di Marco Arturi
Nicoletta Dosio è un’insegnante valsusina. È un’attivista, anzi uno dei simboli della lotta No Tav. È una militante comunista di lungo corso, di quelle sempre presenti quando ci sono diritti e dignità da difendere: che si tratti della sua Valsusa, della scuola, del lavoro, dei migranti o di prendere un aereo per andare ad Atene a portare solidarietà al popolo greco schiacciato dall’austerity non fa differenza. È un’eterna ragazza che non riesce a smettere il vizio di immaginare un paese migliore di questo.
Io la conosco e posso dirvi che è una persona combattiva ma mite e aperta al confronto; solo che ha l’imperdonabile vizio di dissentire e all’occorrenza di disobbedire. È quello che ha deciso di fare quando l’estate scorsa la procura di Torino le ha notificato l’obbligo di firma solo per avere preso parte a una manifestazione. Nel vostro paese, nel duemilasedici.
Nicoletta non ha rispettato la restrizione perché priva di qualsiasi fondamento: anzi, è partita per un tour che l’ha portata a girare mezza Italia per spiegare le ragioni di una lotta e della sua disobbedienza. Così l’autorità ha ritenuto di notificarle gli arresti domiciliari. Nicoletta ha già detto chiaro che non rispetterà neanche questo provvedimento, perché non ammette che la sua casa diventi la sua prigione e non ha nessuna intenzione di diventare carceriera di sé stessa.
Se scrivo queste cose è perché magari molti di voi non conoscono questa storia. Non per mitizzare Nicoletta – che non ne ha bisogno e che è una persona comune con una vicenda comune a quella di molti altri in Val di Susa – ma perché le misure che le vengono imposte senza una vera ragione (l’obbligo di firma è previsto nel caso in cui ci sia rischio di inquinamento delle prove o di fuga) mirano a colpire, oltre alla lotta No Tav nel suo insieme, il diritto di manifestare, di dissentire e di disobbedire. Ora, capite bene che non si tratta di una questione che tocca la sola Nicoletta o il movimento No Tav: è una cosa che riguarda tutti, perché non c’è democrazia e soprattutto non c’è libertà possibile senza opposizione e dissenso. Poi intendiamoci, se riteniamo sufficiente all’esercizio del dissenso la possibilità di postare la nostra indignazione sui social il discorso è diverso. Ma le cose non si cambiano in questo modo, e quel paese diverso che immagina questa donna (e come forse abbiamo in mente tutti, ognuno a modo suo) non lo si può costruire e neanche sognare così. I rischi che si sta prendendo, Nicoletta se li sta prendendo per tutti. Ecco perché ho buttato giù queste righe, per raccontarvi che non è vero che questo è un paese morto nel quale ognuno pensa ai propri tornaconti. E che non è vero che tutto è inutile, che non c’è possibilità di cambiamento. A ricordarcelo, tra i tanti, c’è Nicoletta Dosio: per questo forse sarebbe giusto non lasciare soli lei e la sua Valsusa, e magari fare in modo che a più persone possibile arrivi questa vicenda, insieme alla lezione di questa insegnante e dei suoi compagni, che ci ricordano come l’atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l’inizio della ragione.
Un abbraccio forte a Nicoletta e a tutti i compagni colpiti in Valsusa da una legge che non ha niente a che vedere con la giustizia
domenico dice
Mi ha talmente colpito la vicenda di Nicoletta Dosio che l’ho subito inserita nellarticolo che sono in procinto di inotrare alla Gazzetta del Mezzogiorno. Mi permetto di riportarlo:
SAN FERDINANDO DI PUGLIA. COME FRONTEGGIARE O POTENZIARE IL BULLISMO
Che strano paese San Ferdinando! Nella stessa piazza, un giorno, viene lanciato un coraggioso messaggio: Don Mimmo Marrone, un umile prete, mite e combattivo, osservando senza veli lo svuotamento della democrazia e l’impoverimento drammatico delle condizioni di vita, scaglia micidiali strali infuocati contro il “mafiofondismo”, il traffico ed il consumo degli stupefacenti, la dipendenza dal gioco. Gli anonimi accusati e le “tre scimmie”, mescolati tra una folla di onesti cittadini, chiamati in ballo, storcono il naso e digrignano i denti.
Un altro giorno, una marea di gente attende spasmodicamente l’arrivo della star locale, e le cascate del Niagara vi si trasferiscono non appena mette piede. Padroneggia il palcoscenico, il bimbo di dieci anni, da quattro anni a contatto con il pubblico. Parla con disinvoltura, canta per tre quarti d’ora. Balla assieme a ragazzine dagli indumenti succinti.
Il suo grande sogno, comunicato a Papa Francesco? “Voglio diventare un cantante famoso.” Chissà che cosa avrà pensato il Santo Padre! Con il cuore straziato dalle guerre, dal terrorismo, dalla vita in pericolo del Creato, dalle macerie umane dei terremoti, dalla fame e dalle malattie nel mondo.
