Le Nuits Debout si moltiplicano nelle banlieues dell’Ile-de-France. Ma la convenrgenza delle lotte tra parigini e abitanti dei quartieri popolari non si è ancora raggiunta. Per ristabilire la fiducia, secondo molti militanti dei quartieri popolari, è necessario che i giovani di place de la République vadano a sostenere gli abitanti delle cités
di Isaline Bernard et Emilie Massemin (Reporterre)
Mercoledì 14 aprile, dinnanzi alla basilica di Saint-Denis circa trecento persone si sono ritrovate per il movimento Banlieue debout. Un volantino era stato distribuito alcuni giorni prima per appoggiare i genitori degli alunni mobilitatisi contro la mancanza di personale nel dipartimento. Il volantino invitava a proseguire la manifestazione sotto forma di “Nuit debout a Saint-Denis”. Tendoni, manifesti, mensa e persino uno spazio bimbi. Alle sei del pomeriggio, tutto è già pronto e le persone cominciano a prendere parola.
Le rivendicazioni non sono le stesse che nel cuore di Parigi. Qui, il movimento ha cominciato nella mattinata con delle rivendicazioni di genitori di alunni. «Le diseguaglianze che subisce il 93 [dipartimento di Seine-Saint-Denis], la mancanza di personale supplente nelle scuole, così come di psicologi dopo l’assalto del 18 novembre scorso, fanno di Saint-Denis una città in lotta”, dice Maïka (quarantadue anni), madre di alunni di Saint-Denis, arrivata per caso dopo l’assembramento di genitori di alunni.
«Tra di noi si parla di delocalizzare la Nuit debout da Parigi. Ci sono persone che non possono spostarsi per manifestare la loro rabbia».
Philippe, studente brasiliano in socio-antropologia a Paris 8 spiega che «al di là della problematica della legge sul lavoro, ci sono dei problemi di alloggio e di migranti Saint-Denis. Ho parlato molto con della gente venuta da Parigi che è lì per il movimento di Nuit debout. Non conoscono necessariamente i problemi di Saint-Denis, ma l’importante è che essi siano lì».
Lahsen e sua moglie Mariam insistono sul fatto che «tutto questo non si ferma a Saint-Denis, è solo una goccia. Finché siamo qui, finché vogliamo far parte di questa società, noi siamo lì. Qui è solo un’estensione dal momento che non possiamo spostarci tutti in un luogo preciso».
Un’impressione condivisa dalla maggior parte dei partecipanti come Wendzy, ventinove anni, impiegata della piscina municipale, che afferma: «Io non sono andata a place de la République poiché lavoro tutti i giorni. Ma ci sarei andata, se avessi il tempo».
«Sono molto tra di loro, tra militanti»
Lontano dalla Nuit debout di place de la République, l’assembramento di Saint Denis non ha gli stessi mezzi tecnici. Con il sostegno del Municipio di Saint-Denis sono stati montati diversi tendoni, così come delle sedie sono state prestate mentre, allo stesso tempo, i militanti di place de la République faticano a trovare dove mettere le loro matite. Elisabeth, militante dell’associazionismo, è venuta a Saint-Denis dopo essere passata qualche giorno fa a place de la République: «Penso che dovunque siamo dobbiamo mobilitarci. Ma è necessario che tutto ciò cresca. Siamo molto tra di noi, tra militanti. Qui c’è un tessuto associativo cittadino che si conosce. Molti sono già in associazioni».
Benché questo movimento stia crescendo, qualcuno aspetta di vedere se sfocerà in qualcosa di più concreto. «La principale critica di Occupy Wall Street è che non è accaduto nulla poi. Sarebbe un peccato se non succedesse nulla dopo Nuit debout, passeremmo per dei coglioni di giovani. Bisogna prendere le idee di rivendicazione per trasformarle in qualcosa» spera Mathilde, ventisei anni.
Come a Saint-Denis, numerose Nuits debout nascono al di là della periferia. Venerdì 15 aprile, sette mobilitazioni hanno avuto luogo a Créteil e Fontenay-sous-Bois (Val-de-Marne), Cergy (Val-d’Oise), Mantes-la-Jolie (Yvelines), Évry (Essonne), Les Lilas e le Blanc-Mesnil (Seine-Saint-Denis). Mercoledì 13 aprile, oltre Saint-Denis, parecchie Nuit debout si sono svolte a Ivry-sur-Seine (Val-de-Marne), Noisy-le-Grand, Romainville e Saint-Ouen (Seine-Saint-Denis).
