La crisi è stata il risultato della crescita. La crescita è la malattia, la crisi il sintomo, la decrescita non è la medicina, piuttosto è la salute. La medicina siamo noi, e le nostre scelte quotidiane di produzione e di acquisto. L’unica crescita che posssiamo imitare è quella degli alberi, anche gli alberi crescono ma molto lentamente, prendendo l’energia dal sole, le foglie secche diventano concime, i rami crescono quanto le radici, consumano poca energia e poca materia. Gli alberi sono viventi e al tempo stesso habitat per migliaia di altri viventi
di Marco Geronimi Stoll*
“Se appena gratti la superficie vedi che questa crisi finanziaria non riguarda la liquidità, i derivati tossici o il mercato regolato male, in realtà riguarda la cultura; è la nostra cultura dell’eccesso e del consumo senza significato – il glorificato spendere e comprare delle ultime decadi – che è alla radice della crisi in cui ci troviamo adesso”
Kalle Lasn, Adbusters
RIASSUNTO
L’articolo parte dalla diffusa critica all’idea novecentesca di sviluppo, che ha provocato serissimi problemi ambientali, sociali ed economici. Propone di “imparare dall’albero” inteso come metafora, perché un bosco sano cresce continuamente eppure è sempre uguale. Indica come stare meglio mentre il PIL scende e reclama l’intelligenza emotiva come strumento cognitivo per superare i novecentismi che ancora ci affliggono.
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Il malessere del benessere
Ancora oggi vediamo politici e opinionisti stracciarsi le vesti perché “il tasso di crescita diminuisce”, come se i genitori di un figlio obeso, guardando la bilancia con la calcolatrice in mano, si lamentassero che il ragazzo non riesce più ad ingrassare ulteriormente abbastanza in fretta ogni mese.
La parola “decrescita” è una bestemmia?
Costoro considerano la parola “decrescita” come una bestemmia. È vero, il possesso effimero ha molti tratti antropologici di tipo religioso: il feticismo, l’appartenenza, la sublimazione, la ripetizione rituale, lo spendere come purificazione, l’Olimpo ultraterreno di bizzosi Dei televisivi (da imitare benchè peggiori di noi); soprattutto le tonnellate di merce che attraverso di noi passano dal carrello alla pattumiera, hanno una funzione sacrificale, come il capro sgozzato sugli antichi altari. E ancora: gli ipermercati, templi del consumo, contengono il “tutto” mistico di tutte le merci desiderabili di tutti i posti del Pianeta.
Parlare del Dio Denaro è diventato quasi un luogo comune, ma è evidente che il denaro è divino quando ti permette di acquistare onnipotentemente tutto il desiderabile, quando, alla lettera, non lascia posto al desiderio; ma il denaro non è mai abbastanza per questo scopo, quindi diventa il desiderio stesso; la natura simbolica del denaro consiste nel suo mancare. Infine il consumo è soprannaturale nel senso che non abbiamo più il contatto con la natura, il prodotto non ha storia (non vediamo né il prima né il dopo del processo produttivo), è come se apparisse magicamente dal nulla sullo scaffale del supermarket.
Sì, e noi bestemmiamo.
In questa religione senza spiritualità i consumatori si trasformano in consumati, quindi noi rivendichiamo con orgoglio di pronunciare tale bestemmia: decrescita.
– per chi ancora crede che lo sviluppo della produzione e dei consumi possa crescere all’infinito e con esso il consumo di materia ed energia,
– per chi dice che più spendete, più siete ricchi, perché se l’economia “gira” aumenta l’occupazione: da trent’anni vediamo che è vero il contrario;
– per chi dice che più spendete, più siete felici, come se un ipermercato pieno di ogni ben di Dio potesse dare un senso alla vita, incluso dare un senso allo sforzo con cui guadagnate il vostro stipendio.
– anche per chi dice che “è un concetto che la gente non capirebbe”; basta, non è più ora di seguire il senso comune, il mainstream si rifonda, è ora di assimilare i nuovi paradigmi che carsicamente stanno permeando il tessuto sociale.
Cominciamo ad esempio a stabilire che “sviluppo” e “crescita” sono parole pervertite, cioè a cui è stato capovolto il senso positivo di evoluzione e miglioramento del benessere che esse significavano cinquanta o cento anni fa. Ci tocca tentare di toglierle dal nostro vocabolario, ormai sono troppo intrise di crescita quantitativa e di logica dello spreco.
