di Anna Foggia Gallucci*
Succede che giorni fa critico su facebook un’immagine della campagna referendaria perché la trovo volgare e penso che utilizzi uno stereotipo sessista, che resta becero nonostante sia parte della vulgata comune, giacché la sua estrema diffusione non ne nobilita il senso. Succede anche che, com’è normale che accada, ci sia una persona che non la pensa come me ed esprime la sua opinione in un commento sotto il mio post; ci confrontiamo scambiando un paio di battute, dopodiché mi posta l’immagine che io ho criticato. “E facciamocela una risata!”, incoraggia.
Succede che, tuttavia, non riesco a ridere su questa roba. Così, cancello l’immagine e le spiego che la trovo veramente brutta, pertanto non la voglio sulla mia bacheca, così come non voglio a casa mia persone che si divertono con volgarità e turpiloqui. Sono scelte legittime, no? No, invece, pare proprio di no. Dopo un po’ mi accorgo, infatti, che la persona in questione ha postato quella stessa immagine sulla sua bacheca stimolando e sollecitando la derisione nei confronti di chi osa definire volgare quell’immagine, tipo me, per esempio! Il branco virtuale si scalda. Trovo questo comportamento abbastanza scorretto; le tolgo, allora, l’amicizia perché, nel virtuale come nel reale, preferisco non frequentare persone che non apprezzo piuttosto che trascendere nel dialogo senza ascolto che si produce quando salta il rispetto dell’altro e si passa alla derisione, allo scherno, al dileggio. Con l’aggravante ricorrente del raduno delle squadre (o squadracce) seppur virtuali.
È a questo punto che mi ritrovo insulti osceni nei messaggi privati da parte di persone che non conosco ma che non mi perdonano di aver criticato la famigerata saponetta nella doccia dell’immagine in questione e, anzi, traggono spunto da questa per dar voce a quello che hanno dentro, nei cassetti sempre a portata di mano in cui sono riposti, pronti per l’uso, marciumi e trivialità.
Il caso vuole che io legga questi messaggi proprio mentre rientro dalla grandiosa manifestazione Non una di meno (leggi anche Il femminismo in una manifestazione di Lea Melandri), contro la violenza sulle donne. Sono avvolta da energie positive e propositive, determinazioni, gratitudine, complicità, solidarietà, sorellanze e fratellanze.
Mi resta in mente quel “e facciamocela, una risata!” che ricorre spesso per assolvere, giustificare, sdoganare, autorizzare, esaltare, magnificare oscenità. Ma non me la faccio una risata; no, in verità me ne faccio tante. Ma – stupore e meraviglia! – riesco a farmele senza offendere me stessa e/o altri, senza turpiloquiare, ingiuriare, umiliare, ricorrere a bassezze, volgarità, inciviltà di ogni tipo, soprattutto aventi oggetto sistematicamente donne e omosessuali, guarda il caso. Giuro, si può!
Invece, i “picchiatori verbali nascosti nell’ombra del loro vicoletto” come li definisce adeguatamente Michele Serra nell’amaca che scrive a proposito degli insulti a Laura Boldrini, non resistono mai alla tentazione di mostrare la loro levatura sotto il livello del mare. Come la signora Maria Feliziani, “picchiatrice verbale” tra quelli i cui insulti sono stati diffusi dalla presidente della Camera il 25 novembre, che quando viene intervistata nel merito nè da un saggio che non ha bisogno di interpretazioni: “Non lo so nemmeno io, sarà stata la rabbia per come mi sento quando torno dal lavoro la sera. …. Non volevo offendere lei, era un insulto a tutti. …. non ce l’ho con lei, manco la conosco di persona, come faccio a giudicare? L’ho spiegato, è stata ignoranza”.
Posso ritenere che anche la signora che in privato mi indirizza offese ispirate dalla famigerata saponetta nella doccia, abbia le stesse “valide” motivazioni della signora Maria; inquietante, oltre l’ingiuria in sé, che nell’escalation del suo sfogo, la “mia” signora Maria, ci inserisca pure le intenzioni di voto, giustificandole con la sua rabbia: quando si dice una scelta ponderata, ahinoi.
Queste signore Marie, probabilmente, spiegano il perché il nostro Paese arranchi e fatichi così tanto sulle strade della civiltà. Terapeutico sarebbe stato immergersi in quella meravigliosa e colorata energia propulsiva che è stata la manifestazione Non una di meno.
Ma effettivamente, la lotta – vera, quotidiana – contro la violenza queste persone non possono farla, giacché la loro pratica espressiva è molto più affine allo squadrismo fascista, magari nuovo, versione web, quindi più facile e meno rischioso da agire, adatto a molti più vili di quello tradizionale che già ne raccoglieva parecchi; ben lontana, evidentemente, dalla legittima critica politica.
“C’è grossa crisi”, come diceva Quelo-Guzzanti.
Mi sono trovata a leggere e ascoltare commenti “che voi umani non potreste mai immaginare” da chi la comunicazione corretta dovrebbe ben conoscerla e farne un principio guida, per il ruolo che occupa nella società; penso a chi fa politica, a chi opera professionalmente nel sociale, al personale scolastico, a genitori di bambini e ragazzi, insomma, a chi ha davvero in mano il futuro. Per chi di loro tace o sostiene che anche le ingiurie “ci stanno” perché libere opinioni, non nutra, però, dubbi in merito: l’articolo 21 della Costituzione che garantisce la libertà di manifestare il proprio pensiero non ha nulla a che fare con gli inviti allo stupro, a pratiche affini o alla soppressione fisica del nemico, che troppo spesso, poi, è una nemica.
Infine, siccome rancori e mal di pancia vari, soprattutto serali, a detta della signora Maria, sono responsabili di questa fattispecie di degenerazione antopologica, va detto che esistono pratiche diverse ed efficaci di contrasto: tisane, yoga, stretching, camminata lenta nel verde, camminata veloce su pista ciclabile, corsa, meditazione, pittura, musica (quella classica in special modo ma anche altri generi funzionano alla bisogna), motocicletta (associata allo zen), ma anche cibi ipercalorici (per chi non ha problemi di linea e di colesterolo) dal cioccolato ai cannoli siciliani, passando per i maritozzi con la panna e le ciambelle fritte. Come sempre: cambiare si può, provare si deve.
Non senza farsi una risata, signora mia, anzi, anche più di una. Nel rispetto di se stessi e degli altri.
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