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Ho caricato un Tir. Quando nel 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina ero a Lione (con mia figlia Clara e suo marito Kostia che ha la cittadinanza ucraina e quella francese) e ho assistito all’arrivo continuo di persone con pacchi, alimenti, vestiti per tutto il giorno che facevano la loro parte per mandare un sostegno alla popolazione invasa. Quando alla sera arrivò il Tir si creò di nuovo una lunga fila di volontari e volontarie che trasportarono tutte le scatole nelle quali avevamo sistemato gli aiuti e quell’andare e venire divenne un continuo incontrare e salutare ciascuno degli sconosciuti con cui stavamo caricando il camion. Alla fine, quando ormai la navata della chiesa fu quasi sgombra consegnando la mia scatola al trasportatore mi resi conto che il Tir non era stipato fino all’orlo e pensai a quanto fosse capiente da aver potuto contenere la solidarietà di tutta quella gente.
Leggendo oggi dalla testimonianza di Walter Massa, presidente dell’Arci, che a Rafah di Tir ce ne sono in attesa migliaia (Affamare Gaza) mi rendo conto che bloccarli non punta soltanto ad affamare le persone di Gaza. C’è almeno un secondo obiettivo: quello di frustrare e far sentire impotenti chi quegli aiuti li ha inviati. L’infamità di lasciare senza cibo e medicine bambini e famiglie sfollati e sotto attacco in Palestina è la parte emersa dell’iceberg. Ma quella sommersa è ancora più pericolosa, perché punta a demolire la speranza di chi ha reagito con generosità verso un minimo rispetto dell’umanità.
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L’esercizio della forza da parte del governo e dell’esercito Israeliano a Gaza sembra puntare proprio a questo: distruggere il concetto di umanità, ridisegnare un “Noi” creando un “Loro” e negando a “Loro” ogni rispetto, ogni pietà. Dentro questo “Loro” non c’è solo il territorio di Gaza, la Cisgiordania, la Palestina: ci siamo tutte e tutti quelli che conservano un pensiero di pace e che credono in una possibilità di convivenza e in un altro modo di gestire e risolvere i conflitti. Continuiamo a mandare aiuti, ma cominciamo ad alzare la voce a difesa di chi vuole disertare, di chi fa obiezioni di coscienza alla guerra, di chi porta solidarietà e crea ponti.
Affamiamo la guerra, altrimenti la guerra finirà solo quando i nostri valori saranno morti con la sua vittoria.
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GAZA, UN QUADRO APOCALITTICO La delegazione organizzata da AOI, in collaborazione con Arci e Assopace Palestina, composta da cinquanta persone tra parlamentari, associazioni, Ong, accademici e giornalisti è in questi giorni al valico di Rafah. I camion di aiuti umanitari, fa sapere l’Arci, realizzati grazie alle donazioni di cittadine e cittadini, gruppi, comunità (e al contributo della Fondazione Con Il Sud), hanno attraversato il valico, lungo la strada ci sono però migliaia di altri convogli bloccati. Da quel valico la delegazione italiana torna a lanciare ancora una volta un appello accorato per chiedere il cessate il fuoco permanente. “La popolazione è allo stremo – si legge in una nota diffusa in rete – Gli aiuti da soli non bastano. Ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità per questa catastrofe umanitaria… Nella Striscia si sta consumando una catastrofe umanitaria senza precedenti…”. Nei giorni che hanno preceduto l’arrivo della delegazione alla frontiera, al Cairo ci sono stati gli incontri con le organizzazioni palestinesi per la difesa dei diritti umani, come Al Mezzan e Palestinian Centre for Human Rights, organizzazioni umanitarie internazionali come MSF ed Oxfam, agenzie delle Nazioni Unite come OMS, UNRWA e OCHA e, infine, la Mezzaluna rossa egiziana.
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