Certo, guerre, devastazioni ambientali e sfruttamento devastano il pianeta, uccidono e condizionano la vita di milioni di persone. Tuttavia, possiamo riconoscere anche nella notte più buia pezzi di mondo altro che in tanti modi diversi smantellano questo sistema dal basso, ne creano altri, per quanto fragili e poco visibili, e intessono relazioni tra loro. “La sopravvivenza della specie umana dipende dalla riscoperta della speranza come forza sociale…”: un articolo e un’intervista per ricordare lo straordinario e ancora fecondo pensiero di Gustavo Esteva
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Avevo un amico che coltivava pomodori rivoluzionari e tesseva speranza. Il suo nome è Gustavo Esteva. Egli è ancora fra noi come potrete leggere nei due documenti raccolti in questo articolo (e nell’archivio di Comune che ne raccoglie oltre 150) perché nel suo ricordo fioriscono e si consolidano iniziative.
La morte lo ha colto mentre stava iniziando a scrivere un libro sulla speranza forza sociale, a cui teneva molto. Il suo amico Ivan Illich aveva scritto molti anni or sono che “la sopravvivenza della specie umana dipende dalla riscoperta della speranza come forza sociale…”.
Il 16 febbraio scrisse che stava iniziando a scrivere il suo capitolo, dopo che su sua richiesta due amici avevano scritto i primi due capitoli: La rinascita della sperandi nel pensiero di Ivan Illich (Elias González Gómez,) e L’arte di organizzare la speranza (Ana Cecilia Dinerstein). Pochi giorni dopo in una nuova mail mi diceva di avere preso il Covid 19 e che ci saremmo sentiti. Il 18 marzo però Gustavo cambiò universo.
Del capitolo non si è trovata traccia sul suo PC, solo appunti di brani di Illich sulla speranza, ma sul mio c’è una corrispondenza fra Gustavo e me su alcuni temi che pensava di trattare. Dopo lunga esitazione, ne ho ricostruito una possibile versione e così il libro, cui Gustavo teneva molto, vedrà la luce prossimamente.
Vorrei ricordare il secondo anniversario del suo addio con un brano tratto da una conversazione che, in pandemia, ebbe un anno prima con Daniel Contartese del blog argentino Comunizar, che ho titolato Coltivare pomodori rivoluzionari e con un altro tratto dall’intervista, pubblicata postuma, concessa a un amico argentino con il quale ha lavorato strettamente negli ultimi mesi, ove parla di una delle sue ultime iniziative, il Tessuto delle alternative.
Coltivare pomodori rivoluzionari
[…] A New York e in altre grandi città nordamericane c’è stata un’incredibile carenza di lievito per fare il pane a partire dal mese di maggio: non se ne trovava più nei negozi perché migliaia e migliaia di famiglie avevano deciso di fare il pane in casa, di recuperare la tradizione di fare il pane in casa, e questo è successo anche a Buenos Aires. È successo dappertutto. La gente ha ricominciato a preparare il cibo in casa, a produrlo in casa, invece di andare a comprarlo all’angolo della strada. Erano esauriti in molte parti del mondo, ma negli Stati Uniti hanno misurato chiaramente i semi che sono stati venduti nei negozi per farli crescere in casa. Così molte persone hanno iniziato a farlo. Qui stiamo usando un’immagine per descrivere la cosa. Pensiamo che vada benissimo coltivare in casa in tutti i casi, ma dobbiamo essere consapevoli che coltivando in casa si possono coltivare pomodori reazionari o pomodori rivoluzionari. Se lo fai perché è di moda, perché la gente lo fa, se vai a comprare i tuoi semi e i tuoi prodotti chimici da Walmart o in qualche altro grande negozio e lo fai solo per te stesso, avrai pomodori reazionari. Ma se i semi sono semi di comunità, stai creando relazioni diverse con i tuoi amici, con i tuoi vicini; se stai scambiando semi, se stai scambiando la verdura o la frutta che coltivi in casa, stai facendo qualcos’altro, i tuoi pomodori saranno pomodori rivoluzionari. Stai creando una possibilità diversa. Se questa diversa possibilità si rivelasse scelta dalla maggioranza, allora smantelleremmo il capitale e l’agrobusiness dalla sua base.
Non dobbiamo andare ad attaccare la Monsanto o prendere il controllo degli uffici di Walmart, ma semplicemente smettiamo di averne bisogno. Esistono finché la macchina funziona, perché la usiamo, perché ne consumiamo le merci nelle cose, ma se la gente smette di consumare, la macchina si ferma… In diverse delle nostre conversazioni è successa una cosa molto bella, all’improvviso appare una signora che dice “Guarda, quando ero all’inizio del Covid, ero un po’ preoccupata perché il mio stipendio non bastava più per comprare tutto quello che mi serviva. Non sapevo cosa avrei fatto per risolvere il problema, ma la peste mi ha aiutato a pensare a ciò di cui ho veramente bisogno e ora, dopo quattro mesi, mi rendo conto che i soldi che ho sono sufficienti per tutto ciò di cui ho bisogno per vivere bene. Ero collegata per sentire che avevo bisogno di cose di cui non avevo davvero bisogno…”. Questo è smantellare il sistema dal basso, questo è liquidarlo, è smettere di consumare le cose che non si ha bisogno di consumare. […]
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