Potremo mai liberarci della guerra e della violenza? A Rita Segato, antropologa e femminista argentina, è capitato una volta di dover rispondere a questa epocale domanda. È stato in quell’occasione che ha elaborato il concetto di “mandato di mascolinità”, che ruota intorno all’obbligo, per gli uomini, di dover provare di essere maschi, dimostrando forza e potere. Se ne è discusso in un intenso ciclo di incontri tenuti in Messico di cui Raúl Zibechi traccia qui un sintetico resoconto. Tra i punti di accordo, il fatto che quel mandato non può esser smantellato attraverso leggi e processi istituzionali dallo Stato, ma con un lavoro diretto di donne e uomini che stabiliscono legami negli spazi di vita quotidiana. Servono i tempi lunghi di un cammino impervio e profondo, tutt’altro che agevole, capace di comprendere e attraversare, senza scorciatoie né certezze, le crisi, le ferite e la rabbia che il maschilismo e il patriarcato hanno inciso nell’anima e nel corpo delle donne. Ma anche – in forme, ruoli e misure del tutto diversi – in quello degli uomini

Rita Segato racconta che ha formulato il concetto di “mandato di mascolinità” [1] a Buenaventura, porto della Colombia sulla costa del Pacifico, quando le donne nere le hanno chiesto come si fa per mettere fine alla guerra e alla violenza. “Smantellando il mandato di mascolinità”, è stata la sua risposta.
L’ultima settimana di maggio abbiamo avuto l’opportunità di condividere e di dibattere nell’ambito del “Congreso Resiste”, convocato dall’Università Iberoamericana e dalla rivista Concilium, a Città del Messico, per poi farlo nel Cideci, a San Cristóbal de las Casas, negli spazi La Reci e alla libreria La Cosecha di quella città.
I dibattiti sono stati intensi e sono state convocate centinaia di persone, hanno partecipato relatori di diversi continenti, compresi membri del Congreso Nacional Indígena e del Concejo Indígena de Gobierno. In uno dei dibattiti, oltre a Rita e a chi scrive, ha partecipato il madrileno Amador Fernández-Savater, il quale ha affermato che nella sinistra (si riferiva al partito spagnolo Podemos), si registra un “desiderio monoteistico” che si concretizza negli obiettivi di conquistare il potere e uniformare i movimenti.
Anche se mi è impossibile sintetizzare in un paio di pagine la ricchezza dei dibattiti, vorrei raccogliere l’importanza della partecipazione delle donne, che hanno dimostrato un profondo spirito critico e autocritico, che include lo stesso movimento femminista.
Così, Elsa e Rebecca dell’Assemblea “Nos Queremos Vivas Neza”, dello stato del Messico, hanno spiegato come si vive in “una società attraversata dalla violenza”, nella quale non si applicano le politiche pubbliche perché lo Stato non funziona ed è, solo, “una struttura patriarcale”. Tracciando un ponte con i popoli originari, hanno spiegato che “non partiamo da un femminismo ortodosso che impone delle cose, bensì dalla cura di sé da parte delle donne”.
María Macario del CIG ha enfatizzato la necessità di un lavoro congiunto di uomini e donne a stretto contatto con l’ambiente naturale, al punto di sottolineare che “la terra si semina in noi”. Spiegando i suoi sentimenti nel constatare i disastri che il capitalismo provoca alla madre terra, ha detto: “Sto smettendo di essere una donna perché il flusso si sta prosciugando”.
Siobhan Guerrero, filosofa della scienza, laureata in biologia e attivista trans sulle questioni di genere, ha analizzato il ruolo delle chiese evangeliche in América Latina e come l’ideologia di genere si inserisce in un discorso di diritti umani, un fatto che le potenzia. Ha sottolineato la complementarietà uomini-donne e ha chiamato a sviluppare forme di coscienza non mediate dallo Stato. “È un problema che il movimento delle donne si pensi in termini di diritti liberali”, ha concluso.

Gli scambi con Rita sono ruotati attorno al suo concetto di mandato di mascolinità e ha mostrato sintonia con i dibattiti che propone lo zapatismo nel criticare una politica centrata sul nemico, che considera fascista, “perché in quel caso è il nemico ciò che ci aggrega”.
Negli scambi abbiamo potuto constatare diverse confluenze. La prima è che il mandato di mascolinità non viene smantellato dallo Stato, con leggi e processi istituzionali, bensì nel lavoro diretto con le persone, uomini e donne, che passa attraverso cambiamenti personali e di personalità, nel modo in cui si stabiliscono i legami negli spazi della vita quotidiana.
Sotto questo aspetto, immagino due processi simultanei: l’organizzazione delle donne che potenzia i movimenti e le azioni, e ciascuna di loro; e i necessari cambiamenti tra noi, gli uomini, che passano attraverso la perdita dei privilegi che abbiamo, qualcosa che è impossibile elaborare senza attraversare una profonda crisi perché si tratta di cambiare il nostro posto nel mondo. Personalmente, posso dire che non si tratta di “una” crisi puntuale e limitata nel tempo, bensì di un processo ininterrotto e continuo, senza fine o con finale aperto, per assumere, nella migliore delle ipotesi, una configurazione interiore altra che ci permetta di relazionarci da una posizione di semplicità e di umiltà naturali.
La seconda è che il mandato di mascolinità si smantella in tempi molto lunghi, cosa che richiede dunque di pensare e agire in termini di lunga durata. La persistenza e la permanenza permettono non solo cambiamenti nelle relazioni, ma anche il comprendere gli altri, i loro dolori e frustrazioni, quelle rabbie e ferite che il patriarcato e il maschilismo hanno inciso nell’anima e nel corpo delle donne, ma anche degli uomini.
Articolo pubblicato su Desinformémonos con il titolo Desmontar el mandato de masculinidad
[1] Rita Segato, antropologa e femminista argentina, sostiene che il “mandato di mascolinità” consiste nell’obbligo, per gli uomini, di dover provare di essere maschi, dimostrando forza e potere: fisico, intellettuale, economico, bellico. Il mandato di mascolinità si traduce così in mandato di violenza (ndt).
Fonte: Desinformemonos
Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo
va detto che l’aggressività e la rabbia c’è in uomini e i donne e se incanalata può avere una funzione non distruttiva. Comunque la mascolinità in sè non è necessariamente violenta ci sono tanti modi di essere uomini e di essere donne
evviva i diritti iberali