La nuova Strategia energetica nazionale del governo è imbarazzante. L’obiettivo di Passera di Monti, e delle imprese e delle banche che rappresenta, è consolidare il mercato dell’energia fossile. Il paese si appresta a diventare un grande rigassificatore per le importazioni di energia europee. Intanto, le Reti di economia solidale sperimentano convenzioni con produttori di energia 100% da fonti rinnovabili
Il dubbio è insidioso, ma forse non peregrino. Chissà se il nostro governo e le forze politiche che lo appoggiano leggono i documenti internazionali prima di elaborare le strategie per l’Italia del terzo millennio. E’ la stessa domanda che ci si fece quasi diciott’anni fa, quando il nostro paese aderì alla neonata Organizzazione mondiale del commercio dando la cosa per scontata. Qualcuno cominciò a domandare ai deputati e ai senatori di allora se avessero mai aperto il tomo di 30mila pagine che riassumeva le regole istitutive dell’organizzazione di Rue de Lausanne. La stessa domanda sorse spontanea per Maastricht. Per non parlare della golden rule sul pareggio di bilancio che andrà in votazione alle Camere nei primi mesi del prossimo anno. E se tutto ciò riguarda lo sviluppo economico, figuriamoci la sostenibilità, meno che mai quella climatica ed ambientale.
Secondo il recente rapporto della World Energy Organization, autorità del settore a livello mondiale, per rimanere all’interno del «450 scenario», cioè quella concentrazione di CO2 che permetterebbe di rispettare (con una probabilità fifty-fifty) il limite di aumento di temperatura di 2∞C sopra il livello preindustriale «più dei due terzi delle attuali riserve di combustibili fossili non potrebbe essere commercializzata prima del 2035». La precisazione è «in caso di mancata diffusione della tecnologia Ccs (Carbon Capture and Storage)» che però, stando alle previsioni future, avrà dei costi per nulla convenienti ancora per molto tempo. Con buona pace delle finte promesse fatte ai minatori del Sulcis.
Circa i due terzi delle attuali riserve di carbonio immagazzinate nel sottosuolo (siamo attorno alle 2860 miliardi di tonnellate di CO2) sono concentrate in alcune zone (Stati uniti, Canada, Cina, Medio Oriente e Russia), ma nel campo energetico stanno accadendo rivolgimenti fino a ieri impensabili. Lo sviluppo di una tecnologia altamente impattante come il fracking ha permesso agli Stati uniti di diventare in pochi anni indipendenti energeticamente grazie all’ampia disponibilità di gas naturale non «convenzionale». Non solo diventeranno a breve tra i primi esportatori al mondo, ma gli stessi prezzi del gas verranno rivoluzionati. Basti pensare che i prezzi nel mercato interno statunitense si sono ridotti ad un quarto.
Davanti a questo scenario, e poco prima dell’apertura della Conferenza Onu sul cambiamento climatico che si sta tenendo a Doha in questi giorni e che chiuderà i battenti il 7 dicembre, il governo ha fatto circolare la bozza di Strategia energetica nazionale. Il biglietto da visita con cui si presenterà alle Nazioni unite per dimostrare come il nostro paese, all’interno dell’Ue, stia attivamente contribuendo al pacchetto Clima.
E le proposte sono imbarazzanti. Dando per acquisita la rivoluzione delle rinnovabili e soprattutto del fotovoltaico, che si è sviluppata grazie al sistema di incentivazione degli ultimi anni, ma che rischia di essere rasa al suolo dall’ultimo Conto Energia, l’obiettivo di Passera e di Monti sarà il consolidamento del mercato dell’energia fossile in Italia.
A cominciare dalle trivellazioni anche offshore, su cui si di un sostanziale via libera soprattutto per le consessioni rilasciate negli anni scorsi, per arrivare allo sfruttamento della Basilicata, agendo sull’aumento delle royalties e nonostante l’opposizione locale.
Ma parte del leone farà il gas, con l’obiettivo di rendere l’Italia la porta d’ingresso delle importazioni europee del gas naturale proveniente da mezzo mondo. Un vero e proprio hub, che dovrebbe svilupparsi con investimenti pubblici e privati sia per i trasporti che per lo stoccaggio (ed i rigassificatori).
Quanto l’Europa abbia bisogno di questo è da capire, se si considerano le prospettive di crescita del mercato nei prossimi anni, che non sono né certe né brillanti. Di certo ne hanno bisogno i principali attori di questo mercato, non ultimo Eni. Che dopo il protagonismo al vertice di Rio+20 e l’apertura del Forum sulla cooperazione oggi bussa alla porta del ministero dello sviluppo economico chiedendo una condivisione con i cittadini dei costi dei contratti di fornitura.
Come tutto questo si sposi con la necessità di tagliare, seriamente, le emissioni di CO2 di fronte ad un clima impazzito è ancora da capire. Anche per questo la società civile si sta attivando autonomamente, cercando soluzioni immediate al problema del cambiamento climatico da una parte e delle politiche aggressive delle grandi multinazionali, non ultime le pressioni e le minacce di Enel nei confronti di Greenpeace per la sua campagna contro il carbone.
E’ anche grazie al lavoro dell’Associazione Co-energia, nata in seno alle Reti di economia solidale, che è possibile mettere in campo strategie alternative grazie alla convenzione con produttori di energia elettrica che propongono contratti 100% da fonti rinnovabili. Non è la panacea di tutti i mali, ma certamente è un primo passo verso fornitori con politiche un po’ più sostenibili rispetto a quelle delle grandi aziende. O comunque verso fornitori su cui la pressione della società civile organizzata può farsi sentire meglio e con più efficacia.
Una politica energetica nostra, che non ci faccia del tutto dipendere dall’estero, è possibile solamente se avvengono degli investimenti per sviluppare fonti di energia diverse da quelle sfruttate fino ad oggi. Altrimenti facciamo solo chiacchiere.
Esatto Antonino, servono investimenti. E se consideriamo che le energie rinnovabili non sono ancora arrivate alla grid-parity questi investimenti devono essere pubblici e cospicui. Ciò significa, se vogliamo evitare di sprecare denaro pubblico, che la strategia a cui dovrebbero sottostare dovrebbe essere sostenibile, viabile e di larghe vedute. La Strategia energetica nazionale, anche se ancora in bozza, ha come orizzonte di tempo il 2020, quando tutti gli studi sul tema guardano al 2035 se non al 2050. Così come i Governi (basti vedere i piani di sviluppo cinesi o indiani) e per non parlare delle imprese. Quelle scritte nella bozza sono tante chiacchiere, che però inchiodano il nostro Paese ancora ad un futuro fossile.