Decine di progetti finanziati dall’Unione Europea, da ministeri e amministrazioni locali italiane e da istituzioni mondiali varie invitano a contrastare un generico “odio” e discriminazioni di ogni genere, anche quelle “fondate sulla razza”. Non va bene. Sulla confusione riduzionista dell’utilizzo dell’odio, abbiamo detto più volte. Su quell’altra nefasta parola, “razza”, che rimanda a una categoria mitizzata quanto infondata e ripropone il perfido tranello di un concetto che ha fatto abbastanza danni, c’è da dire qualcosa di molto chiaro, qui e ora. È tempo di cancellarla una volta per sempre dal nostro linguaggio come dalla Costituzione italiana. Non siamo così ingenui da pensare che così sarà bandito o anche solo incrinato il sistema-razzismo, scrive Annamaria Rivera, ma la presenza di “razza” nella Costituzione appare oggi assurda e immotivata come lo era la nozione di “sangue reale” nello Statuto albertino. La “razza”, ha spiegato in modo definitivo Colette Guillaumin, è una metafora utilizzata per naturalizzare processi di svalorizzazione, stigmatizzazione e gerarchizzazione di gruppi umani. La tragica storia dell’antisemitismo, così come il razzismo italico degli anni Novanta verso i profughi albanesi, per citare solo due esempi, dimostrano come certe ginnastiche littoriane si possano esercitare del tutto indipendentemente dal “colore” della pelle. Qualunque gruppo umano può essere razzizzato, precisa Annamaria, indipendentemente dalla visibilità fenotipica, dalle origini, perfino dalle peculiarità culturali e sociali. Per questo non possiamo che dirci antirazzisti. Tutti
Come dovrebbe essere ben noto, la nozione di “razza” – criticata e poi abbandonata da una buona parte delle stesse scienze sociali e biologiche che avevano contribuito a elaborarla – è una categoria tanto infondata quanto paradossale, essendo basata sul postulato che istituisce un rapporto deterministico fra caratteri somatici, fisici, genetici e caratteri psicologici, intellettivi, culturali, sociali.
Ricordo che nel 1950, il determinismo biologico fu formalmente denunciato dall’Unesco nella Dichiarazione sulla razza, considerata il primo documento ufficiale a denegare la correlazione tra le differenze biologiche e quelle culturali, psicologiche, intellettive, comportamentali.
Tuttavia, questa Dichiarazione non abbandonava la categoria di razza, ma solo il determinismo biologico. Per ciò non era, neppure per l’epoca, un documento granché avanzato, sebbene alla sua stesura avessero contribuito studiosi del calibro di Claude Lévi-Strauss e Ashley Montagu.
Ricordo che il secondo – biologo, psicologo, infine antropologo (fu uno dei primi allievi di Malinowski, poi di Boas) – già nel 1942 aveva demolito “il mito della razza” in un saggio (Man’s Most Dangerous Myth: The Fallacy of Race), che sarà tradotto in italiano tardivamente, col titolo La razza. Analisi di un mito.
A proposito del contributo dell’antropologia culturale nella decostruzione della “razza” (spesso sottovalutato dagli stessi antropologi), basta considerare il ruolo di Franz Boas, pioniere dell’antropologia moderna. Boas, che patì anche personalmente l’antisemitismo, divenne sempre più, nel corso del tempo, uno strenuo avversario del razzismo detto impropriamente scientifico. E ciò in una fase storica in cui ancora prevalevano pseudo-scienze quali la fisiognomica, la frenologia, l’antropologia criminale di Cesare Lombroso.
Fu col demolire progressivamente l’innatismo e il biologismo deterministico, che Boas riuscì ad introdurre la cultura come concetto primario e poi anche il relativismo culturale.
Non per caso tra i volumi che i nazisti dettero alle fiamme a Berlino, la notte del 10 maggio 1933, cinque mesi dopo l’ascesa di Hitler al potere, v’era uno dei saggi più popolari di Boas: cioè The Mind of Primitive Man, del 1911 (tre anni dopo pubblicato in tedesco col titolo più esplicito di Kultur und Rasse).
