La tratta degli schiavi fu condivisa da molti Paesi europei, così come il colonialismo. Anche il razzismo, istituzionalizzato e non, fa parte della storia europea, nella quale hanno preso forma fascismo e nazismo, mentre oggi l’Europa è quella che respinge i migranti e resta indifferente di fronte al massacro di Gaza… Prima di scendere in piazza, scrive Marco Aime, decidiamo per quali valore vale la pena lottare e per quali dovremmo chiedere scusa

Dicono: difendiamo i valori dell’Europa e tutti ad applaudire. Ma quali? Silenzio. Questo appello generico mette in evidenza nient’altro che un mai sopito eurocentrismo, un malcelato senso di superiorità spesso sbandierato, senza dubbio alcuno, da quei giornalisti televisivi glamour, che iniziano un articolo, dicendoci che mentre accompagnavano il cane a Central Park…
Sacrosanto difendere dei valori, ma prima di scendere in piazza, decidiamo per quali di essi vale la pena per lottare e per quali, forse, dovremmo addirittura chiedere scusa. Ha scritto il grande storico inglese Arnold Toynbee:
«Non è stato l’Occidente a essere colpito dal Mondo, è il mondo che è stato colpito – e duramente colpito – dall’Occidente».
La tratta degli schiavi fu condivisa da molti Paesi europei, così come il colonialismo e le violenze a esso connesse. Il razzismo istituzionalizzato e non fa anche parte della nostra storia, come i gulag sovietici, come il massacro di Srebreniça, il terrorismo basco, irlandese, italiano. In uno struggente passaggio de Gli aquiloni, Romain Gary scrive: «Si dice che la cosa più tremenda del nazismo sia il suo lato disumano. Sì. Ma ci si deve arrendere all’evidenza: questo lato disumano fa parte dell’umano. Fintantoché non si riconoscerà che la disumanità è cosa umana, si resterà in una pietosa bugia». Non solo il nazismo è stato disumano, è stato anche un valore espresso dall’Europa, come il fascismo.
Che dire poi di un’Europa come quella attuale, che studia ed elabora sempre nuovi metodi per respingere persone che sfuggono a vite dolorose e spezzate, spesso anche a causa dello sfruttamento di imprese europee, dimenticandosi il valore della solidarietà umana? Questo sì un valore che si dovrebbe difendere. E che dire di un’Europa rimasta assolutamente indifferente di fronte al massacro di Gaza?
La democrazia, certo, è un valore da difendere, ma attenzione, perché considerarlo solo ed esclusivamente una nostra creazione? Ne La democrazia degli altri il premio Nobel Amartya Sen ci spiega come presso altre culture, esistevano ed esistono forme di gestione, basate su principi diversi da quello elettivo, che possono però essere definite a tutti gli effetti “democratiche”, se non si riduce il concetto di democrazia alla semplice pratica del voto. Sen riporta esempi riguardanti l’India del III secolo a.C., sotto l’imperatore Ashoka, il Giappone del VII secolo e la Cina antica, dove la discussione pubblica era frequente e la partecipazione aperta a tutti i cittadini. La democrazia, secondo Sen, è innanzitutto discussione pubblica. In molti villaggi africani, le assemblee collettive vedono la partecipazione di tutti gli uomini e anche nelle situazioni più moderne, in cui le comunità si trovano a votare i loro rappresentanti in parlamento, spesso le decisioni vengono prese in modo collettivo, a dispetto della segretezza del voto, importata dal modello occidentale.
«La storia del mondo va da Oriente a Occidente – ha scritto Hegel -, L’Europa è assolutamente la fine della storia del mondo, così come l’Asia ne è il principio». Ogni angolo di mondo, in realtà, ha espresso valori condivisibili da tutti e altri che trovano un senso solo nella dimensione culturale che li esprime. «Il nostro giocare in piccolo non serve al mondo» ha detto Nelson Mandela, uno che ha saputo superare i ristretti confini del nazionalismo, dell’etnicità, dell’identitarismo.
