Il 17 giugno di 25 anni fa in una conferenza stampa scintillante il sindaco di Roma annunciava il Piano Nomadi. 5.000 erano i rom censiti nella Capitale e 5.000 sono oggi; 18 i campi riconosciuti, oggi sono solo uno in meno. Intanto oggi in città il razzismo è perfino “aumentato e con esso il flusso di denaro speso attorno al ‘sistema campi’… – scrive Carlo Stasolla, all’epoca residente della baracca n. 109 di Casilino 900 – amputando le speranze di vita di tre generazioni di rifugiati dell’ex Jugoslavia. Tutto parte da qui, dal 17 giugno 1994. Poi la storia si è ripetuta sino ad oggi con le solite conferenze stampa trionfalistiche di Walter Veltroni, Gianni Alemanno e Virginia Raggi…”

È un pomeriggio fresco a Roma quando, il 15 giugno 1994 viene comunicata alla stampa l’organizzazione di un’importante conferenza stampa in Campidoglio per il venerdì successivo. All’evento “Le iniziative del Comune di Roma per i nomadi che vivono nella Capitale” interverrà il sindaco Francesco Rutelli, l’assessore alle Politiche sociali Amedeo Piva e Maurizio Bartolucci, 40enne, presidente della Commissione Politiche sociali.
Sette mesi prima, era stato eletto a sindaco della città il giovane Francesco Rutelli, che si era buttato in una competizione elettorale che per la prima volta prevedeva l’elezione del sindaco con il voto diretto dei cittadini. La Capitale è affogata in una crisi economica, politica e morale ed è ferma intenzione del neo sindaco mutare profondamente la struttura economica, l’organizzazione istituzionale e politica, la pianificazione urbanistica e infrastrutturale.
Il 17 giugno di venticinque anni fa, nella Sala della Protomoteca, davanti ai giornalisti, consiglieri comunali e rappresentanti dell’associazionismo laico e cattolico, l’annuncio del primo cittadino: “Oggi vi presentiamo per la prima volta il ‘Piano Nomadi‘, che rappresenta la prima tappa di un cammino che contiamo di risolvere progressivamente e di concludere. I campi nomadi diventeranno degli spazi organizzati per quanto riguarda la vivibilità, la civiltà e la sicurezza della comunità romana. Dai 18 attuali insediamenti, passeremo a dieci campi sosta organizzati. Il percorso sarà lungo, non sarà semplice. È un grande processo di trasformazione. Maggiore controllo e un processo irreversibile di risanamento e di civile convivenza nei campi esistenti. I campi abusivi naturalmente non ci potranno essere. Gli abitanti dei campi sosta regolari saranno in possesso di un tesserino personale e le loro auto, per accedere al campo, avranno un contrassegno”. Per Roma è una giornata storica: nascono quel giorno i “campi nomadi” come spazi progettati e gestiti dall’istituzione comunale.
A seguire i dettagli presentati dall’assessore Piva: “I lavori da fare nei campi sono molti: l’allacciamento elettrico, l’allacciamento in foglia, lavori di bonifica, la recinzione di tutti i campi. La recinzione sarà fatta in tutti i campi, a tutela dei cittadini per il controllo dei campi, ma anche a tutela dei nomadi stessi. Il gruppo di lavoro sarà coordinato dall’Ufficio speciale immigrazione. Siamo sicuri che per la fine dell’estate i dieci campi saranno realizzati e funzionanti. Per un nomade, per vivere a Roma sarà fondamentale accettare di stabilirsi nei campi stabiliti dall’amministrazione comunale”.
“Abbiamo tutti la sensazione – confida al microfono il presidente Bartolucci – che ci stiamo apprestando a mettere in campo il passaggio dall’emergenza alla programmazione”. Mentre Massimo Converso, presidente dell’Opera Nomadi, rivela: “Noi sosteniamo completamente il Piano di questa amministrazione. Siamo d’accordo su tutto. I campi rom servono a controllare il problema. Questo è un Piano razionale, coraggioso e concreto”.
