di Maria G. Di Rienzo*
La cosa più folle dell’articolo che sto per illustrarvi è che descrive un sussulto di dignità come un odioso “veto”. In Italia la decenza è così rara, però, che in effetti il giornalista di Repubblica può non averla riconosciuta per tale e altri quotidiani di gran nome stanno tenendo in questi giorni la medesima attitudine.
15 febbraio 2019, titolo: “Stage di trucco di Chiara Ferragni in Pediatria, l’ospedale di Padova dice no”. Si tratta, spiega l’incipit, di mettere “in cattedra” una tale la cui credenziale principale – e forse il maggior titolo di studio – è essere la “moglie del rapper Fedez” e che di mestiere farebbe “la influencer”, per spiegare a chi è ricoverato in Oncoematologia “come si dosano rossetti, mascara e fard”. Oncoematologia significa leucemie, linfomi, linfosarcomi ecc. Situazioni dure e difficili per chi ne è investito, come paziente o come persona a lui/lei legata.
“La proposta – spiega Repubblica – rientrava nell’ambito delle iniziative pensate per alleggerire il carico che un ricovero del genere può rappresentare per bambini e bambine che ancora non hanno compiuto i diciotto anni. C’è un’associazione di clown che collabora in maniera stabile con il reparto e spesso vengono anche personalità del mondo dello sport”. Quindi se sei una minorenne, una bambina, ricoverata in ospedale, ricordarti che il tuo primo dovere di femmina è essere “bella” e forzare la cosa su di te con l’intervento di una persona famosa dall’esterno sarebbe “alleggerire il carico”: temo di non essere per niente d’accordo. L’immagine corporea è attualmente un problema non da poco per bambini/adolescenti in generale e per le ragazze in particolare. Il grado di insoddisfazione e infelicità che queste ultime sperimentano al proposito è altissimo e rinforzato di continuo proprio dal marketing dei “rossetti, mascara e fard” (e di moda, estetica e balle varie) e dal bullismo correlato. Non è equiparabile a uno spettacolo di clown, no.
Sempre secondo il giornale, ma ho seri dubbi sull’unanimità descritta, la “platea” (così sono definite le persone ospedalizzate) già non stava nella pelle dall’eccitazione. E per farci capire meglio perché, Repubblica specifica che lo stage (sic) grazie a cui si imparerebbe a “bucare il video, la rete e un po’ tutte le situazioni social” è cosa di gran valore: “Giusto per dare un’unità di misura a Milano è stato registrato il sold out, con biglietti da 650 euro a testa e una coda di migliaia di persone per soli 500 posti a sedere.” Capite, per le povere bimbe malate la “influencer” lo avrebbe fatto gratis, è così commovente che sto quasi per piangere, però 650 euro x 500 individui disposti a sborsarli fa 325.000 euro: una cifra spropositata per una sorta di “formazione” agli stereotipi di genere… e il fazzoletto mi torna automaticamente in tasca.
Comunque, “L’iniziativa, promossa da una caposala, aveva passato il vaglio della direttrice. A sorpresa però è arrivato il “no” della direzione dell’azienda ospedaliera che ha bollato come “inopportuno” l’appuntamento con la regina dei social.” No, non ha “bollato” un bel piffero: ha giudicato inopportuna la faccenda, a mio parere giustamente e senza bisogno di virgolette.
“È andata liscia invece al marito di Chiara Ferragni, Fedez, – aggiunge l’articolo – che qualche settimana fa aveva fatto recapitare sempre in quel reparto alcuni cd autografati e per quelli nessuno aveva messo veti”. Repubblica, non far torto alla tua e alla nostra intelligenza: anche qui le due cose non sono paragonabili, lo vedi da te. E non c’è nessun veto sulla “regina dei social”, che può andare a promuovere se stessa o a spacciare fuffa patriarcal-trendy altrove.
Perché ti giuro che se avessi avuto una figlia nel reparto Oncoematologia dell’ospedale di Padova avrei organizzato una protesta epica affinché fosse salvaguardato il suo diritto a non essere ingozzata di sciocchezze e umiliata per il suo aspetto (è inevitabile: l’industria del “bello” guadagna sulla supposta imperfezione corporea, innata e cronica, femminile) mentre lotta per rimanere viva.
truccarsi non è schavitù, ma una libera scelta. estetica e moda sono interessi legittimi, non patriarcali non schiavizzanti che anche una guovane donna malata oncologica può avere, e ance una malata oncologoica può sentire il bisogno di recuperare un senso di normalità che per lei è truccarsi. Questa è una sua libera scelta e non è schiavitù della bellezza (che poi con o senza trucco ci sono uomini e donne più belli di altri fisicamente e va accettato). si può dire che forse chiara ferragni non è la persona più indicata e che delle bambine non devono truccarsi ma criminalizzare moda ed estetica in questo odo è da bigotti, una donna o u uomo adulto che si trucca è persona libera come chi non lo fa
per me poi possiamo far truccare pure i bambini maschi, l’importante è che siano bambini e bambine a volerlo, è un gioco
Da padre di una bimba, trovo anch’io stucchevoli, e a volte debordanti nel bigotto, le argomentazioni usate dall’ottima Di Rienzo. Truccarsi, soprattutto nella minore età, è anche e soprattutto un gioco. Ferragni o non Ferragni, non mi sembra una gran bella notizia aver negato una possibilità di gioco/svago a minori che, come scrive l’autrice, hanno un presente fatto soprattutto di “lotta per rimanere vivi”.