Al di là di chi vincerà le elezioni, una cosa è certa: da gennaio sarà in vigore il fiscal compact. E’ la società di mercato che non finge più di nascondersi nelle istituzioni. Per questo c’è bisogno ovunque di laboratori per ripensare immaginari, città, pratiche e relazioni sociali. «Appositi sostegni», per quanto limitati e fragili ma determinati, cominciano a muoversi, come ad esempio il Municipio dei Beni comuni a Pisa o Reset a Roma, ma anche alcune esperienze della Rete di economia solidale. United colors of commons dal 25 al 27 gennaio a Pisa è un prezioso cantiere su questi temi. La rivoluzione non è un lavoro da esperti o tecnici. E meno ancora da politici delegati
Chi siamo, quanti siamo e, soprattutto, dove andiamo. A volte bisognerebbe lasciare spazio al Marzullino che è in noi, non fosse altro per capire cosa stiamo facendo aldilà delle consuetudini tranquillizzanti o delle nostre nevrosi ricorrenti. Ci siamo incontrati nelle piazze e riuniti in assemblee facilitate, abbiamo declamato sobrietà e magari praticato la permacoltura ma c’è un mondo, attorno a noi, che continua a sfuggire. E’ il miliardo di ore di cassa integrazione da gennaio a novembre 2012, o i due milioni ed ottocentosettantamila disoccupati, numero record dal 1992. E’ la conseguenza dell’incapacità dei Governi precedenti e della pesantezza della ricetta Monti, di cui abbiamo visto solamente l’antipasto. E’ il terreno su cui verrà costruita la politica dell’Italia della Repubblica post-crisi, dove le politiche neokeynesiane sono state messe fuori dalla costituzione dall’approvazione del fiscal compact, in vigore dal 1° gennaio 2013, grazie alla netta maggioranza alla camera e al senato ed al sostegno incondizionato da parte di deputati e senatori del Partito democratico, di cui sarà importante diffondere i nomi prima delle prossime elezioni.
E’ la società di mercato, ben oltre l’economia di mercato, che dovremo sorbirci per i prossimi anni, e alla quale stiamo contrapponendo distinguo sottovoce o progetti ecosolidali in splendido isolamento, sempre che riescano a rimanere in piedi sotto il darwinismo della crisi. Per questo, forse, qualche riflessione comincia ad essere improrogabile.
La Rete di economia solidale (Res) nazionale, che riassume molte delle esperienze ecosol in Italia, inizia a guardarsi e ad analizzarsi. Dieci anni di vita in un mondo iperveloce corrispondono a un secolo e il profilo delle reti ed i loro obiettivi devono, di necessità, essere rivisti. Il percorso mette al centro i territori, i vari Distretti di economia solidale e le reti territoriali nate in questi ultimi anni, e cerca di capire come le strutture esistenti (come ad esempio il Tavolo Res) possano svolgere un ruolo di servizio e di sostegno alle esperienze locali, soprattutto davanti ad una società che affonda e ad un’economia che diventa sempre più informale. Quanto questo percorso sarà proficuo dipenderà dalla capacità di tutte le componenti del mondo ecosol di mettersi in gioco.
L’Argentina dieci anni fa e la Grecia in questi giorni mostrano come le esperienze dell’economia solidale possono scendere in campo per sostenere la transizione e la lotta al disagio sociale. Ma per fare questo è necessario mettere a sistema competenze, conoscenze e consolidare reti locali capaci di scambio economico alternativo (monetario e non monetario).
La vera rivoluzione oggi è ritornare alle relazioni, alla terra ed alle comunità. Se n’è accorta persino Al-Jazeera con un servizio sul ritorno dei contadini in Grecia. Dovremmo cominciare ad accorgercene pure noi, uscendo dall’ambiguità dell’essere movimento sociale con qualche venatura radical-chic.
Da Roma con il laboratorio urbano Reset (Riconversione ecologica sociale e territoriale) con il mercato-non mercato (foto-reportage) per arrivare al Municipio dei Beni comuni con la sua United colors of commons dal 25 al 27 gennaio a Pisa, le forze, in campo, provano a riorganizzarsi. Con l’obiettivo di mettere assieme spazi sociali liberati dal mercato, nuove forme di socialità, laboratori sulla transizione e l’economia ecologica.
La rivoluzione non è un lavoro da esperti, e l’expertise la lasciamo volentieri alle nuove forme dell’economia sostenibile e equogreen, ma per poterla almeno immaginare diventano fondamentali le esperienze, soprattutto se sperimentali e se lasciate nascere e crescere liberamente sui territori. Non esiste una ricetta precostituita né una soluzione per tutte le stagioni, ci sono processi sociali che ricordano, e molto, quelli naturali che hanno permesso la nascita della biodiversità: è il libero accavallarsi delle idee che può contrapporsi al libero competere degli economisti. E che dovremmo contribuire a mettere in rete, a strutturarsi dal basso, cominciando a capire se noi, e le forme che abbiamo praticato fino ad oggi, sono ancora adeguate in un ecosistema sociale non più uguale a se stesso.
Per un approfondimento sul Municipio dei Beni comuni di Pisa leggi I colori del cambiamento e, a proposito di beni comuni e città, Conversione urbana (ricco di molti link) e Prepararsi al futuro (di Alberto Castagnola).
Il programma in divenire della tre giorni pisana è qui: United colors of commons. Uno dei gruppi di lavoro è Transition lab ed è promosso da Fairwatch e Comune-info: .
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