ACutro il 9 marzo scorso si è svolto il consiglio dei ministri. Si pensava fosse stato organizzato lì per omaggiare i superstiti della tragedia del 26 febbraio ma non sembrerebbe così, dato che le salme presso il Palamilone di Crotone hanno visto solo la presenza del Capo dello Stato accorso dopo il naufragio. La presidente Meloni, invece, in una conferenza stampa per lei complessa e imbarazzante, ha detto, incalzata dai giornalisti, di voler invitare i sopravvissuti a palazzo Chigi. Nessuna visita sul luogo del naufragio dove sono stati rinvenuti (al momento) i corpi di 79 persone di cui un terzo bambini, nessuna visita alle salme quindi e nessun incontro con i familiari venuti da ogni dove, chi dalla Germania, chi dalla Francia per sostenere i propri cari, vivi e morti.
Giovedì 9 si è così svolto un consiglio dei ministri per “discutere” di quanto in realtà già deciso. Tra goffaggini prima, durante e dopo, il governo ha confermato la sua politica securitaria verso chi varca o prova a varcare i confini. In sintesi il nuovo decreto – Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare – introduce pene più severe per i cosiddetti scafisti (cioè chi è identificato come conducente dell’imbarcazione) e un nuovo reato di “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina”, con pene da dieci a vent’anni per lesioni gravi o gravissime a una o più persone; da quindici a ventiquattro anni per morte di una persona; da venti a trent’anni per la morte di più persone. Decreti espulsione più rapidi e snelli e avvio dell’abolizione della protezione speciale, introdotta nel 2020 dalla ministra Luciana Lamorgese nelle modifiche ai decreti sicurezza del 2018 di Salvini. La protezione speciale è un permesso di soggiorno concesso a coloro i quali non rientrano nelle categorie riconosciute ma comunque meritevoli di essere accolti grazie al loro inserimento nella comunità. Infine, il nuovo decreto introduce nuove disposizioni per gestire i centri di accoglienza e gli hotspot. In particolare, è previsto di “derogare al codice dei contratti pubblici, consentendo una maggiore speditezza nello svolgimento delle procedure” quando si tratta di aprire o ampliare i centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Una disposizione che lascia aperti molti interrogativi sulla trasparenza e la garanzia dei servizi come hanno dimostrato indagini condotte da associazioni come ActionAid e OpenPolis: dove l’affidamento è diretto, senza gara d’appalto, maggiore è il rischio di illeciti e infiltrazioni mafiose, come se questo non fosse già evidente anche ai non addetti ai lavori. Il pacchetto prevede inoltre che il decreto flussi – la concessione di permessi di soggiorno per motivi di lavoro – sia pianificato su un arco di tempo di tre anni e non sia stabilito invece ogni anno. Infine “i rinnovi del permesso di soggiorno rilasciato per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo o per ricongiungimento familiare avranno durata massima di tre anni, anziché due come oggi”.
Un decreto legge, dunque, che sembra finalizzato a rimarcare una logica politica precisa, non curante degli effetti catastrofici generati dai tristemente noti decreti sicurezza del 2018 che hanno costretto persone con un regolare permesso di soggiorno per motivi umanitari a lasciare i progetti di accoglienza, il lavoro, i corsi di formazione e finire nella clandestinità con tutte le conseguenze prevedibili. I decreti sicurezza hanno inoltre demolito numerosi progetti di accoglienza, riducendo posti di lavoro per psicologi, insegnanti, educatori. Un delirio le cui conseguenze sono ancora percepibili agli addetti del settore.
