La povertà assoluta dilaga. La povertà è una nottata insonne. È una domenica torrida passata in un posto dove non c’è un cane per strada. È i libri di tuo figlio tutti strappati e sottolineati perché li hai presi al Libraccio che chi aveva quattrocento euro da spenderci. È una camicia col collo liso. È i denti che mancano in bocca. Ma è prima di tutto solitudine, perché domina il pensiero che la povertà è una colpa. E poi “abbiamo cose più importanti a cui badare – scrive Marco Arturi -, dalla guerra (che a qualcuno torna molto utile) a Dybala all’Inter passando per i prezzi degli ombrelloni. E ai referendum sulla giustizia (che nessuno andrà a votare) che non hanno niente a che vedere con la giustizia vera, che sarebbe anzitutto non lasciare solo chi è rimasto indietro….”
Tra pochi giorni arriveranno i dati ufficiali dell’Istat sulla povertà assoluta in Italia. Vi anticipo le stime preliminari in due cifre: si parla del 7,5 per cento delle famiglie, per cinque milioni seicentomila persone in totale. Che tradotto nella lingua degli ignoranti come me significa una persona su dieci. Ma questi sono solo numeri, che non ci dicono cosa significhi davvero vivere sotto la soglia di povertà assoluta; cosa che forse molti di noi avrebbero bisogno di capire, sempre se gli avanza il tempo tra una prenotazione aerea e una cena al ristorante.
La povertà assoluta è una buca delle lettere piena da scoppiare perché chi ha più il fegato per guardarla, è uno che sta in casa ma non risponde al citofono, è un calendario appeso al muro scrostato intasato di appunti indecifrabili che guardi in continuazione sperando che i giorni della tua vita passino in fretta. È una nottata insonne seguita da un risveglio da incubo; è una domenica torrida e noiosa passata in un posto dove non c’è un cane per strada, è un gelato non comprato perché fa male alla pancia, è una macchina con la targa che comincia per DD che non può circolare nei giorni dei blocchi ecologici. È una multa raddoppiata perché chi cazzo aveva i soldi per pagarla e poi pensavo sarebbe andata meglio e invece, è i libri di tuo figlio tutti strappati e sottolineati perché li hai presi al Libraccio che chi aveva quattrocento euro da spenderci. È quando a scuola chiamano tuo figlio per dirgli che tu non sei in ordine coi pagamenti, è quando compri merda sapendo di comprare merda all’hard discount poi vai sul social e leggi le reprimende di quelli con la pancia piena che dicono che le cose costano troppo poco e che bisognerebbe comprare a chilometro zero. È uno sguardo basso di fronte a un capo che ti rimprovera di fronte ai passanti. È una camicia col collo liso, è una scarpa con la suola consumata, è i denti che mancano in bocca.
È molte altre cose ancora, come la solitudine e l’isolamento: perché in questo paese, anzi nella testa della gente di questo paese, la povertà è una colpa, un peccato da espiare, un’onta da risciacquare, un reato. Chi è povero in qualche modo – pigrizia, incapacità, ignoranza – se l’è meritata, quindi non rompesse troppo: non pretendesse aiuti da noi che lavoriamo duro e paghiamo le tasse, non si aspettasse nessun bonus che quelli servono a chi i soldi li ha già. Il cash chiama il cash e hai poco da citare i Clash, che qui siamo nella vita reale e se non ce l’hai fatta è un problema tuo.
Ecco perché nessuna prima pagina, vi anticipo anche questo, per il 9,4% di persone che in questo paese stanno sotto la soglia della disperazione: perché non ce ne frega niente. Abbiamo cose più importanti a cui badare, dalla guerra (che a qualcuno torna molto utile) a Dybala all’Inter passando per i prezzi degli ombrelloni. E a cinque referendum sulla giustizia (che nessuno andrà a votare) che non hanno niente a che vedere con la giustizia vera, che sarebbe anzitutto non lasciare solo chi è rimasto indietro.
L’importante è fingere di non vederlo, quell’uno su dieci che non ce l’ha fatta, altro che cercare di dargli una mano o pretendere che chi dovrebbe farlo lo faccia: e poi magari è povero anche perché non è stato disposto a diventare un servo come noi. E fingere di non sapere che essere povero può anche significare arrivare a pensare che la vita non valga la pena di essere vissuta. Ma questo è meglio non raccontarcelo che ci si guastano i pensieri, anzi volevo giusto chiedervi: dove si va in vacanza quest’estate?
Rita dice
Bisognerebbe parlare solo di povertà, in effetti. Porcaccia miseria…
Paola Alphandery dice
Siamo dentro ad un sistema che ci ha resi ciechi e sordi..e abbiamo fatto finta di non accorgercene..perché fa comodo e c’abbiamo tutti le nostre paturnie…più o meno gravi.La rete cosiddetta sociale sta annullandosi da sola..e solamente dalla base arriva e viene costruito l’autoaiuto.Da lì si può forse ricominciare con un dispendio notevole di energie perché l’indifferenza regna..Importante è tagliare i rami secchi…ed occuparsi ed accudire concretamente i rari germogli che riescono a venir su nonostante tutto, partendo da noi stessi,non dimenticando il” banale fatto”che siamo tutti e proprio tutti legati l’uno all’altro….Ci siamo creati una profonda divisione interna che è disastrosa.Bisogna recuperare una qual forma di equilibrio interno ,stare vigili,centrati ,non dimenticare,reimparare a “so-stare”in quello che stiamo vivendo, allungare una mano,non mollare…
Dario dice
io sono uno di quelli “che dicono che le cose costano troppo poco e che bisognerebbe comprare a chilometro zero”. Perchè voglio che anche chi non può mangi meglio. E si può. Io, e altri insieme, facciamo in modo che accada. E’ poco, ma si fa