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di Marco Geronimi Stoll*
Ho scoperto un giocattolaio e varie insegnanti che giocano alla pace. Ogni giocattolaio sa una cosa importante. Che se c’è la guerra, la fantasia infantile sa raccogliere un ramo secco che diventa un fucile con cui bum bum ammazzo tutti i nemici.
Che se vedo il lavoro femminile accudisco alla mia bambola, la lavo e le cucio i vestitini, ma appena le donne devono diventare gnocche-TV-style e allora ecco che con la stessa agilità mentale metto alla Barbie la minigonna rosa piena di luccichini nell’attesa di quando sarò anch’io una vertiginosa adolescente di plastica.
Che se il papà tutto il giorno sta sul computer e la mamma la sera sta alla TV, prendo la mia tavoletta e ci faccio cose che voi adulti neanche immaginate.
È formidabile, questa capacità della mente giovane di impossessarsi di simboli e grammatiche: i bambini sono tutti geni; il problema sono gli ingredienti.
È così che nonostante l’elasticità dell’intelligenza umana di generazione in generazione perdurano le alienazioni, i pregiudizi, le frustrazioni e le nevrosi: il Dna c’entra poco.
I nostri figli vedono il mondo lacerato da guerre e disperazione, ma lo vedono alla Tv mentre abitano questo limbo preservato dalle bombe e sono figli (almeno quelli italiani) dell’unica generazione della storia che la guerra non l’ha subita direttamente. Che mondo stanno costruendo nella loro mente? o meglio: che mondo si costruisce nella mente originale di ciascuno delle decine di milioni di bambini europei?
La scuola è per sua natura il luogo dove questo immaginario affluisce e si rimette in gioco con nuovi ingredienti più saggi. La scuola può dare un senso agli ingredienti spurii, contribuire a un po’ di decontaminazione e aggiungere stimoli universali ed etici: liberare dall’ideologico e aprire all’ideale. Gli ideali umani per tutti ci sono, eccome: ad esempio i valori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Ad esempio spiegando che “io” non è il contrario di “noi”: il contrario di “noi” è solo.
Gli insegnanti spesso ci provano. Oddio: anche la scuola ha la stessa storia di adattamento all’ambiente, ma imposto dall’alto e non sorgente dal basso. In un’Italia di braccianti “coltivava” forza lavoro abbastanza capace di leggere e far di conto per l’agricoltura latifondista; in un’Italia in guerra: libro e moschetto, inni e ginnastica; nel boom economico era la fabbrica che generava operai ma bocciando, così selezionava tecnici abili e obbedienti per una classe media di massa.
Il paradosso è che mentre il bambino diventa adulto, il mondo cambia; quindi in ogni epoca e longitudine ci hanno plasmato l’uomo cercando di adattarlo al potere… che c’era prima.
Nell’Italia del post-terziario-avanzato voilà questa sedicente “buona scuola” neonozionistica ed individualista: la cultura a progetto, l’intelligenza parasubordinata, l’insegnamento a procedura-standard con parametri di produzione minimi garantiti e “verificabili”. Il maestro come capetto di un call center sorvegliato a sua volta dal preside manager. Paradosso dei paradossi: in quest’ultima puntata italica il mondo è già cambiato prima della riforma; ma questo è solo il lato grottesco di un problema generale.
Con queste premesse quando ho scoperto la Carovana dei Pacifici me ne sono innamorato. Un giocattolaio, Roberto Papetti, ha costruito un percorso che passa da Mario Lodi e usa una poesia di Borges per un lavoro illuminante, semplice, intrigante a cui qualsiasi classe può partecipare. Ne ho scoperto l’esistenza aiutando Lo-Faccio-Bene-Cinefest a preparare il Festival delle Alternative Possibili (in Calabria dal 4 al 7 settembre). Loro saranno al festival il 6, e con loro l’Asilo Nel Bosco di Ostia. Li ho ritrovati su Comune. Ne ha parlato anche Tullio De Mauro in questo articolo su Internazionale. Ho avuto piacere a leggere C’è speranza se accade @ della rete di cooperazione educativa. In questo articolo di La Vita Scolastica e in questo loro stampato ripubblicato sul web dall’editore Giunti ecco vari approfondimenti.