È meglio fare come gli alberi
Certo che anche noi vogliamo una forma di crescita, ma “imparando dall’albero”; anche l’albero cresce, ma molto lentamente; prendendo l’energia dal sole, le foglie secche diventano concime, i rami crescono quanto le radici, consuma poca energia e poca materia ma spande tantissima informazione evoluta (genetica: milioni di semi); esso è sia un vivente, sia un habitat per migliaia di viventi.
Un bosco sano cresce continuamente eppure è sempre uguale, perché è una crescita di tipo biologico che comprende la morte e la resurrezione attraverso il ciclo del carbonio. Il contrario esatto della nostra crescita industriale, che ha barato al gioco quando ha scoperto che nel sottosuolo c’erano carbone e petrolio accumulati in milioni di anni, che abbiamo bruciato in due secoli. Ora ne resta solo l’anidride carbonica in atmosfera.
Quando usiamo “crescita” o “sviluppo” nelle nostre conversazioni, rischiamo di essere posseduti da quell’equivalenza crescita=miglioramento che ha tradito le promesse novecentesche di benessere, anzi ha aumentato la povertà nel mondo e le disuguaglianze. Quindi, anche se vogliamo bene a tanti amici che si battono per uno “sviluppo sostenibile”, gli diciamo attenti, temiamo che lottiate per un ossimoro.
Possiamo stare meglio se il Pil scende
Un altro concetto novecentesco è il famigerato Prodotto Interno Lordo; è una trappola logica (come noto è quel parametro che dice che se un ponte crolla e lo dobbiamo ricostruire, siamo più ricchi); che il Pil non significa niente, ormai lo dicono tutti, ma sta così bene in bocca ai politici quando si discute come allocare le risorse, che ci dimentichiamo che prima di allocarle, esse devono essere prodotte. Quindi spesso la questione si tinge di assurdo: si discute di quale percentuale del Pil si deve spendere per rimediare ai guai prodotti dallo sforzo di aumentare il Pil. È assurdo perché per la legge dell’entropia, i guai saranno sempre più forti dei rimedi. Se è bacata la logica di un parametro è bacata anche la sua applicazione economica, sociale e matematica.
Meglio romantici che ingenui
Dobbiamo cercare nuove parole per indicare la capacità di indirizzare l’ingegno umano verso imprese che danno sempre maggior gioia e senso della vita. Vi sembra un concetto sentimentale? romantico? e perché no, c’è sicuramente più intelligenza nei fondamentali emotivi della nostra specie che nell’arsenale retorico degli economisti conservatori del ‘900.
La specie umana ha consumato in un secolo più materia prima e carburante fossile che in centinaia di migliaia di anni di evoluzione; ora basta, il ’900 è finito, forse se ne è andato con dieci anni di ritardo, ma finalmente è finito; ora ricominciamo ad evolvere. È una terribile notizia o è una notizia meravigliosa? Dipende da voi. Dipende da noi.
Quindi, per noi, la decrescita non è “un mezzo per uscire dalla crisi”. La crisi è stata il risultato ovvio e prevedibile della crescita, e badate che siamo solo all’inizio. La crescita è la malattia, la crisi il sintomo, la decrescita non è la medicina, piuttosto è la salute. La medicina siamo noi e voi, e le nostre scelte di produzione e di acquisto.
* Studioso del pensiero creativo, autore di libri e cdrom sulla creatività dei gruppi e sul ruolo delle arti nell’educazione, coautore di trasmissioni televisive, Marco Geronimi Stoll ha insegnato e collaborato con diverse università occupandosi di comunicazione. Si definisce, tra le altre cose, pubblicitario disertore: negli ultimi anni ha sperimentato (con successo) varie soluzioni a basso costo per fare pubblicità etica al mondo non profit e alle aziende della decrescita (smarketing). Il suo sito è geronimi.it
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Un orizzonte di senso (Serge Latouche)]
La decrescita è una strada da percorre, un orizzonte di senso. Si tratta di sviluppare resilienza con azioni di ogni giorno, una trasformazione della società che avviene senza prendere il potere, dentro e oltre lo Stato-nazione
Perché abbiamo bisogno di spazi autonomi (Carlos Taibo)
La prospettiva realistica è quella di un’autogestione generalizzata però la società del domani bisogna cominciare a costruirla subito. Dobbiamo uscire dal capitalismo aprendo spazi di autonomia, lontano dal lavoro salariato e dalla mercificazione
È il mondo di tutti, dicono le donne, cambiamolo (Veronika Bennholdt-Thomsen)
Una civiltà della post-crescita ha bisogno di un modo nuovo di pensare, in cui il cambiamento è concreto, corporeo, cooperativo, favorisce senso di responsabilità. E viene dal basso. Per farlo, lo slogan della decrescita deve intrecciarsi con una prospettiva di genere
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