Scendiamo in piazza per difendere i valori di un’umanità condivisa, anche dell’Europa, ma non solo dell’Europa.
Tra gli ultimi libri di Marco Aime, Pensare altrimenti. Antropologia in 10 parole (ADD) e Confini. Realtà e invenzioni (Ega). Nell’archivio di Comune, altri suoi articoli sono leggibili qui
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Grazie Marco,
hai descritto bene i motivi di quel senso di estraneità che a tratti mi ha pervasa nella folla di
piazza del Popolo a Roma.
(anche a commento del testo di Barbero :
“L’anima oscura dell’europeismo: il sogno (o incubo) di Spinelli tra geopolitica e realismo strategico)
Come hanno ben mostrato Hanse e Jonsson (vedi qui https://effimera.org/eurafrica-le-origini-coloniali-dellunione-europea-di-ludovic-lamant/ e qui https://effimera.org/eurafrica-le-origini-coloniali-dellunione-europea-prefazione-di-etienne-balibar/) la costrzione europea fu subito ipotecata dal pesante passato coloniale. E’ ovvio che la creazione di un’Europa come nuova potenza mondiale finisse per condurre prima al primato dell’economia e della finanza e poi all’ambizione di poter diventare anche potenza militare. Ed è ovvio che in questo processo la cosiddetta Europa sociale e dei diritti universali di tutti finisse per essere cancellata. Spinelli e Monnet non potevano che diventare cinici e sposare le logiche delle superpotenze. Dopo la 2a g.m. l’Europa occidentale fu totalmente sottomessa agli USA (a parte la parziale autonomia della Francia grazie all’abile gioco di De Gaulle che la fece passare per paese del fronte antinazista). Nel contesto attuale di fine del bipolarismo e soprattutto di feroce ascesa della controrivoluzione neoliberista e quindi delle lobby degli armamenti e della guerra permanente, destre ed ex-sinistra convergono nella pretesa di creare un’Europa potenza economica e militare. E’ probabile che non ci sarà mai la possibilità di trovare una nuova legittimità politica interna, basata su consenso democratico solo per la pace e uno sviluppo economico effettivamente sostenibile. Ma non è detto che il ritorno all’autonomizzazione dei singoli stati (e magari al sistema elettorale proporzionale) possa barrare la strada al militarismo europeista oggi in voga.
Il nostro eurocentrismo è una malattia inguaribile. Siamo razzisti e colonialisti per mandato divino o per diritto evolutivo:
Sian belligere genti, o sian tranquille; / Abbiano o no metalli indaco e pepe; / Di selve sieno o abitator di ville; / Stuzzicar tutti densi, ovunque repe / Quest’insetto tirannico Europeo, / Per impinguar le sue famelich’epe. (Alfieri, Satira XII)
La nostra malattia (ereditaria) l’abbiamo trasmessa al dilà dell’Atlantico e chi non ci piaceva l’abbiamo sterminato.
Vittorio Alfieri è più celebrato che letto, e sta ancora scontando la damnatio memoriae dei Savoia a cui aveva rifiutato di servire. Inoltre le sue opere politiche e morali (cioé tutte) furono condannate all’Indice dei libri proibiti da Pio XII e Leone XII, ai tempi della Restaurazione.
Tirannide indistintamente appellar si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle, od anche soltanto deluderle, con sicurezza d’impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo, usurpatore o legittimo; buono o tristo; uno o molti, a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. (Della Tirannide libri due, libro I, cap.2)
Aveva sperato nella Rivoluzione francese ma il Terrore giacobino – a cui era sfuggito di stretta misura – lo convinse che la tirannide (cioè un potere che non sopporta alcun controllo da parte del cittadino) sopravvive a qualunque formula di governo. quindi la libertà dei cittadini va cercata da ciascuno giorno per giorno (Molto oprar, poco dir, nulla vantarsi / base son di chi vuol libero farsi. Misogallo Epigramma 20 vv 1/2)