Cosa resta di questo viaggio al Sud del consiglio dei ministri? Nella conferenza stampa Giorgia Meloni ha dichiarato guerra ai trafficanti del mare (le pene per questo reato arrivano fino a trent’anni) ma ha finto di ignorare che tra trafficanti e scafisti esiste una differenza sostanziale: gli scafisti oggi sono, nella maggior parte dei casi, giovani migranti costretti dai trafficanti a pilotare i barchini (a volte addirittura legati al timone), scelti perché giovani – meglio se minori – e istruiti per questo scopo coercitivamente. Inasprire le pene nei loro confronti non solo non risolve il problema delle mafie del mare ma va a colpire le vittime di questo traffico. Il governo ignora anche il report – compilato da diverse associazioni specializzate in immigrazione – Dal mare al carcere, dove si legge che nel 2022 in Italia sono stati arrestati circa 350 scafisti e che in molti di questi casi è stato dimostrato che le persone arrestate non sono in alcun modo implicate con le organizzazioni che hanno organizzato la traversata ma “sono l’ultimo anello di una rete molto più grande, i cui vertici rimangono nell’ombra. In più […] sono spesso anche loro migranti ai quali è stato impedito l’ingresso in Europa, e che rischiano le proprie vite per attraversare le frontiere…”.
Sorprende inoltre che Giorgia Meloni, ribattezzata dai social “giustiziera del Mediterraneo” ignori quanto accaduto in Francia: il giorno dello show di Cutro, come ricorda un articolo di Luca Casarini pubblicato dal Riformista il 9 marzo, “la polizia francese ha fermato all’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi Imad Al Trabelsi, attuale ministro dell’interno libico, con una valigia piena di soldi in contanti, mezzo milione di euro, di cui il ministro non ha “saputo” dare spiegazioni…”. Il fatto è strettamente legato al Viminale dato che “il trafficante libico Trabelsi, promosso a ministro, il 21 febbraio era con Matteo Piantedosi nel suo ufficio, a Roma, per gli accordi “per fermare le partenze” dei migranti e dei rifugiati imprigionati in Libia. Che tipo sia questo galantuomo lo dice il suo curriculum: capobanda del sud ovest della Libia dilaniata del post-Gheddafi, già schedato dalle Nazioni Unite come uno dei più potenti trafficanti, a capo della milizia di Zintan”. Una conoscenza a dir poco imbarazzante per un ministro della nazione di un governo che rivendica il diritto-dovere di combattere la criminalità internazionale dei trafficanti di migranti.
Ma le situazioni imbarazzanti non finiscono qua. Il magistrato incaricato delle indagini della strage di Cutro è il procuratore capo di Crotone, Giuseppe Capoccia, che ha sviluppato la sua carriera all’ombra di Giorgia Meloni sin dal 2009, quando ricopriva l’incarico di vice capo dell’ufficio legislativo del ministro della gioventù. Un personaggio controverso e ben noto a Palazzo Marescialli, sede del CSM dove in molti vorrebbero non averlo mai incontrato, messo a capo di un’indagine che deve appurare le responsabilità dei vari attori che hanno provocato una strage come quella di Steccato di Cutro, Governo in primis. Nel CdM del 9 marzo è passato tra l’altro sotto silenzio anche il cambio al vertice della prefettura di Crotone che viene assegnato sempre nello stesso giorno all’ex vice prefetta dell’Aquila, Franca Ferraro. Una coincidenza?