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* Studioso del pensiero creativo, autore di libri e cdrom sulla creatività dei gruppi e sul ruolo delle arti nell’educazione, coautore di trasmissioni televisive, Marco Geronimi Stoll ha insegnato e collaborato con diverse università occupandosi di comunicazione. Si definisce, tra le altre cose, pubblicitario disertore: negli ultimi anni ha sperimentato (con successo) varie soluzioni a basso costo per fare pubblicità etica al mondo non profit e alle aziende della decrescita (smarketing). Il suo sito è geronimi.it
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DA VEDERE
Costruiamo i Pacifici! Con Roberto Papetti
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=OBAcipkgQEo[/youtube]
anna bruno dice
permettimi Geronimo. Conosco la carovana della pace da anni e…i suoi ingredienti! Permettimi però di contestarti qualcosa che dici “il contrario di noi non è io, ma solo!”. Vedi nell’animo umano, di qualsiasi uomo o donna, esistono due bisogno essenziali su cui nessuno riflette e cioè il bisogno di integrazione e quello di differenziazione. In ognuno di noi è più prevalente l’uno o l’altro. Non ti spiegheresti perché altrimenti esistono in tutti i gruppi quelli che si mettono un pò da parte, i cosiddetti cani sciolti. Vedi proporti come ti proponi tu al bambino “stai con noi, stai dentro al gruppo o altrimenti è solitudine”, è un modus che tutti i gruppi integralisti utilizzano perché si insinui nei più, il panico dell’emarginazione rispetto al gruppo e dunque della possibilità di poter essere se stessi. E questo, spero tu convenga con me, cosa buona. Il bosco integra tutti, può essere spietato il bosco, ma mai dirà alla volpe, da sempre cacciatrice solitaria e non da branco, tu non entri, stai nel gruppo o sei da sola, per cui la volpe si lascia prendere dal panico. Vedi il senso della pace, l’educazione alla pace è soprattutto tirar fuori il più possibile la pace che è dentro di sè…ma perché questo avvenga, si necessita dell’ apprendimento della gestione delle conflittualità ed eventualmente anche di cadute solitarie. Perché il percorso di vita appartiene in maniera diversa al singolo! Temo che asserendo “noi non è il contrario di io ma di solo” sia ancora più sbagliato, mentre cercare il giusto equilibrio tra l’io (senza che questo degeneri in delirio di onnipotenza) come persona con la propria, indole, talenti, desideri, e il noi come coscienza collettiva, significa davvero educarsi alla pace. La comunità è fatta di persone, e ogni persona è unicum! Altrimenti si rischia di scadere ancora una volta in un bisogno di omologazione di muffosa matrice cattolica! Grazie!
Marco Geronimi Stoll dice
da: Le radici e le ali
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Con delle ali volerei
dal problema alla soluzione
in linea retta, il più breve
percorso tra due punti.
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A chi ha radici non serve il righello
basta chiudere il compasso
e la distanza tra i due punti
semplicemente diventa zero.
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Ma un righello insegna il cammino
solo a chi vive in mezzo a un deserto
e per centrare il compasso su sé
occorre farsi un buchino nel cuore.
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Metà dei miei amici però
sposano π e ∞ su schermi luminosi
hanno radici di cavi e cavetti
che li fan volare dappertutto.
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da http://www.geronimi.it/2013/01/25/poesia-da-appendere/
(ciao, Anne, ti saluto)
anna bruno dice
Caro Maro, il percorso di ognuno un pò è segnato, un pò è fatto di scelte…vagare a volte non è male e non vuol dire che il vagabondo non senta di avere radici profonde a cui tornare. Ci son persone che preferiscono percorsi brevi o semplicemente restare, altri il cui percorso a spirale è decisamente più tortuoso! Più difficile da capire per chi ha un percorso di vita rettilineo, e agli occhi di questo può sembrare un male ma potrebbe poi, come per incanto, svelarsi altro. Ogni persona è mistero e non può essere omologabile al noi, per lo meno non come lo intendi tu. Ci son persone che hanno percorsi solitari e non di gruppo ma non per questo meno attente o sensibili alla collettività. Anzi! Di solito è il percorso degli scrittori, degli artisti più famosi (guarda Michelangelo!) Ci son persone che ho visto perse per un pò, ragazzi che mi sembrava di non poter recuperare dal loro vagare…ma alla fine sono io che ho dovuto imparare, che ognuno ha i suoi tempi e ha diritto di cercare a modo suo, anche vagabondando per un pò. Anche esperendo la caduta. Anche se questa ricerca ai tuoi occhi potrebbe non avere senso! Non c’è una strada che tu possa imporre…tu la puoi solo indicare se vedi che è quella giusta per quella persona e non per il “gruppo”…perché solo se sei in grado di far questo puoi sentirti davvero un educatore. Attendere i tempi dell’altro, riuscire a restare punto di riferimento nel suo tornare e andare e vagare…finché non trova la sua strada…questo è educare, il resto viene da sé… lui da solo sceglierà il bene per sé e per la collettività e… non resterà solo…ma avrà incontri, altri incontri, i suoi incontri…quelli che gli segneranno l’animo e gli indicheranno man mano la sua strada, che lui saprà vedere! Con libertà, senza coercizioni alcune, perché anche il noi se diventa clan, casta o gruppo chiuso e non aperto può divenire coercizione e non libertà o processo di liberazione…perché al bene puoi andare incontro solo se si è davvero liberi dentro…se si è liberi di scegliere, di dire la propria, liberi di andare! E eventualmente tornare e trovare accoglienza e non frasi giudicanti qui e ora o fuori perché questo dice la tua frase, noi o solitudine! E c’ è da dire altro sulla solitudine che tu pensi sia qualcosa di necessariamente negativo perché opposto al noi. Ho conosciuto solitudini molto più ricche e libere e aperte alla vita e all’incontro di molti noi gruppi-clan prigioni dell’animo umano! La solitudine non è opposta al noi, non è da paventare, ma ricchezza da coltivare rispetto al noi per sentirsi alla fine parte del noi! Shalom Marco!