La questione demografica è storicamente un campo soggetto a paure e manipolazioni di ogni genere. Il concetto di “inverno demografico”, portato alla luce, probabilmente per la prima volta, un quarto di secolo fa da due accademici russi, Anatoly Antonov e Victor Medkov, sulla scia delle perniciose idee agitate nell’Organizzazione Internazionale per la Famiglia, uno dei più potenti gruppi ultraconservatori del mondo, è un asse portante del discorso politico che utilizza la “crisi” demografica. Serve a sostenere progetti etno-nazionalisti: selezionare chi è legittimato a riprodursi e chi no e poi a decidere di quanti e quali tipi di nascite abbia bisogno la “patria”. Nelle mani dell’estrema destra la demografia è oro, sostiene a ragione la nostra amica femminista spagnola Nuria Alabao in questo articolo di grande interesse: i discorsi in cui si mescolano il luogo di nascita, ma anche il sangue o la cultura, sono ideali per scatenare veri terrori identitari, aizzare la xenofobia e il razzismo e cercare di ripristinare le gerarchie di genere che cercano di restituire alle donne il ruolo di allevatrici della nazione. La nazione bianca. Sebbene, a scala planetaria, la “crisi” demografica non sembri attualmente ancora una vera preoccupazione sociale, questi discorsi sono destinati a costruirla come un enorme problema nell’immaginario collettivo. Trasformare le insicurezze della vita causate dal capitalismo in uno scontro tra nazionali e stranieri è un gioco sporco antico ma sempre attualissimo. I disastri che derivano da questioni economiche e ingiustizia sociale diventano così responsabilità delle donne e di chi viene da fuori, magari agitando perfino l’invenzione teorica abietta della Grande Sostituzione. Perché chi ha (o dovrebbe avere) la consapevolezza della ricchezza di una cittadinanza che prima o poi sarà inevitabilmente più diversificata e segnata dal pluralismo delle culture viva ancora questa realtà con ipocrisia e disagio? Perché si ostina a eludere il nucleo del tema delle migrazioni, quello che indica come sola via d’uscita la scelta di fornire ai migranti vie sicure e legali per arrivare in Europa senza rischiare la vita nel viaggio o passare anni a sfuggire alla polizia e lavorare senza alcun diritto?

Sono già diversi anni che le estreme destre occidentali in Europa e negli Stati Uniti, quelle che si alimentano di paure e teorie cospirative, gridano all’arrivo dell'”inverno demografico”, un concetto creato in Russia negli anni Novanta del secolo scorso. Il contesto comprende elementi oggettivi come il fatto che in molti di quei Paesi i tassi di fertilità sono molto bassi, tra i più bassi al mondo. Attualmente, due terzi della popolazione mondiale vive in aree in cui la fecondità è inferiore a quella necessaria a una generazione per sostituirsi: -2,1 nascite per donna. Sebbene molti demografi avvertano che questa cifra è spesso usata per creare allarmismo ingiustificato, giacché non rappresenta abbastanza bene le dinamiche della popolazione. In Spagna, ad esempio, il tasso di natalità è ben al di sotto del tasso di sostituzione – a 1,28 – e ci sono già più morti che nascite, quindi il numero di abitanti dovrebbe diminuire. Tuttavia, la popolazione continua a crescere e continuerà a farlo nei prossimi 50 anni, sia per l’aumento dell’aspettativa di vita che per l’arrivo dei migranti, secondo le proiezioni dell’INE. Inoltre, proprio grazie ai migranti, l’invecchiamento della popolazione sarà in qualche modo mitigato. Ma allora perché si parla di crisi demografica?
Parlare di crisi, di shock, ha molto della costruzione che serve a un certo progetto: l’etno-nazionalismo. Il segno dell’inverno demografico – sebbene a volte invocato sia da destra che da sinistra – è chiaramente conservatore perché costruisce una falsa idea di “crisi”. L’idea che non nascano abbastanza bambini, del rischio demografico, cerca di installare un’idea di panico sul futuro della nazione. Ed è reazionario perché implica sempre un mandato su chi può legittimamente riprodursi e chi no, su quali tipi di bambini sono necessari: bianchi, nazionali. Ciò è evidente, viste le restrizioni migratorie esistenti o il trattamento riservato ai giovanissimi che viaggiano da soli – i cosiddetti menas (menores extranjeros no acompañados, ndt) –. Se servono giovani o bambini, perché non vengono lasciati entrare più migranti? No, non sembra esserci alcuna crisi, a meno che non si voglia assumere un comportamento segnato dal razzismo.
