Nel tempo in cui il dominio dell’orrore sembra non avere crepe una delle poche cose che possiamo fare è imparare insieme a desiderare in modo appassionato. Cominciamo a farlo con le meravigliose e irriverenti parole di Maria Galindo, grazie a un testo preparato in occasione di un premio ricevuto dal ministero della Cultura francese, ma sarebbe potuta essere qualsiasi altra istituzione occidentale. “Voglio approfittare per esprimere i miei desideri al ministero della Cultura della Repubblica francese… Desidero che capiscano che non siamo né latini, né americani… Desidero che i bambini, le bambine e le bambin@ francesi imparino a scuola che prima della Rivoluzione francese del 1789, sono state le ribellioni anticoloniali, quelle che sognavano mondi di democrazie e abbondanza per tutti… Desidero che il ministero si assuma il compito di cambiare il titolo della Storia Universale della Filosofia con il titolo di Storia Particolare e Parziale della Filosofia… Desidero che la cooperazione internazionale nei paesi del sud la smetta di parlare di sviluppo… Desidero che capiscano che i loro principali problemi come società sono il razzismo e il colonialismo e che devono lavorare su questi temi all’interno del loro sistema educativo… Le società dei paesi che fanno parte dell’UE, hanno smesso di capire, conoscere o apprezzare la presenza dell’”altro”, della “alterità”… Per questo approfitto di questa opportunità per definirmi come l’”altro”, per dire che mi piace essere l’”altro”. L’”altro” impossibile da tradurre, l’”altro” impossibile da capire, l’”altro” impossibile da addomesticare. Prometto di continuare a comportarmi male così come ho fatto finora…”

Premessa: con il petto pieno di medaglie artigianali di cartone che si stavano consumando, ho ricevuto l’onorificenza di Cavaliera delle Arti e delle Lettere conferita dal Ministero della Cultura francese. Lo scenario del conferimento è stato l’amata Vergine dei Desideri, questa volta piena di rappresentanti diplomatici. Erano presenti gli Ambasciatori di UE, Spagna, Germania, Francia, Svizzera e Svezia. C’erano i rappresentanti diplomatici di Cile ed Ecuador e diverse persone del servizio diplomatico della Francia e le compagne di Donne che Creano. Le mie medaglie artigianali di cartone erano: al Potere della Voce, alla Creatività come Strumento di Lotta, quella di Traditrice della Patria, quella della Sacra Foglia di Coca, alla dolce combinazione di Chotas, Cholas, Birlochas e Anti-Signore, alle Brutte con la F di Felicità. Con reciprocità e quale segno di simpatia consegno all’ambasciatrice una grande matraca (strumento musicale) personalizzata che invocava la diplomazia femminista.
Qui il discorso letto alla consegna.
Prima di tutto, voglio ringraziare sinceramente per questa medaglia. Vorrei iniziare chiedendo scusa a tutti, tutte e tutt@, perché questa sera di sicuro sarò ancora una volta nella mia vita, inadeguata, negligente e non sarò all’altezza delle circostanze.
Basterebbe dire tante grazie e finirebbe così, però voglio rischiare a dire alcune parole, anche se non saranno le più appropriate. Non ho mai ricevuto un premio, una medaglia o un qualche riconoscimento, non so farlo. Non mi hanno mai interessato nemmeno le medaglie, i titoli, o i premi di nessuno. Forse questo è dovuto alla mia educazione tra i militari, sempre adorni di spillette e decorazioni conferiti da dittature sanguinarie. Non le ho mai prese sul serio. La nomina la trovo come una situazione grottesca, e non so come è potuto succedere. Non so come comportarmi con i premi o le nomine, non so neanche fare un curriculum dei meriti, e da tempo ho convertito la mia lettera di presentazione in un riassunto degli innumerevoli arresti, censure, o degli insulti che ho subito.
Riguardo al mio lavoro posso dire solamente che è un lavoro al quale dedico molto amore e molto tempo, come fa la sarta, o la contadina o la cuoca. Il risultato è incerto, c’è sempre qualcosa che manca o che avanza. Posso dire che il mio lavoro è come un grande abbozzo, un grande scarabocchio imperfetto che resta in attesa di un momento che non arriva mai per essere migliorato, corretto e rivisto.
Ho abbandonato il perfezionismo al quale ero stata educata ed abbraccio la fallibilità e l’errore. Vista la quantità di personaggi su scala mondiale che hanno ricevuto questa medaglia immagino che il Ministero della Cultura francese non abbia paura di sbagliarsi con qualcuno di loro, e nemmeno che prenda troppo sul serio quello che dicono coloro che la ricevono.
Quindi, sapendo che le parole cadranno dalla mia bocca al suolo, senza poter prendere il volo, una direzione, e neanche una meta, voglio approfittare per esprimere i miei desideri al Ministero della Cultura della Repubblica francese riguardo a ciò a cui si riferisce la sua gestione della cultura:
Desidero che capiscano che non siamo né latini, né americani. Siamo un continente senza un nome che ha perso il suo diritto ad averne uno nella guerra coloniale. Chiamarci Latini ed Americani è parte della violenza concettuale, geografica e simbolica che hanno portato avanti e continuano a fare dall’Europa contro noialtri, noialtre e noialtr@.