Sono passati venticinque anni. Cinquemila erano i rom censiti nella Capitale e cinquemila sono oggi. Diciotto i campi riconosciuti; oggi sono solo uno in meno. In città è aumentato il razzismo e con esso il flusso di denaro speso attorno al “sistema campi” che nell’ultimo quarto di secolo ha raggiunto una cifra non lontana dal mezzo miliardo i euro. Nella Capitale quello del “sistema campi” è stato per 25 anni un business che ha infettato organizzazioni ed enti di volontariato e intossicato la città, amputando le speranze di vita di tre generazioni di rifugiati dell’ex Jugoslavia. Tutto parte da qui, dal 17 giugno 1994. Poi la storia si è ripetuta sino ad oggi con le solite conferenze stampa trionfalistiche di Walter Veltroni e Gianni Alemanno (“Il nostro Piano Nomadi è una rivoluzione copernicana. Cancelleremo quella che per Roma è una vergogna”, presentazione del Piano il 31 luglio 2009) fino ad arrivare a Virginia Raggi, che il 31 maggio 2017, accompagnata anche lei dall’assessore alle Politiche sociali e dalla presidente della Commissione Politiche sociali ha annunciato alla stampa, nella stessa Sala della Protomoteca: “Veramente per noi oggi è un giorno molto importante perché possiamo annunciare in maniera molto netta che finalmente a Roma saranno superati i campi rom. Saranno avviati progetti, campo per campo, insieme ai Municipi”.
Cambiano i termini ma resta immutata la spettacolarizzazione dell’annuncio e soprattutto ciò che segue: i rom di Roma restano nei campi e i soldi continuano a scorrere. Senza che nessuno abbia l’umiltà di imparare qualcosa dal passato.
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Carlo Stasolla oggi è presidente dell’Associazione 21 luglio. Il 17 giugno 1994 viveva con la moglie e il figlio nella baracca n.109 di Casilino 900 e andò ad ascoltare il sindaco di Roma. Questo articolo è apparso anche su un blog del fattoquotidiano.it (con il titolo Roma, ‘il Piano Nomadi è una rivoluzione’. Ma da 25 anni sentiamo le stesse promesse) e qui con il consenso dell’autore
Ho sempre provato vergogna al passare davanti a uno dei campi nomadi della città. Ciò che denuncia l’articolo era già chiarissimo all’epoca di Veltroni, quando si inaugurò il campo-lager di Castel Romano. Ne hanno approfittato tutti, partiti, ong (cattoliche e non), esattamente come appare in Suburra, se non peggio. Lo schifo era così grande che la puzza si sentiva in ogni angolo del terzo settore romano. Poi sono arrivati i rifugiati, e i nomadi sono stati ancor più dimenticati, fino all’arrivo del mussolone Salvini, che raccoglieva 10 voti ogni passo che faceva in un campo, su e giù per l’Italia. Le conseguenze sono state e sono catastrofiche, in termini dell’aumento del razzismo e della vera e propria perdita di 3 generazioni di vite. La sinistra che ora la gente non vota più è artefice di questi scempi, ma non ha mai fatto un mea culpa: anzi, continua a professarsi come baluardo dell’integrazione. Coloro che hanno spianato il cammino a Salvini, oggi tacciono o parlano nei salotti buoni. Bisogna esigere ai dirigenti di oggi le dovute scuse ai nomadi e ai romani per tanto scempio e dolore che hanno inflitto con questi piani che, calcolando che sono stati pensati e attuati in piena democrazia, poco hanno da invidiare a quelli del nazismo, dello stalinismo o del gheddafismo.
Purtroppo e’ tutto vero ma fa molto comodo continuare a lucrare sui disgraziati di turno!!! Che vergogna!!!