«C’erano soprattutto liceali, alcuni bobo, ma il tutto era almeno abbastanza variegato»
Montreuil (Seine-Saint-Denis) ha iniziato il movimento. Venerdì 8 aprile, tra le duecento e le trecento persone si sono riunite a place Jean-Jaurès. Una iniziativa lanciata da Henni Darrat, diciotto anni, liceale a Montreuil. «Andavo a place de la République tutte le sere. Quando ho sentito l’appello ad allargare Nuit debout ad altre città, mi sono detto, perché non Montreuil – spiega il militante, membro del Comité des citoyens montreuillois – C’erano soprattutto liceali, alcuni bobo (“bourgeois-bohémien“, versione francese dei nuovi radical chic ndr), ma il tutto era almeno abbastanza variegato».
E l’interrogativo lancinante di Nuit debout. Gli studenti, gli intellettuali precari e le classi medie sono molto rappresentate alla mobilitazione parigina, gli abitanti dei quartieri popolari molto meno. Il movimento arriverà ad allargare la sua base sociologica e a raggiungere il suo obiettivo di convergenza delle lotte?
Un pugno di militanti dei quartieri popolari, regolarmente presenti a place de la République e consapevoli che una mobilitazione congiunta è necessaria, si attiva per coinvolgere gli abitanti dei loro quartieri. «Ci sono tantissime associazioni che lottano ciascuna per le proprie specificità – osserva Almamy Kanouté, co-fondatore del movimento cittadino Émergence e abitante di Fresnes (Val-de-Marne) – Questa frammentazione favorisce l’oligarchia. Se riusciamo a unire abitanti delle banlieues e parigini, allora essa avrà paura». Soprattutto, secondo il militante, «siamo tutti fratelli e sorelle. Non abbiamo necessariamente lo stesso colore, la stessa taglia, le stesse storie, ma ci sono dei punti di convergenza. Siamo innanzitutto persone».
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Intervento di Almamy Kanouté place de la République, il «40» marzo
«Le rivendicazioni espresse a place de la République sono quelle che portiamo avanti da quarant’anni».
Sul fronte delle rivendicazioni, la convergenza è fattibile. «A Montreuil e a République, gli abitanti denunciano gli stessi problemi: il progetto di legge sul lavoro, la pressione della polizia, la disoccupazione», osserva Henni. Per il rapper e militante Fik’s Niavo, originario di Ulis (Essonne), «le rivendicazioni espresse a place de la République sono quelle che portiamo avanti da quarant’anni. Hanno attraversato tutto il rap dalla fine degli anni Ottanta e dall’inizio degli anni Novanta, grazie a dei gruppi Ntm o Iam».
Per questo, gli abitanti dei quartieri popolari faticano a mobilitarsi. «Mercoledì, a Nuit debout, c’erano trecento persone ma una maggioranza di bianchi – racconta Sarah Misslin, consigliera municipale e segretaria di sezione al Pcf (Parti communiste français) d’Ivry-sur-Seine – all’iniziativa della mobilitazione. Martedì sera, ho assistito a un dibattito sulle violenze e i crimini della polizia. C’erano centocinquanta persone, i fatti sono chiari, ma non funziona. Non riesco ancora ad analizzare tutto questo».
Per Yessa, molto attiva a Mantes-la-Jolie, la precarietà dei livelli di vita non aiuta: «Gli abitanti dei quartieri popolari sono presi da un quotidiano che non permette loro finanziariamente, né in termini di tempo, di spostarsi e di restare più giorni a République. Il tenore di vita dei giovani di banlieue non è lo stesso di quello degli studenti della piazza».
«La gente è alla sopravvivenza»
Le violenze della polizia inquietano anche perché: «I giovani si fanno già controllare tutto il tempo, non hanno voglia di aggiungere altro», evidenzia Mme Misslin. Il fatalismo è un altro ostacolo da superare: «C’è una vera preoccupazione di presa di coscienza di classe. La gente è alla sopravvivenza. Coloro che non hanno un lavoro, ne vogliono uno, anche se si fanno sfruttare».
Alla fine, la diffidenza di alcuni abitanti dei quartieri popolari nei confronti di Parigi è reale. Malgrado le sue convinzioni sociali e politiche, Fik’s Niavo ha prima guardato Nuit debout da lontano. «Io sono banlieusard nell’anima e ho talvolta l’impressione che i parigini mi guardino dall’alto – confessa l’artista -La fiducia è spezzata. Ma alla fine sono andato a place de la République, perché mi sembrava importante gettare dei ponti».
