Ma davvero qualcuno scopre solo ora che Ostia è un territorio abbandonato dalle istituzioni? E, nello stesso tempo – perché le cose sono più complesse di quanto la semplificazione mediatica mostra – davvero qualcuno pensa sia soltanto il romanzo criminale di Suburra? Ci sono pensieri ed esperienze intorno a questo grande pezzo di Roma che restano fuori dalle luci e dai rumori dei grandi media, come quelle raccontati dalla straordinario spazio sociale e culturale partecipato del Teatro del Lido di Ostia. Che tra l’altro, scrive: “Ostia è anche una città che ha le sue incredibili bellezze e le sue energie sane e vitali, a queste dobbiamo guardare se vogliamo riscattare un destino che non è segnato…”

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di Teatro del Lido di Ostia, associazionetdl.it
In qualità di operatori e operatrici della cultura, da sempre attivi e partecipi della vita della nostra comunità, della nostra città, del nostro municipio, desideriamo condividere una riflessione sui fatti di Ostia dopo il gravissimo pestaggio dei due giornalisti della trasmissione Nemo di Rai2 da parte di Roberto Spada.
Ostia e in particolare il quartiere di ponente subiscono da decenni un abbandono istituzionale. Si potrebbe dire che è la storia di tutte le periferie del mondo, troppo spesso abbandonate a se stesse, senza piani di sviluppo e reti di servizi necessari a garantire qualità di vita e inclusione sociale ai cittadini e alle cittadine che vivono in questi quartieri. In decenni di abbandono istituzionale, abbiamo assistito a un degrado della vita civile, a una depressione dell’economia – a una desertificazione vera e propria che ha via via inaridito le prospettive, le relazioni tra esseri umani, gli immaginari – le configurazioni dell'”altro possibile”, e dunque la progettazione di un futuro migliore.
Sono venuti meno gli spazi, materiali e immateriali, del dibattito pubblico, mentre i luoghi di aggregazione, spesso promessi, non sono mai nati e quei pochi ancora esistenti rischiano di sparire, o sono stati eliminati, come è successo con lo skate park, vicino a piazza Gasparri, un centro polifunzionale che toglieva i bambini dalla strada e li inseriva in attività sportive e culturali. Proprio lì dove regna il clan Spada. L’affermazione sempre più pericolosa delle reti criminali, con la loro capacità di presidiare il territorio, è fattore di grande preoccupazione. Suburra è qui, cosi sembra. Ma non giunge a caso, e chi vive in questo territorio non se ne stupisce, pur non avendo sempre compreso a fondo la gravità della situazione.
“Nel deserto della cultura crescono i mostri”: questo era lo slogan del Teatro del Lido quando fu chiuso nel 2008 dall’allora amministrazione capitolina. E i mostri sono continuati a crescere. Le mafie e la violenza politica sono figlie della sottocultura, della sottocultura criminale, che può svilupparsi nel vuoto di proposte civiche, dopo l’abbandono dei quartieri da parte dei governi, grazie alla miopia di una certa retorica che definisce la cultura un bene di lusso, allontanandola dalla funzione primaria che le spetterebbe in quanto strumento essenziale di codificazione, comprensione e trasformazione della realtà. Le mafie sono figlie anche, naturalmente, della sottovalutazione del crimine da parte della magistratura e delle forze dell’ordine, dell’intreccio pericoloso tra settori dell’economia, della politica e dei clan. E così, nel deserto dei quartieri sono fiorite – eccome – le trame di ambienti oscuri e gruppi di potere.
Siamo qui per dire che Ostia non è soltanto il romanzo criminale di Suburra, ma anche una città che ha le sue incredibili bellezze e le sue energie sane e vitali. A queste dobbiamo guardare se vogliamo riscattare un destino che non è segnato. Sta a noi cittadini e cittadine mobilitarci, indignarci, trovare la forze e la determinazione per rinascere. Ciascuno si assuma le proprie responsabilità. Noi, mondo della cultura e della conoscenza, insisteremo nel sensibilizzare, denunciare, formare le nuove generazioni, per creare quegli anticorpi che sono necessari alle democrazie e al patto sociale che ci lega, tutti e tutte, e ci rende comunità civile, e ci fa esseri umani, senza distinzioni alcune.
Le mafie politiche e criminali e l’attitudine alla violenza si sconfiggono anche con la cultura dei diritti e dei doveri, con progetti di educazione civica e di responsabilizzazione comune. Con la bellezza e con l’arte, con il lavoro e con la cultura, con la condivisione e la gioia, con la costruzione poetica di nuovi scenari. Togliamo l’ossigeno al malaffare e a chi ci sguazza dentro con i propri biechi interessi, e non stanchiamoci di soffiare nuova aria nei polmoni di questo quadrante di città.
Giovedì 9 novembre è andata in onda, a Piazza Pulita, su La7, l’intervista ad un adolescente di Ostia. Riguardo al tema immigrazione, violenza, mafia, ha rilasciato dichiarazioni molto simili al pacchetto che ben conosciamo, mentre la giornalista gli mostrava la foto del bengalese pestato in pieno centro: “Prima gli italiani – un immigrato pestato a sangue mi fa meno effetto di un italiano – mi piace offendere chi è diverso, mi diverte, non so perché – è chiaro che se uno sta zitto e si fa gli affari suoi non lo mena nessuno, ma se risponde, reagisce, allora…” La giornalista gli ha chiesto: “Ma perché? Perché quest’odio? Non sono ragazzi, come te?”. Allora il suo sguardo fisso sulla foto si è ammorbidito improvvisamente, è diventato quello di un bambino che si sentiva un po’ in colpa. “Certo, il sangue mio è rosso come il suo. Non lo so perché. Siamo influenzati da qualcosa, ma non saprei dirti bene cosa”. Non saprebbe dirlo, perché non ha gli strumenti per comprenderlo. Lavoriamo perché gli strumenti diventino davvero di tutti e tutte.
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