La logica del mercato è violenta e banale. Ma è tutt’altro che astratta, precipita sui nostri corpi, sulla salute, sulle relazioni. “Nel servizio in cui opero, un servizio comunale che si occupa di accoglienza delle persone migranti – scrive Roberto De Lena -, il recente cambio di appalto ha provocato una seria riduzione per noi lavoratrici e lavoratori di molte ore di lavoro, con conseguente taglio dei diritti per tante e tanti… Ora, ad essere trattato io stesso come merce, forse capisco meglio tante cose…”. Cosa fare nel buio? “Le reti fiduciarie, le pratiche di solidarietà, le azioni di cooperazione, il lavoro nella comunità: a ben vedere, la logica banale del mercato, pur nella sua violenza, non riesce (ancora) a impossessarsi di tutto. Qualcosa rimane sempre di radicalmente altro, che va coltivato e fatto crescere…”
Foto di Ferdinando Kaiser
La logica del mercato ha come obiettivo principe la realizzazione del profitto il più alto possibile; chi la persegue non vede altro davanti a sé che merci. Ogni cosa, ai suoi occhi, è una variabile economica: un costo o una spesa, un investimento o una perdita. Che si tratti di aria, acqua, terra, o invece di cemento armato, di armi, di mezzi di trasporto non fa differenza; che si tratti di informazioni, di educazione e di conoscenza, che si tratti di sanità, di religione, di pezzi interi di città, che si tratti di animali, di persone, di donne, uomini e bambini in carne e ossa non fa alcuna differenza. È una logica violenta e banale: banale per quanto essenzialmente violenta. Banale perché essenzialmente violenta: lineare e prevedibile; malvagia, autoritaria.
Tuttavia il male, diceva Hannah Arendt, “non è mai radicale, ma soltanto estremo”, non possiede “né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo”.
La logica banale del mercato: in città e nelle teste
La logica banale del mercato, che fa tutto merce e profitto, si espande infatti come un fungo sulla superficie del mondo, invadendo e devastando: è una logica pervasiva, che raggiunge ogni angolo della società. Nella mia città, ad esempio, una piccola cittadina costiera, la logica banale e violenta del mercato si espande in ogni dove: te la ritrovi nei ricchi palazzi costruiti a piè sospinto; nel centro cittadino ridotto a grande supermercato, luccicante e disgustoso; negli investimenti della Chiesa-impresa; nelle grandi opere pubbliche devastanti, nelle strade che passano dentro al parco cittadino, nella privatizzazione dell’acqua e della raccolta dei rifiuti, nella privatizzazione dei trasporti; nel funzionamento aziendale di tante scuole pubbliche cittadine, che si adeguano alle private già esistenti; te la ritrovi nella distruzione della sanità pubblica, nella privatizzazione dei servizi sociali.
La logica banale del mercato può viaggiare forte, superando cancelli, portoni e porte blindate: talvolta giunge fin dentro le nostre case; fin dentro le nostre teste. Si mette all’opera ogni volta che l’io egoista viene prima di tutto; ogni volta che lasciamo cadere qualcuno perché ha sbagliato e se l’è meritato; ogni volta che consideriamo l’altro, ogni altro, come mezzo e non come fine.
Vite sotto assedio
Quando la logica banale del mercato ti viene scaricata addosso, quando ti viene imposta in tutta la sua violenza, non è più “solo” una logica, un modo di pensare, diventa materia. Una faccenda fisica, che fa male alle ossa, al corpo. Diventa ansia e paura del futuro, rabbia e sfiducia nell’altro; diventa notti insonni, tachicardia, angoscia. Quando la logica del mercato ti impone, ad esempio, il licenziamento, o la riduzione forzata delle ore di lavoro, insomma il taglio dei tuoi diritti di lavoratore la tua vita si sconvolge: è come essere investiti da un treno. L’impatto è duro, violento. È la violenza che si prova a sentirsi considerati come una variabile del profitto, come una merce. È la banalità del mercato all’opera.