La demografia ha dimostrato in passato di essere un campo particolarmente soggetto a paure di ogni genere; come, ad esempio, il malthusianesimo, che metteva in guardia contro la sovrappopolazione e che è ancora forte. Ancora oggi alcuni governi occidentali sollecitano a ridurre la crescita della popolazione mondiale – per i Paesi in via di sviluppo – in nome della sostenibilità ecologica, mentre istigano la propria popolazione ad aumentare la propria fertilità per favorire la sostenibilità economica, soprattutto del sistema pensionistico, come spiega il demografo Andreu Domingo in Demografia e post-verità (Icaria, 2018). In molte parti del mondo, prima considerate “sovrapopolate”, il numero degli abitanti sta già diminuendo. La Cina, Paese paradigmatico delle politiche di restrizione riproduttiva che in passato vietava o penalizzava la nascita di più di un figlio, quest’anno ha annunciato il suo primo calo demografico negli ultimi sei decenni, conseguenza di un crollo storico della natalità. Al momento, le politiche dei governi di quei Paesi sono diventate pro-nataliste, con proposte che qui suonano molto bizzarre come il divieto di attività extrascolastiche per ridurre l’onere economico di avere figli. Questo tipo di politiche che mirano a stimolare la natalità vengono promosse in diversi paesi, a volte con sfumature etno-nazionaliste e ultraconservatrici, come accade per esempio in Ungheria con i prestiti e gli aiuti privilegiati destinati esclusivamente alla “famiglia naturale” – tradizionale – per “autentici ungheresi”.

Nelle mani dell’estrema destra la demografia è oro, anzi è un’arma pericolosa. I discorsi in cui si mescolano il luogo di nascita, ma anche il sangue o la cultura, sono ideali per scatenare veri terrori identitari, aizzare la xenofobia e il razzismo e cercare di ripristinare le gerarchie di genere che cercano di restituire alle donne il ruolo di allevatrici della nazione – bianca –. Questi elementi dell’“inverno demografico” lo rendono facilmente strumentalizzabile da queste opzioni ultrà a sostegno della ricerca di potere politico. Senza andare oltre, Vox, che è arrivata persino a flirtare con la versione allucinata e complottista dell'”inverno demografico”: la Teoria della Grande Sostituzione. Essa è stata originariamente sollevata dallo scrittore Renaud Camus, e oggi circola felicemente attraverso i forum più oscuri di Internet che sposano la supremazia bianca. Secondo questa teoria, la popolazione dei paesi occidentali sarà demograficamente e culturalmente sostituita da immigrati – soprattutto musulmani –, e promossa attivamente dalle élite dominanti che incoraggiano la “migrazione di massa”.
A questi elementi si aggiunge un altro amalgama di elementi falsi o discutibili come il fatto che le donne musulmane abbiano tassi di fecondità più elevati, mentre le donne spagnole – o europee – non vogliono essere madri per “colpa” del femminismo e dell’aborto. “Istituzioni o governi multilaterali come quello spagnolo continuano a promuovere un’immigrazione di massa e disordinata con la scusa di risolvere il problema demografico, sostenendo un vero e proprio ricambio generazionale e di popolazione in Europa”, afferma Jorge Buxadé, alto funzionario di Vox. Il suo capo, Santiago Abascal, afferma che l’immigrazione “è sostituzione perché si tratta di immigrati giovani e maschi e, dall’altra parte, un’Europa decadente in senso generazionale, un’Europa che non vuole fare figli e che vuole importare l’immigrazione (…) cosa che finisce per mettere in discussione la stessa sopravvivenza dell’UE così come la conosciamo”. Come si vede, il linguaggio è “millenarista”, parla della catastrofe imminente e punta il dito, ancora una volta, all’altro per eccellenza: il giovane migrante – marocchino – costruito come una figura mostruosa associabile costantemente alla violenza – sessuale o di altro tipo – o alla “insicurezza” che si cerca di trasformare in un problema sociale. Quando le persone sentono la parola “migranti” devono immaginare un’orda di ragazzini scuri accecati dal fondamentalismo islamico e dediti a stuprare le “nostre donne” (o a punire i gay, secondo le diverse versioni), a derubare le nostre nonne e a occupare le nostre case; un’immagine, non solo ben lontana dalla realtà dell’immigrazione, ma dalla vita degli stessi minori non accompagnati.
