucleare (traduzione di Bruna Bianchi per Comune).
[Questa pagina fa parte di Voci di pace, spazio web
di studi, documenti e testimonianze a cura di Bruna Bianchi]
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