“‘O ciardeniello…” (in napoletano, “il piccolo giardino”). Foto di Ferdinando Kaiser
Dinanzi alla logica del mercato in azione, mentre questa devasta e invade il mondo, alcuni sindacati dicono: “funziona così, il mondo del lavoro è sotto assedio, si può fare poco, e forse provano a strappare qualche diritto in più”; molti di noi, lavoratori, diciamo anche: “funziona così, non ci resta che capire se si può leggermente migliorare il quadro”; “funziona così” – dice anche l’azienda – “mettetevi nei nostri panni”, chiede banalmente ai lavoratori.
E il lavoro sociale?
Nel servizio in cui opero, un servizio comunale che si occupa di accoglienza e integrazione delle persone migranti, il recente cambio di appalto ha provocato una sostanziale e seria riduzione per noi lavoratrici e lavoratori di molte ore di lavoro, con conseguente taglio dei diritti per tante e tanti.
Per chi, come me, di lavoro fa l’operatore sociale, subire le conseguenze violente e banali della logica del mercato significa vivere una condizione che è immediatamente individuale e collettiva, personale e pubblica: ridurre così drasticamente i nostri orari di lavoro, come ci sta accadendo dentro questa ristrutturazione aziendale, significa ridurre, oltre agli stipendi, i servizi per altre persone in difficoltà, riducendo cioè diritti collettivi. Ma l’azienda, che gestisce l’appalto per conto del Comune, ha, banalmente, le sue insindacabili ragioni gestionali: ecco all’opera la logica banale del mercato. Tanta parte dei Servizi Sociali municipali, che hanno una funzione pubblica, operano oggi dentro tale logica privatistica, aziendalista (e autoritaria); accade nella mia città e non solo.
Accade a tante, troppe persone, tra cui le operatrici e gli operatori del sociale. Molte e molti che subiscono questa violenza non possono scriverne, accumulano frustrazione in privato… Io provo a parlarne per sentirmi meno solo, sperando, chissà, di poter dar voce anche ad altre ed altri in condizioni simili.
Lucia, Michele, Deborah e Benjamin
Penso quindi a me e alle mie compagne e compagni di lavoro… Penso a Lucia, una donna senza dimora che conosciamo da tanti anni. “Dove dormi, stasera, Lucia?”, le ho chiesto mentre ritirava il pasto alla mensa. “Dormo in strada dove posso”, mi ha risposto con un sorriso amaro. Penso a Michele, che abbiamo conosciuto di recente, e che ci chiede aiuto tutte le sere frettoloso: ha divorziato da poco ed è in grossa difficoltà, ma si sta avvicinando timidamente, non ha ancora confidenza col servizio. Penso a Deborah, che ha attraversato mezzo mondo per ritrovarsi a lavorare sfruttata in un ristorantino di pesce della mia città; a Benjamin che dopo tanti anni sta ancora lottando per poter avere i documenti.
Penso a Lucia, Michele, Deborah, Benjamin e a tante altre e altri che ho incontrato in questi lunghi anni; a come la logica banale del mercato ha iniziato da loro: li ha isolati, messi ai margini, dove si vedono meno e fanno più comodo; li ha espulsi, resi indesiderati, merce a basso costo, senza protezione. Penso a quanta violenza subiscono sulla loro pelle da anni. Ora, ad essere trattato io stesso come merce, forse capisco meglio tante cose…
Penso a come le nostre vite siano diventate pure variabili di mercato; la logica banale del mercato ci ha separati e resi soli, isolandoci gli uni dagli altri; bisogna imparare a competere, a farsi spazio, a meritarsi il proprio posto nel mondo. Non c’è alternativa, ripetono in coro; funziona così, dicono banalmente in tanti, la maggioranza assoldata al portafoglio della logica del mercato.