Ben più tardi, nel 1946, Fernando Ortiz, considerato il più importante etnologo e antropologo cubano, avrebbe pubblicato El engaño de las razas. Influenzato soprattutto dall’antropologia culturale statunitense, in questo saggio Ortiz confutava radicalmente, fra le altre cose, il razzialismo scientista. Tra l’altro, ricordo che fu lui a coniare la parola e il concetto di transculturazione.
Non brilla per audacia neppure la successiva Dichiarazione sulla razza, votata all’unanimità e per acclamazione nel 1978 dalla Conferenza Generale dell’Unesco. Basta dire che, se per l’antropologo cubano “razza” era «una mala palabra que non debiera decirse», qui gli aggettivi “razziale”/”razziali” vi ricorrono ben trentadue volte e vi si parla ripetutamente perfino di gruppi razziali come di un’evidenza.
Su questa stessa linea si porranno quasi tutte le convenzioni internazionali sui diritti umani e anche i testi-base dell’Unione europea, compresa la Carta dei diritti fondamentali. Sicché non c’è da stupirsi troppo se la “razza” permanga perfino nelle Costituzioni, compresa quella italiana, di cui si sono dotate le democrazie nate dalla resistenza al nazi-fascismo.
Eppure “razza” non è altro che una “metafora naturalistica”, per dirla con la formula di Colette Guillaumin (1972), sociologa femminista, autrice di una delle opere migliori che siano state scritte sul mito della razza e sul razzismo, mai tradotta in Italia (L’idéologie raciste. Genèse et langage actuel). Tale metafora è adoperata per naturalizzare lo stesso processo di svalorizzazione, stigmatizzazione, gerarchizzazione, discriminazione ai danni di taluni gruppi, minoranze, popolazioni.
In realtà, come insegna la lunga e tragica storia dell’antisemitismo, qualunque gruppo umano può essere razzizzato, indipendentemente dalla visibilità fenotipica, dalle origini, perfino dalle peculiarità culturali e sociali. Lo stigma applicato a certe categorie di persone può prescindere da qualsiasi differenza, essendo l’esito di un processo di costruzione sociale, simbolica, politica. Si pensi alla razzizzazione di cui furono oggetto in Italia i profughi albanesi nel corso degli anni ’90.
Nondimeno v’è ancora chi crede fermamente che il razzismo prenda di mira esclusivamente persone “negre”. Un esempio recente è quello riferito alcuni giorni fa da quotidiani, anche italiani. Riguarda un’afro-americana – attrice, conduttrice televisiva, cantante -, conosciuta con lo pseudonimo di Whoopi Goldberg. A fine gennaio di quest’anno, nel corso di un talk-show assai popolare, ella ha osato affermare che l’Olocausto “non aveva nulla a che vedere con la razza”, poiché è stato “solo” un episodio di “disumanità di uomini contro altri uomini”. La prova risiederebbe nel fatto che i protagonisti erano “due gruppi di persone bianche”. In sostanza “gente bianca contro gente bianca, e quindi voi che combattevate tra voi”.
In realtà, la stessa percezione dell’evidenza somatica dipende dalla storia, dalla società, dalla cultura. Tant’è vero che vi sono state e vi sono società per le quali quei caratteri fenotipici o morfologici (soprattutto il colore della pelle) che solitamente sono stati assunti come criterio di distinzione fra le “razze” non avevano (e non hanno) alcun valore tassonomico né valevano a istituire differenze fra individui e gruppi.
Nel razzismo odierno, che si è convenuto di definire “neorazzismo”, il determinismo biologico-genetico è spesso sfumato, talvolta dissimulato. Al fine di giustificare ostilità o rifiuto degli altri, di attuare e legittimare pratiche di discriminazione, segregazione ed esclusione, perlopiù si essenzializzano differenze sociali, culturali, religiose, fino a concepirle come a-storiche, assolute, immutabili.
Nondimeno, conviene ricordare che già l’antisemitismo moderno era culturalista e differenzialista: ha ragione Etienne Balibar a sostenere che «il neo-razzismo può essere considerato, dal punto di vista formale, come antisemitismo generalizzato».