Forse avrà sofferto e starà ancora pregando, nella speranza che il bambino incontri maestri di vita, capaci di indicargli gli ideali, radicati nei valori del Vangelo e della Costituzione, per i quali valga la pena vivere. Non l’effimero successo.
Prima dell’atteso evento canoro, otto relatori, (docenti, dirigenti scolastici ed esperti) si confrontano sul “bullismo”, fenomeno coinvolgente ragazzi che maltrattano coetanei, verbalmente e fisicamente. Più o meno vien detto: “Il fenomeno è vecchio quanto il mondo.” “Facciamo del nostro meglio.” “Miriamo all’inclusione.” “Li allontaniamo dall’ambiente scolastico, per affidarli ai genitori”. “Coinvolgiamo psicologi ed assistenti sociali.”
La scuola si rende conto che da sola non può gestire e fronteggiare un problema così complesso, però si rifugia nell’autoreferenzialità, scaricando le responsabilità sui ragazzi e sui genitori. La soluzione proposta è la solita, intervenire, quando il fenomeno si è manifestato in maniera eclatante. Curare la malattia, ricorrendo all’intervento di figure esterne di supporto.
Non converrebbe, invece, prevenire la malattia, trasformando le fragilità in forza, perché l’organismo si difenda adeguatamente da solo dalle difficoltà che vi si generano all’interno o provengono dall’ambiente circostante? Ultima spiaggia, la cura, quando ormai il processo patologico sta devastando corpo e la mente, proprio e degli altri.
Se si intende imboccare questo itinerario, occorre innanzitutto comprendere le cause soggettive, ma anche sociali, economiche, culturali e politiche. E’ necessario, inoltre, che tutti gli attori in campo si coinvolgano idealmente, eticamente e fattivamente.
Qualche quesito per la scuola. Gli insegnanti riescono, come Nicoletta Dosio, ad immaginare un paese migliore di questo? Si pongono come modelli di vita? Danno il meglio di sé in serietà, puntualità, rigore, senso della giustizia, promozione della democrazia, abnegazione? Conoscono bene le discipline che insegnano e sanno offrirle con le didattiche più efficaci? Cercano di scoprire gli interessi, i talenti, le fragilità, le aspettative, i sogni degli interlocutori istituzionali? Ne incrementano l’autostima? Provvedono a favorirne lo sviluppo del senso critico. Quale valore viene attribuito al corpo dei ragazzi, inchiavardati alle sedie per lunghe ore? L’aria dell’aula è sempre salubre? Nell’elaborazione dell’orario scolastico, si tengono presenti le esigenze dei ragazzi o dei docenti? Si ammicca alle case editrici o si guardano negli occhi i ragazzi, quando si adottano i testi scolastici? Si è consapevoli che la “cultura” è prodotta dalla classe sociale dominante e risponde alle sue esigenze economiche, politiche e culturali? Continuano ad aggiornarsi, i docenti, una volta messi i piedi nella scuola? Gli alunni ed i loro genitori vengono coinvolti nell’elaborazione del programma e nella sua gestione, riconoscendo reciprocamente la propria dignità umana e culturale? Viene conseguentemente avviato un processo di maieutica reciproca?
Due domandine per gli alunni di ogni età. Non hanno proprio nulla da rimproverarsi? Non sanno che lo sviluppo della propria personalità va conquistato con mille sacrifici, recidendo definitivamente il cordone ombelicale da ogni forma di dipendenza, anche dal dolce far nulla, dagli stupefacenti, dagli sms e dai social?
Genitori davanti allo specchio. Collaborano con i figli in tutte le attività extrascolastiche o, invece, li addestrano alla competizione, alla subalternità, alla guerra, al consumismo, all’individualismo, all’ipocrisia, al conformismo, a cullare i mitici fantasmi della bellezza, del successo, della vittoria, del denaro?
Qualche domanda per i cittadini. Preferiscono rivestire il ruolo di cittadini o quello di sudditi, svendendo la loro dignità al miglior acquirente? In che considerazione tengono la democrazia ed i suoi valori fondanti, libertà uguaglianza e solidarietà?
Domandine ai politici. Vengono realizzate, per bambini, preadolescenti ed adolescenti, palestre, piste atletiche, campi da gioco, parchi, luoghi di aggregazione e socializzazione? Si moltiplicano e si mettono in rete, biblioteche, mediateche, ludoteche per 24 ore? Si potenziano e si aprono per l’intera giornata le palestre pubbliche, i teatri, le sale da concerto? Sono diffuse, per la città, le zone pedonali e le piste ciclabili?
Un buon viatico per la risoluzione del bullismo viene fortunatamente offerto dai politici della cittadina ofantina. Che vezzeggiano leziosamente il loro beniamino e ne sono ricambiati. Che si inebriano di narcisismo. Che replicano con rabbia o supponenza a chi si mostra sdegnato per la cattiva gestione della città.
Alla fine dello spettacolo, peraltro, si comprende che l’evento è stato costruito esclusivamente per offrire il palco alla futura gloria canora della città (perché?) e che dei problemi del bullismo e di quelli molto più gravi sollevati da Don Mimmo importa solo a pochi irriducibili utopisti.