Banalità del mercato e radicalità del bene
Eppure, lo so, tutto questo è solo in superficie: “non dobbiamo avere paura, le cose poi si sistemano, possono migliorare” – ha detto Mary, la mediatrice nigeriana del progetto, parlando in un gruppo di incontro qualche tempo fa; “noi qui ci siamo sempre per il supporto che possiamo”, mi ha fatto capire Giorgio, che sta finendo il suo percorso in Comunità e ho incontrato l’altro giorno all’orto. Le reti fiduciarie, le pratiche di solidarietà, le azioni di cooperazione, il lavoro nella comunità: a ben vedere, la logica banale del mercato, pur nella sua violenza, non riesce (ancora) a impossessarsi di tutto. Qualcosa rimane sempre di radicalmente altro, che va coltivato e fatto crescere: la radicalità delle relazioni sociali solidali è irriducibile alla logica banale e violenta del mercato.
A ben vedere, insomma, la logica banale del mercato è come il male, una sfida al pensiero: questo, infatti, nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Come il male, nel profondo della logica banale del mercato non c’è nulla, lì è vuoto. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale.
Grazie Roberto De Luna
La logica del mercato credo da sempre in aperta contraddizione con “Comune”. Come simbolo di solidarietà e come Istituzione.
Da ex segretario comunale e ex dirigente ispettore alla Funzione Pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ho condiviso anche quando ero alla Funzione Pubblica i principi più elementari della Costituzione che vedevo semplicemente violati da partecipate Spa. Sono stato il primo Dirigente Ispettore che ha mandato a fatto denuncia per danno erariale a 2 partecipate Spa. Era il 2010. Sei anni dopo, 2016, con la legge sulla razionalizzazione delle partecipate, all’articolo 12, il Parlamento riconoscerà la regolarità anche della mia denuncia. Meglio tardi che mai.
In tema poi di cooperative subentrate a più servizi interni, giorni fa un ex cantoniere comunale con cui ho lavorato e che ora, pensionato, si trova con un Comune che ha affidato i lavori esterni a una cooperativa, a una mia richiesta di quanto prendono all’ora mi ha risposto subito meno di 6 €uro. Ha aggiunto: “Lo so perché mio figlio ci ha lavorato per 2 mesi”.
Nel mio piccolo, vicino Comune, in Unione con il precedente, ha appaltato le pulizie a altra cooperativa. Ne ho incontrato una dipendente. Le ho chiesto quanto prende all’ora. Mi ha risposto 7 €uro.
So che il livello più basso in un Comune prende 9 €uro all’ora. Per 36 ore settimanali e altro.
Studente in legge a Milano ho fatto il portaborse di uno dei massimi giuslavoristi.
Segretario Comunale ho combattuto, sempre, contro la violazione degli articoli 36 e 3 della Costituzione. Pagandone non poche conseguenze.
Oggi, scopro che, nel silenzio non solo di tutte le forze politiche, ma degli stessi sindacati, a partire dal mio (ora sono SPI Cgil),
abbiamo Comuni che, tranquillamente, creano e fanno lavoro nero.
Non posso aggiungere altro che, vedendo questi silenzi, temo non solo per il futuro. Ma per la stessa democrazia.
Ho letto il bell’articolo di Livio Pepino in difesa di Mimmo Lucano. Ho scritto già su questo foglio, che Mimmo Lucano, in base alla Costituzione e allo Statuto del Comune, di cui ho letto più articoli, non solo per quello che ha fatto non ha commesso nessun reato. Ma che avrebbe commesso più reati se non avesse fatto quello che, in base in particolare a quello che prescrivono Costituzione e Statuto del Comune, ha fatto.
Vorrei che le Forze dell’Ordine e i Magistrati leggessero, prima di operare su Comuni, quantomeno lo Statuto Comunale.
Ancora grazie. Luigi Meconi
Grazie per il tuo interessante intervento Luigi.