“Kinderblock, baracca per i bambini. Nel ’44 Tatiana e Andra Bucci avevano cinque e sette anni. Josef Mengele le aveva scambiate per gemelle e voleva studiarle. Anche la madre era con loro a Birkenau. Le andava a trovare di nascosto. Gli ricordava il nome. Cercava di vaccinarle. Perché il nazismo non è solo il campo di sterminio, ma soprattutto il pensiero che l’ha istituito. Per convincere le persone a compiere un genocidio non si usa la violenza. Un pazzo può entrare in un supermercato e sparare a una decina di clienti, ma non si uccidono milioni di persone con la pazzia. Ci vogliono leggi e burocrati, una classe dirigente con le sue industrie e i suoi capitali. Ci vuole un pensiero che porti a pensare gli altri come esseri inferiori…”
Ho scritto questo articolo quasi venti anni fa. Una signora mi chiese se avevo voglia di fare una gita a Auschwitz con le scuole romane. Una strana proposta, ma ci sono andato. Chissà che fine hanno fatto gli studenti che oggi hanno più del doppio dell’età che avevano in quei giorni. Quanto saranno cambiati? Quanto siamo cambiati?
Birkenau e la memoria del freddo
Lunedì, Cracovia. Viaggio insieme a duecento studenti romani. Parto con l’autobus alle 7:45. A Birkenau passo vicino alle case costruite nel campo. Ci sono le aiuole coi fiori. È possibile vivere tranquilli davanti a un campo di sterminio? Quanto bisogna allontanarsi per dimenticarlo?
Accanto alle camere a gas Piero Terracina si ricorda di un camion che scaricava i corpi da bruciare nelle fosse. Parlo con un ragazzo che va a scuola alla Rustica, nella zona est di Roma. Non è possibile capire una storia così terribile perché non rassomiglia a niente di quello che ci è capitato. Bisogna fare collegamenti, pescare nell’esperienza. Lui mi parla di suo nonno che da trent’anni fa i conti col tumore.
Ore 12, c’è il sole. Difficile parlare di sterminio in una bella giornata. Nessuno dei deportati se lo ricorda così Birkenau. Sami Modiano è tornato per la prima volta oggi. Si commuove e fa commuovere tutti, chiede “come abbiamo fatto a sopravvivere?”. Non morì perché c’era da uccidere gli ebrei di Ungheria, lui fu prelevato per scaricare patate e si salvò. In questo autunno polacco che sembra una primavera romana riusciamo a capirci qualcosa del nazismo solo perché qualcuno ce lo racconta. Senza la memoria anche Auschwitz diventa un villaggio per le vacanze.
Kinderblock, baracca per i bambini. Nel ’44 Tatiana e Andra Bucci avevano cinque e sette anni. Josef Mengele le aveva scambiate per gemelle e voleva studiarle. Anche la madre era con loro a Birkenau. Le andava a trovare di nascosto. Gli ricordava il nome. Cercava di vaccinarle. Perché il nazismo non è solo il campo di sterminio, ma soprattutto il pensiero che l’ha istituito. Per convincere le persone a compiere un genocidio non si usa la violenza. Un pazzo può entrare in un supermercato e sparare a una decina di clienti, ma non si uccidono milioni di persone con la pazzia. Ci vogliono leggi e burocrati, una classe dirigente con le sue industrie e i suoi capitali. Ci vuole un pensiero che porti a pensare gli altri come esseri inferiori, a dimenticare le somiglianze. Anche gli Hutu in Ruanda chiamavano i Tutsi scarafaggi e ne massacrarono un milione in tre mesi. Ma il nazismo e le istituzioni che gli somigliano cercano di convincere anche la vittima che non è più umana. Gli si toglie tutto fino a renderla un “uomo vuoto” scrive Primo Levi “poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso”. Quello nazista è un contro-battesimo che toglie l’identità.
Terracina racconta del suo contro-nome, il 5506. Il numero è semplice, ma è difficile riconoscerlo quando ti chiama un tedesco. Può essere 5506, 55-0-6, 5-50-6… e chi non rispondeva era punito con venticinque bastonate. Una ragazza di Bergamo che studia a Roma mi dice che si è preparata leggendo, poi ha riempito la valigia di maglioni. Pensava al freddo che i deportati raccontano più della fame. Non è paragonabile a quello che sentiamo in queste ore mentre se ne va il sole su Birkenau, ma le storie che abbiamo ascoltato insieme a questa sensazione sgradevole che scompare appena rimontiamo sugli autobus ci racconta qualcosa. Il nazismo finisce, ma il freddo rimane.
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