Di conseguenza, conviene non assolutizzare neppure l’assunto secondo il quale il razzismo dei nostri giorni sarebbe differenzialista, culturalista, senza “razze”. In realtà, gli slittamenti, il mélange, i passaggi dal razzismo biologista a quello detto culturale, ma anche viceversa, ci sono sempre stati, ci sono tuttora, sono sempre possibili: al momento opportuno può riemergere l’immaginario sedimentato della “razza”.
Non fosse altro per questo, alquanto discutibile appare l’impegno profuso da studiosi, soprattutto francesi e italiani, che si rifanno alla “Critica postcoloniale”: impegno diretto a reintrodurre il termine e la nozione di razza nel lessico delle scienze sociali, in tal modo vanificando un secolo di paziente lavoro critico volto a decostruirli.
Incuranti del rischio di ri-legittimare la “razza” al livello del senso comune, studiose e studiosi dette/i “postcoloniali” la hanno collocata al centro del loro apparato concettuale, sia pur intendendola come costruzione sociale e dispositivo d’inferiorizzazione, subordinazione, esclusione degli altri. Il ragionamento di alcuni di loro è riassumibile nei termini di un sillogismo di questo genere: la retorica dei diritti umani ha fatto della “razza” un interdetto; ma, poiché la discriminazione e il razzismo esistono, per renderli palesi, analizzarli, contrastarli, nominarne le vittime, conviene riesumare il lemma di razza.
In verità, qualunque precauzione si prenda, il passato delle parole si sedimenta e persiste: per quanto si faccia lo sforzo di sociologizzarla, “razza” conserverà sempre il significato biologista-determinista che le è stato attribuito nel XIX secolo.
«Non si cambia la realtà cambiando i nomi; non si elimina il razzismo abolendo la parola razza», si sostiene da molte parti. Ma noi, che proponiamo di abolirla a iniziare dalla Costituzione italiana, non siamo così ingenui da pensare che così sarà bandito o solo incrinato il sistema-razzismo. Intendiamo, invece, affermare che la presenza di “razza” nella Costituzione appare oggi assurda e immotivata esattamente com’era la nozione di “sangue reale” nello Statuto albertino.
Cristiana Scoppa dice
Molto interessante. Se si toglie – opportunamente – la parola razza dalla Costituzione, basterà l’elenco esistente di motivi per cui non si può essere discriminati/e o occorre contestualmente allungare questo elenco, per es. includendo l’orientamento sessuale? perché dopotutto è sulla Costituzione che si fondano – si devono fondare – tutte le altre leggi dello Stato, comprese quelle che combattono/combatteranno qualsiasi forma di discriminazione…
antonella selva dice
grazie Annamaria, come sempre, per questo contributo.Vorrei segnalare come in molti ambiti, anche (pe non dire soprattutto) istituzionali permanga una visione del razzsmo che definirei “da operetta”. Ad esempio qui a bologna è stato inaugurato con molta pubblicità un nuovo servizio del comune in collaborazione con diverse associazioni di migranti (penso in parte ingenuamente coinvolte e in parte in relazione clientelare con il comune) così autodefinito: Lo SPAD, Sportello Antidiscriminazioni del Comune di Bologna, accoglie, ascolta, orienta e supporta le persone vittime, o testimoni diretti o indiretti, di discriminazioni sulla base della razza, del colore, dell’ascendenza o dell’origine nazionale o etnica, delle convinzioni e delle pratiche religiose. Riceve segnalazioni e fornisce informazioni.
Bene. Già dalla descrizione si evince che comunque programmaticamente non fornisce soluzioni ai problemi (e quindi uno potrebbe chiedersi a scopo rivolgersi ad esso). Ma soprattutto sembrerebbe che ci aspetti atti di razzismo e discriminaizone tipo un insulto gratuito per strada, oppure un proprietario di casa che dichiara apertamente di non affittare il proprio immobile a stranieri. Ma la realtà non è questa (o in ogni caso non sono queste le cose che pesano sulla vita dei migranti in Italia. Molto più grave, perché veramente condiziona la vita in senso discriminatorio, è il pregiudizio radicato nei funzionari pubblici, inclusi gli operatori sociali che automaticamente e tacitamente catalogano una famiglia straniera senza casa come scrocconi in erca di assistenzialismo e dal primo momento investono tutto il loro impegno per toglierli semplicemente di torno senza che possano avere un grammo del micragnoso welfare che gli spetterebbe. Senza consierare ad esempio (caso reale da noi seguito) che in una città come Bologna il mercato dell’affitto è ermeticamente chiuso per una famiglia migrante di 4 persone con un solo percettore di reddito con contratto a termine come facchino all’interporto (cito un esempio concreto – ma drammaticamente simile a centinaia di altri).