Insomma, su tutta la tragica vicenda di Steccato di Cutro ci sono troppe ombre, troppe cose non chiarite. Nella nota conferenza stampa Giorgia Meloni ha chiesto esasperata se qualcuno “pensasse davvero che il governo e le istituzioni potessero fare qualcosa di diverso?”: questa domanda risponde un esposto presentato lo stesso 9 marzo alla Procura di Crotone – proprio mentre si svolgeva la conferenza stampa -, firmato da 40 organizzazioni della società civile italiana ed europea. Sì, si poteva fare eccome. Il naufragio di Cutro era prevedibile ed evitabile e le autorità italiane responsabili devono essere chiamate a risponderne. Questo è quanto si legge nel testo. Era “prevedibile”, perché Frontex aveva inviato, come documentato, le informazioni, ed “evitabile” se “fosse stata puntualmente applicata da parte delle autorità a ciò preposte” la normativa nazionale e internazionale in tema di soccorsi in mare. Nell’esposto si chiede che vengano effettuate “indagini accurate in relazione anche alle possibili responsabilità penali delle autorità italiane, il cui operato suscita inquietanti interrogativi”, anche perché le autorità avevano “ricevuto comunicazione in merito alla presenza dell’imbarcazione diretta verso le coste italiane quasi 24 ore prima del disastro…”. Nelle 26 pagine dell’esposto si ricostruisce l’accaduto partendo dalle dichiarazioni dell’Agenzia Frontex che “nelle ultime ore di sabato (25 febbraio), un aereo di Frontex (Eagle1) che monitorava l’area di ricerca e soccorso italiana nell’ambito dell’operazione congiunta Themis ha avvistato un’imbarcazione diretta verso la costa italiana. Una persona risultava visibile sul ponte. La barca navigava in autonomia e non c’erano segni di distress. Tuttavia, le termocamere a bordo dell’aereo Frontex hanno rilevato una significativa risposta termica dai portelli aperti a prua e altri segni che potessero esserci persone sotto il ponte. Tale circostanza ha determinato i sospetti degli esperti di sorveglianza di Frontex. Come sempre in questi casi, abbiamo immediatamente informato dell’avvistamento il Centro di Coordinamento Internazionale dell’operazione Themis e le altre autorità italiane competenti, fornendo la posizione dell’imbarcazione, le immagini all’infrarosso, la rotta e la velocità”.
Quindi sapevano. Le dichiarazioni a caldo di Giorgia Meloni e del ministro Piantedosi, invece rimpallavano le responsabilità a Frontex che secondo quanto dicevano, non ha inviato adeguata e tempestiva comunicazione. Inoltre, un successivo comunicato di Frontex evidenziava due elementi importanti: non si rilevavano dispositivi di protezione individuale – lifejacket – e soprattutto, “che la barca avvistata era “fortemente sovraffollata” (heavily overcrowded), che trasportava circa 200 persone e che tutte le autorità italiane erano state immediatamente avvisate dell’avvistamento…”.
“L’informazione – si legge sempre nell’esposto – era stata veicolata altresì alla Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma, che tuttavia non assumeva alcuna iniziativa a riguardo (cfr. comunicato stampa del Comando generale delle Capitanerie di Porto)”. Ad oggi risulta che le sole attività di ricerca in mare sono state intraprese dalla vedetta V.5006 della Sezione Operativa Navale della Guardia di Finanza di Crotone e dal Pattugliatore Veloce P.V. 6 “Barbarisi” del Gruppo Aeronavale GDF Taranto, attività che sono state interrotte dopo un breve lasso di tempo e senza esito, a causa – dichiarano- delle condizioni meteo marine sfavorevoli, cosa quest’ultima, smentita da dichiarazioni autorevoli che al contrario, hanno ritenuto l’intervento di soccorso possibile, oltre che doveroso ribadendo che “tutte le persone a bordo avrebbero potuto essere salvate e la strage del 26 febbraio evitata se la macchina dei soccorsi avesse funzionato correttamente”.
“Davanti a così tanti morti e chissà quanti dispersi, è doveroso fare chiarezza – scrivono le organizzazioni in una nota – Vogliamo dare il nostro contributo all’accertamento dei fatti, non ci possono essere zone grigie su eventuali responsabilità nella macchina dei soccorsi…”. Le associazioni hanno anche rinnovato l’appello all’Italia e all’Europa per mettere in piedi al più presto un nuovo sistema di ricerca e soccorso in mare adeguato e proattivo.
A Cutro intanto si sta aspettando di rimpatriare le ultime salme, salvate in extremis da un tentativo miserabile di invio a Bologna per la sepoltura nel cimitero islamico senza l’autorizzazione dei familiari e nulla si sa sul destino dei sopravvissuti.
Per leggere l’esposto: https://www.asgi.it/notizie/naufragio-cutro-associazioni-depositano-esposto-collettivo-in-procura/
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