Per M. Kanouté, «se le violenze della polizia commesse in occasione delle mobilitazioni contro il progetto di legge sul lavoro si fossero svolte in banlieue, la gente si sarebbe mobilitata. Ma sfortunatamente troppi giovani si sentono presi in trappola dalle frontiere. La mobilitazione e le violenze toccano gli studenti, per cui il giovane di quartiere descolarizzato si dice che questo non lo riguarda».
«Nel 2005, durante le 21 notti di rivolta sociale, ci siamo sentiti isolati»
La morte di Zyed Benna, diciassette anni, e Bouna Traoré, quindici anni, fulminati nella recinzione di un postale elettrico il 25 ottobre 2005 a Clichy-sous-Bois, mentre tentavano di sfuggire a un controllo di polizia, ha aggravato la frattura, analizzano Fik’s Niavo e M. Kanouté. «Durante le 21 notti di rivolta sociale che sono seguite, mentre i giovani di quei quartieri rivendicavano i loro diritti e lottavano contro le discriminazioni, ci siamo sentiti davvero soli e isolati – ricorda Mohamed Mechmache, porta-parola dell’associazione ACLeFeu e eletto (Europe Écologie Les Verts) al consiglio regionale d’Île-de-France – Oggi, quei giovani dei quartieri guardano cosa accade a Parigi e aspettando di vedere quando i parigini verranno ad aiutarli».
Ma non tutto è perduto, assicura Yessa. «I giovani che io affianco sono militanti, impegnati, certi vanno alle manifestazioni a Parigi – sottolinea – Questi bambini dei quartieri popolari immaginano il proprio avvenire in modo differente, la maggior parte intraprende grandi studi e non vede più la sua vita unicamente nella sua banlieue».
Per arrivare a una convergenza, «è necessario che questi giovani che sono a République vadano in banlieue. È necessario che la convergenza delle lotte sia nei due sensi, che ciascuno ci metta il suo», ritiene la militante di Mantes-la-Jolie. Fik’s Niavo propone che «durante la settimana, la gente si mobiliti in delle Nuits debout locali. Ma che il week-end, parigini e banlieusards si ritrovino nella stessa città: un sabato a Montreuil, il seguente a Mantes-la-Jolie, ecc.». « Sarebbe un segnale forte, una maniera di dire ’i vostri problemi sono anche i nostri’», sostiene M. Mechmache.
«Se non si va nelle cités, i loro abitanti non verranno»
Le cose devono muoversi allo stesso modo nel cuore delle città, sostiene Mme Misslin: «Noi abbiamo proposto all’Assemblea generale che le Nuits debouts di Ivry non abbiano più luogo in centro città ma nei quartieri. Bisogna essere mobili perché se non si va nelle cités, i loro abitanti non verranno».
Gli abitanti dei quartieri popolari non si uniranno mai alla mobilitazione senza apportarvi le loro rivendicazioni. «Ciascuno porterà il suo contributo e dobbiamo accettare tutti i contributi, che essi provengano dalle aree rurali o dalle banlieues», insiste M. Kanouté. Esempio, la segregazione spaziale. «A Mantes-la-Jolie, la metà della popolazione vive nella Val-Fourré, una delle prime cités di Francia, spiega Yessa. Gli abitanti soffrono di una forma di autarchia, tutto è fatto perché essi non escano dal quartiere. Bisognerà decentralizzare questa cosa». Stesso problema a Montreuil, dove «ci sono molte meno attività per gli abitanti di Haut-Montreuil che per la parte bassa della città, più bobo, di cui si cura l’immagine», osserva Henni.
Le forme di mobilitazione dovranno forse evolvere. «Non tutti hanno la pazienza di mettersi seduti e ascoltare le persone parlare per quattro-cinque ore – prevede M. Kanouté – Nelle banlieues, c’è urgenza. Alcune famiglie stanno per farsi espellere. Gli abitanti dei quartieri popolari si aspettano azione. Perché non fare una pianificazione delle espulsioni e andare ad ogni indirizzo per impedire ciò?».
«Dobbiamo assolutamente creare fiducia – conclude Mechmache – Si smetta di aspettare che siano i quartieri a tendere la mano e Nuit debout vada a Ivry, Saint-Denis, ecc. Così gli abitanti si diranno finalmente che ci si preoccupa di loro. È questa la dinamica da creare».
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