Il funzionario per cui sei solo una seccatura e usa leggi e regolamenti per tenerti fuori da qualsiasi possibile beneficio; un sistema città che si serve delle tue braccia, ma che, al termine dell’orario di lavoro, si rifiuta di riconoscere i tuoi elementari bisogni.
L’ipocrisia di istituire uno “Sportello antidiscriminaizoni” quando sei il principale attore di discriminaizoni in città (no, scusate, il secondo: il primo rsta sempre lo stato per mezzo del ministero dell’interno)
Isabella peretti dice
Pienamente d’accordo, come il tuo primo libro, La bella la bestia e l’umano, della collana sessismoerazzismo sosteneva e come la collana stessa sostiene
Patrizia Sterpetti dice
Eliminiamo questa nozione e tutte le barriere simboliche e concrete che ostacolano il buon vivere di persone per la loro particolarità, umanamente universale.
maomao comune dice
ANNAMARIA RIVERA
Pour en finir une bonne fois pour toutes avec la race
Annamaria Rivera, Comune-Info, 10/2/2022
Traduit par Fausto Giudice, Tlaxcala
Comme on le sait, la notion de « race » – critiquée puis abandonnée par une grande partie des sciences sociales et biologiques qui avaient contribué à son élaboration – est une catégorie aussi infondée que paradoxale, car elle repose sur le postulat qui établit une relation déterministe entre les caractéristiques somatiques, physiques et génétiques et les caractéristiques psychologiques, intellectuelles, culturelles et sociales.
https://tlaxcala-int.blogspot.com/2022/02/annamaria-rivera-pour-en-finir-une.html
Emanuela Petrolati dice
Grazie, Annamaria Rivera, per l’analisi, come sempre, lucida, circostanziata e puntuale.
Già in altri contributi hai evidenziato come il tentativo di sostituire “razza” con “etnia” sia perdente in partenza. Ma allora è tempo forse di formulare con pazienza un vocabolario nuovo per nuovi concetti che non siano semplicemente sinonimi di realtà di cui ormai è dimostrata l’inesistenza
Maria Paola Patuelli dice
Bello, utile e prezioso, l’artciolo di Annamaria, per i tanti rimandi e approfondimenti. Annamaria è una miniera di saperi. Ho già avuto modo di dirle, amichevolmente, il mio disaccordo nel volere togliere la parola “razza” dalla Costituzione. Fu un “urlo” antirazzista, dopo la immane tragedia. Chi la scrisse – c’erano ebrei fra i Costituenti – sentiva ancora l’odore di bruciato e le urla dei dannati. La loro parola “razza” è da spiegare in quel contesto. Invece di cancellarla, sarebbe necessario che le Isitituzioni della Repubblica deliberassero che ogni nuova edizione, cartaceoa o meno, della Costituzione, inserisse una nota di speigazione del perchè “razza” fu un urlo antirazzista. Le razze non ci sono, il razzismo c’è, ed è in crescita. Grazie, Annamaria, perchè ci tieni sempre in un salutare esercizio critico.
Gabriella Gagliardo dice
Grazie Annamaria, un’analisi illuminante. Siamo culturalmente, a livello di cultura di massa, ancora molto lontani da questa lucidità e misurare le parole è ancora più necessario, come esercizio costante. Penso alla scuola e a quanto sia difficile scardinare certe strutture di ragionamento. Penso a come possiamo filtrare, rinunciando ai tanti preziosissimi riferimenti degli autori che citi ma che sono completamente ignoti e piuttosto inaccessibili alla quasi totalità dei nostri studenti, come possiamo fare arrivare quell’input critico così necessario. I tuoi testi sono un’ottima base di partenza.