Desidero che i bambini, le bambine e le bambin@ francesi imparino a scuola che prima della Rivoluzione francese del 1789, sono state le ribellioni anticoloniali, quelle che sognavano mondi di democrazie ed abbondanza per tutti. Nelle Ande le ribellioni dei Tupac Amaru e Tupac Katari furono le ribellioni anticoloniali incompiute che ancora alimentano i sogni della decolonizzazione delle nostre società.
Desidero che il Ministero delle Cultura francese si assuma il compito di cambiare i titoli della Storia Universale dell’Arte e della Storia Universale della Filosofia, con il titolo di Storia Particolare e Parziale dell’Arte e Storia Particolare e Parziale della Filosofia. Abbandonando la pedagogia di credersi universali e padroni del mondo.
Desidero che la cooperazione francese nei paesi del sud, incluso quello del quale faccio parte la smetta di parlare di sviluppo, in quanto non è lo sviluppo quello di cui abbiamo bisogno, vogliamo o desideriamo, perché il meglio che ci potrebbe accadere non solo come Bolivia, ma come mondo intero, è che capissero che non sono l’unico modello che può essere imposto al mondo.
Desidero che il Museo Quai Branly di Parigi chiuda restituendo ciascuno e tutti i reperti archeologici strappati ai nostri paesi e spogliati della loro ancestralità e della loro capacità di rappresentare la bellezza e la conoscenza per finire ammassati e presentati come pezzi dispersi senza un contesto. Voglio che capiscano che visitare le sue sale è come assistere allo smembramento culturale e artistico al quale siamo continuamente sottopost@. Questo non è un problema esclusivo della Francia: succede la stessa cosa con la Fondazione Humboldt in Germania, con la Museo dell’America in Spagna, e lo stesso succede in Inghilterra.
Desidero che capiscano che i loro principali problemi come società sono il razzismo e il colonialismo e che devono lavorare su questi temi all’interno del loro sistema educativo. La francofonia così come la ispanità sono i sottoprodotti di una espansione culturale cha ha raso al suolo la ricchezza linguistica e concettuale di intere società. Ci offriamo di cooperare dal sud con questo proposito.
L’UNESCO, con sede a Parigi, mi suona come uno schifo. Il suo lavoro di assegnare certificazioni da cartolina per indicare patrimoni tangibili od intangibili dell’umanità non ci serve a niente. Non vogliamo una certificazione UNOSCHIFO, che certifica il disprezzo coloniale per ciò che siamo e produciamo. Lo dico al plurale, anche se sono cosciente dell’enorme complesso del colonizzato che domina questa parte del mondo e sono stata testimone delle incredibili celebrazioni che si organizzano ogni volta che arriva da Parigi una di queste cartoline. Sia chiaro che non tutti lo celebriamo.
Quando sono stata di recente al festival del Teatro di Avignone al quale fui gentilmente invitata, sono stata accompagnata e quasi protetta durante tutta la mia visita dal filosofo Paul B Preciado. Il festival mi assegnò una traduttrice che era una persona molto gentile e molto competente, però non riusciva a tradurre il mio pensiero, non a causa del problema della conoscenza della lingua, bensì perché la traduttrice semplicemente non riusciva a comprendere le mie idee, per cui Paul Preciado la correggeva sempre. E così, la traduzione dei miei interventi era costantemente interrotta dal filosofo preoccupato che ciò che stavo dicendo fosse comprensibile per il pubblico. Siamo lontani, molto lontani l’uno dall’altro come società, la distanza non si risolve in una semplice distanza geografica o in una questione di contesti culturali. La distanza che ci separa è una densità filosofica e politica, aggravata dal fatto che le società dei paesi che fanno parte dell’UE, hanno smesso di capire, conoscere o apprezzare la presenza dell’”altro”, della “alterità”. Si tratta di una chiusura invisibile, benevola e non evidente che oggi arriva in molti casi fino all’estrema negazione del valore dell’”altro”.
Di fronte a ciò non sono pochi gli, le o l@ intellettuali del sud che si piegano sottomettendosi, assimilandosi o anche adeguandosi ad obbedire allo squallido copione che permetta a questa chiusura di potersi mimetizzare. Il caso di Vargas Llosa in Spagna è solo un esempio, in questa lista ci sono anche intellettuali e artisti donne e indigene che obbediscono al medesimo copione, sono sempre pronti ad argomentare in favore del colonialismo.
Per questo approfitto di questa opportunità per definirmi come l’”altro”, per dire che mi piace essere l’”altro”. L’”altro” impossibile da tradurre, l’”altro” impossibile da capire, l’”altro” impossibile da addomesticare. Prometto di continuare a comportarmi male così come ho fatto finora.
Pubblicato su radiodeseo.com , con il titolo Discurso de recepción de la Medalla de Caballero de las Artes y las Letras otorgada por el Ministerio de Cultura de Francia. Radio Deseo è l’unica radio dichiaratamente femminista della Bolivia, ma “che non fa del femminismo un discorso catechistico… una radio femminista nel metodo, aperta nei contenuti ad una pluralità di voci senza limiti…”.
Traduzione per Comune di Massimo Zincone.
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