Possiamo offrire alla città, minata come la campagna dall’urbanizzazione, una nuova cultura politica? Secondo Murray Bookchin, riconosciuto come uno dei pionieri dell’ecologia sociale, le città hanno sempre il potenziale, più o meno latente, di diventare i luoghi nei quale riaffermare, in tante forme diverse, i concetti di autogestione politica e cittadinanza, spazi in cui ogni giorno rielaborare e ricomporre le relazioni sociali. Ampi stralci del prologo di Dall’urbanizzazione alle città (testo apparso per la prima volta nel 1987 negli Stati uniti e ripubblicato oggi da elèuthera)


In un’epoca in cui lo Stato-nazione è divenuto un fenomeno ambiguo, tanto che spesso la sua autorità è soverchiata da grandi società multinazionali, il cittadino – così come è stato sino a oggi definito – sta perdendo ogni senso di identità o potere sulla sua vita quotidiana. Questo vasto sistema politico-economico, dotato di vita propria, minaccia di eliminare del tutto il controllo già vacillante che le persone comuni possono esercitare sulla propria esistenza e il proprio futuro. È come se una macchina artificiale – capace di governarsi da sé e onnipervasiva – stia ormai soppiantando gli umani che l’hanno creata. […]
Una politica municipalista libertaria e confederale rappresenta dunque l’approccio migliore per prevenire qualunque «conquista» del potere statuale da parte di un’élite, cercando al contempo di accrescere lentamente il potere delle municipalità […]. Non si tratta di «conquistare» il potere dello Stato – per poi conservarlo gelosamente in eterno – bensì di espandere il potere popolare finché tutto il potere apparterrà alle istituzioni della democrazia partecipativa. […]
Per recuperare la politica, la cittadinanza e la democrazia dobbiamo non solo recuperare il nostro concetto di città come luogo in cui lavoriamo e siamo impegnati in una consociazione quotidiana, ma dobbiamo anche vederla come un’arena pubblica, in cui ci mescoliamo agli altri per discutere di affari pubblici, per esempio i modi per migliorare le nostre vite in quanto esseri civici. […]
La città è stata storicamente, il luogo in cui sono emersi concetti universalistici come quello di «umanità», e tuttora ha il potenziale di diventare il luogo in cui riaffermare i concetti di autogestione politica e cittadinanza, in cui rielaborare nuovi rapporti sociali e una nuova cultura civica. I passi che hanno condotto dal clan di consanguinei, dalla tribù e dal villaggio alla polis, o città politica; dai fratelli e dalle sorelle di sangue, che acquisivano le proprie prerogative per nascita, a cittadini almeno idealmente liberi di decidere quali responsabilità civiche attribuirsi e quali affinità privilegiare sulla base della propria ragione e dei propri interessi secolari – ebbene, tutti questi passi costituiscono una valida definizione di città. […]
In un’epoca in cui le funzioni tradizionali della città appaiono orrendamente sfigurate dall’ascesa delle megalopoli, dai politici di professione, dall’onnipresenza dello Stato-nazione, dal crescente controllo autoritario esercitato sull’individuo (checché ne dica l’usurata retorica elettorale con i suoi vuoti proclami sulla democrazia), è vitale indagare il passato per individuare gli elementi del comunalismo autentico, coglierli nella loro forma non adulterata, e riformulare una sintesi dei loro attributi migliori, in vista di una società più razionale di quelle che l’umanità ha conosciuto nella sua storia. […]


Merita precisare che sono fin troppo consapevole dei difetti del passato, pochi dei quali, ahimè, sono stati superati fino in fondo. La polis ateniese era gravata da schiavismo, patriarcalismo e imperialismo, tanto che ne fu infine avvelenata. Le migliori tra le città democratiche del Medioevo erano in parte oligarchiche e con il tempo lo divennero del tutto. Le città del Rinascimento e dell’Illuminismo presentavano forti tratti autoritari ed erano repubbliche civiche, salvo in quei pochi casi – in particolare le cittadine del New England durante la rivoluzione americana e Parigi durante la rivoluzione francese – in cui si produssero straordinari avanzamenti delle istituzioni democratiche. Ma presa nel suo insieme, questa è una storia condivisa che non si deve e non si può ignorare. […]
La città non è destinata a scomparire. È da millenni una parte cruciale della nostra storia, nonché un fattore rilevante nella formazione della mente umana. Stando così le cose, potremmo mai ignorarla? Ma questo significa che siamo tenuti ad accettarla così com’è – un’entità che peraltro rischia di essere obliterata da un’urbanizzazione incontrollata che minaccia anche le campagne? Oppure possiamo dotarla di un nuovo senso, di una nuova politica, di una nuova direzione, e offrire nuovi ideali di cittadinanza, molti dei quali in larga parte già realizzati nel passato? […]
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Un cavallo di Troia per costruire esperienze di autogoverno sono le comunità energetiche locali fondate sull’utilizzo dell’energia rinnovabile: si produce l’energia che serve là dove la si usa ottimizzando l’uso tra le entità partecipanti (non escludendo, anzi favorendo relazioni tra comunità)
Sto provando a progettare una “Transizione” dall’attuale sistema capitalistico ad uno nuovo post-crescita, basato sulla sperimentazione diffusa di nuove modalita’ organizzative della vita delle persone, partendo dalle comunita’ locali, con interventi del tutto possibili da subito: uno di questi fa proprio perno sulla promozione e realizzazione diffusa delle Energie Rinnovabili. Mi farebbe piacere entrare in contatto con Michele Grandolfo per confrontare le rispettive idee, grazie