Quando si invocano le “crisi demografiche”, inoltre, le soluzioni proposte passano sempre attraverso un rafforzamento del ruolo di custodi delle donne, mettendole a produrre figli, cosa che si interseca perfettamente con l’opposizione ultrà all’aborto e agli altri diritti sessuali e riproduttivi. In queste visioni di sostituzione della popolazione, non viene spiegato che la realtà è che, dopo un po’, sia i migranti – che siano musulmani o no – che le loro figlie finiscono per avere lo stesso tasso di fertilità di quello del paese che li ospita. Naturalmente, non è nemmeno contemplato che un musulmano possa essere spagnolo o francese: sarebbe “qualcos’altro”. Si definisce ciò che siamo, insomma, escludendo ciò che non siamo, che è sostanzialmente il modo in cui si costruiscono i nazionalismi. Né si dice che in Spagna la maggior parte dell’immigrazione proviene dall’America Latina e dall’Europa e non da paesi musulmani. È chiaro che gli ultrà sono preoccupati per alcune migrazioni più che per altre. Non è che si rifiutino di far venire i migranti – quelli che pulirebbero le loro case, accudirebbero i loro anziani o li servirebbero nei bar – ma serve una certa selezione etnica, se possibile, che “ci assomigli”. Sebbene non sembrino gli unici, il diverso trattamento riservato ai rifugiati ucraini rispetto a quelli provenienti dalla Siria o dalla Libia indica che l’estrema destra verbalizza in modo netto ciò che le politiche di frontiera stanno già facendo de facto.

Società sempre più plurali
La verità è che la composizione delle nostre società sta cambiando. Secondo le proiezioni INE, entro 50 anni i nati in Spagna scenderanno al 63,5% – dall’attuale 84,5% –. In altre parole, nel 2072, una persona su tre residente in Spagna nascerà o prenderà la cittadinanza in un altro paese. In questo scenario, la maggior parte della popolazione o sarà migrante o avrà un genitore – o forse un nonno – nato fuori dalla Spagna. Sebbene gli argomenti a difesa della libertà di movimento delle persone debbano sempre andare oltre l’utilitarismo, vale la pena ricordare che i migranti significheranno la salvezza per una popolazione che invecchia e stagna, salvezza in termini economici, ma anche in termini di dinamismo e vitalità sociale. Avrà quindi senso continuare a parlare di “immigrati di seconda generazione”? Probabilmente no, perché la cittadinanza sarà molto più plurale e diversificata. E qui sta la principale contraddizione che ci troviamo di fronte: più diversità c’è nelle nostre società, più i nazionalismi si rafforzano, perché questi cambiamenti sembrano essere profondamente destabilizzanti per alcune persone che vedono i migranti come “altri” e li considerano una minaccia.
L’estrema destra è particolarmente esperta nel trasformare le insicurezze della vita causate dal capitalismo nella sua attuale fase neoliberista – paura del declino sociale delle classi medie, caduta nella povertà, precarietà del lavoro, ecc. – in uno scontro tra nazionali e stranieri. La colpa è sempre di quelli che arrivano da fuori. E sebbene la “crisi demografica” non sembri attualmente una preoccupazione sociale, questi discorsi sono destinati a costruirla come un problema nell’immaginario collettivo.
Con tutti questi elementi, gli ultrà plasmano un’immagine di declino e di panico per il futuro, trasformando in problema demografico ciò che in realtà riguarda questioni economiche o di giustizia sociale. Nel frattempo, le sinistre cercano di eludere il nucleo del tema delle migrazioni che le mette a disagio, perché l’unica via d’uscita possibile è fornire ai migranti vie sicure e legali per arrivare senza dover rischiare la vita durante il viaggio o passare anni a scappare dalla polizia e lavorare senza alcun diritto fino a che si ottiene la regolarizzazione. In effetti, è probabile che in un futuro non così lontano dovremo competere con altri paesi per attrarre questa popolazione straniera. In diversi luoghi d’Europa, la mancanza di lavoratori è già un problema. Nel Regno Unito, soprattutto dopo la Brexit, mancano almeno 1,5 milioni di lavoratori in settori chiave. Alla fine, in un modo o nell’altro, finiremo per accettare che il destino dell’Europa sia quello di essere molto più plurale e diversificata. Il dilemma è chiaro. Da un lato, la posizione reattiva della paura del diverso – facilmente strumentalizzabile per giustificare la disuguaglianza sociale –; dall’altra, quella che accetta che la nostra sfida principale è quella della giustizia e dell’uguaglianza, non quella dell’identità.
Fonte: Cxtx
Traduzione per Comune-info: marco calabria
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