Facciamo comune-info da poco più di nove mesi. Dicono, quelli che sanno guardare alla profondità della vita, che il primo gesto di chi viene al mondo sia quello di agitare le mani per cercare qualcuno, per essere abbracciati. Ecco, ci pare sia arrivato il momento di cominciare una nuova avventura e abbiamo bisogno di sapere se intorno a noi ci sono persone disposte ad abbracciarci. O, ancor meglio, a intraprendere insieme un viaggio entusiasmante quanto impegnativo e privo di certezze.

Non sappiamo bene cosa sia diventato questo nostro minuscolo asteroide che va a spasso nell’immensa galassia del web. Guardiamo con spiccata antipatia ad ogni stretta definizione, anche per quel che ci riguarda. Non è un caso che in internet il dominio sia una rete di identificazione. Definire, identificare, classificare serve solo a congelare i pensieri e il movimento. Abbiamo un nome: comune. Pensiamo possa bastare. Il resto lo dice quel che facciamo ogni giorno, senza presunzione, con qualche impertinenza, con la modestia e il senso di responsabilità di chi ha scelto di aprire un nuovo spazio pubblico. Uno spazio che, un po’ per gioco e un po’ per amore della dignità che vive nelle esperienze concrete che raccontiamo, non ci piace considerare virtuale. Forse potremmo dire siderale, tanto per dare una suggestione alla necessità di muoversi continuamente e di tenere bene a mente quanto siamo piccoli e inadeguati.
L’avventura che vogliamo tentare è ambiziosa. Si tratta, soprattutto, di raccontare la vita senza il dominio delle cose sulle persone. Un dominio segnato dal mito della crescita infinita e guidato da una macchina impazzita che corre verso l’autodistruzione del pianeta e di chi lo abita. Vorremmo farlo ogni giorno perché è nell’agire comune che può aprirsi la spessa coltre di segni e informazioni inutili che simula la naturalezza di un sistema predatorio e occulta le possibilità di cambiare il mondo. Non abbiamo bisogno di una micro-politica ma certamente nemmeno di una lunga accumulazione e concentrazione delle forze, dobbiamo muoverci da molti punti differenti e con forme diverse. La rivoluzione contro il dominio dell’astrazione e delle transazioni finanziarie “non è un lavoro da esperti”, hanno spiegato il 14 novembre gli studenti e molte altre persone che vivono nei quartieri della capitale. Ed è proprio da Roma, dove viviamo, che abbiamo scelto di far spaziare il nostro sguardo e far vivere il nostro racconto. Le domande che si affacciano dalle pagine di comune non possono che essere planetarie, ma è fondamentale precisare che il nostro punto di vista nasce da un certo territorio per allargarsi poi alla ricerca non di risposte ma di risonanze al di qua e al di là dagli oceani. Non pensiamo si possa cambiare il mondo con un orizzonte nazionale o mondiale ma abbiamo molti mondi da cambiare ovunque. Il nostro movimento di narrazione è dunque da Roma in poi, non dal mondo a Roma.
Pensare di accumulare forze per una lontana e incerta prospettiva rivoluzionaria è una vana illusione. Abbiamo bisogno oggi di liberare la nostra capacità di costruire relazioni sociali diverse, di vivere in un altro modo, di fare un mondo nuovo. E a noi pare che, tra mille, inevitabili e salutari contraddizioni, quel mondo, quel modo diverso di ribellarsi facendo, si affacci già con una certa frequenza anche nelle pagine che in questi nove mesi hanno tratteggiato il profilo un po’ caotico di comune-info. Guardiamo la realtà con eccessivo ottimismo? Forse, ma crediamo sia soprattutto una questione di punti vista. Il nostro guarda alla crisi del sistema di dominio in modo autonomo: senza il concorso dei dominati non c’è dominio, senza i lavoratori non c’è capitale. Perfino l’Europa delle banche e della tecnocrazia dipende da noi. Se smettessimo di accettarla e di crearla, non esisterebbe. Per questo comune non racconta la crisi dell’egemonia dei mercati, ne racconta il rifiuto. Negli anni in cui la formazione del pensiero critico e il legame sociale subiscono la penetrazione della tecnologia attraverso le accelerazioni continue, l’immediatezza e la semplificazione dei linguaggi, la teoria e la pratica delle società in movimento possono fondersi in un disegno inedito.
La ribellione contro un sistema che impone un’esistenza precaria, dominata dalla paura di immaginarne una diversa, è già un fatto rivoluzionario se si declina nell’aprire spazi di scambio o mercato de-mercificato, nel mettere l’economia sottosopra, nel reinventare il lavoro sottraendolo al profitto e alla schiavitù, nel rifiuto di escludere le persone in base alle origini, nell’occupare teatri, nel fare il pane insieme, nel privilegiare una mobilità dolce e ribelle andando a piedi o in bicicletta. Possiamo aprire ferite profonde nel sistema rifiutando di sottomettere le nostre vite al dominio del denaro. Nel farlo, liberiamo capacità creative che servono a coltivare orti comunitari e sinergici, a rubare spazio al cemento per dedicarci alla creazione di giardini sovversivi, a insegnare ai bambini il valore del riuso. Intorno a noi, crescono ogni giorno esperienze di software libero, di conversione ecologica e sociale, di critica al consumo e alla gestione del risparmio, di difesa dell’acqua e della terra. Ribellarsi facendo, resistere creando, è questo il movimento della rivoluzione dei nostri tempi.
A raccontare, promuovere e accompagnare tutto questo, speriamo possa servire la nostra piccola impresa. L’asteroide di comune viaggia per ora esclusivamente in uno spazio siderale, la rete. Un spazio costellato di insidie. La rete è il principale mezzo attraverso cui penetra un’ideologia che non sembra aver neppure più bisogno di sventolare la democrazia come ornamento decorativo e demagogico. È in primo luogo internet che veicola l’ingegneria del consenso indispensabile all’esercizio del dominio delle cose e dei mercati, eppure è principalmente lì che si è alimentata in questi anni una straordinaria capacità di auto-narrazione. In ogni istante, ovunque, in una trama inedita e con una stupefacente molteplicità di suoni, si leva e s’intreccia l’eco di nuove rivolte e di affermazioni di dignità. La rete non è tuttavia una forza autonoma. Non è un soggetto e non è una cosa, è una forma sociale di rapporti tra le persone. È una forma nascosta dalla sua astrazione, la stessa astrazione che fa sembrare cose del tutto indipendenti dalle persone il denaro, lo Stato, il potere, la famiglia e molte altre relazioni sociali.
Il2013 sarà un anno importante per molti e diversi aspetti. Noi pensiamo che comune possa e debba diventare più bello e più forte. Tra le altre cose, vogliamo cambiare abito migliorando la veste grafica che abbiamo tenuto in questi mesi al fine di rendere più agevoli e piacevoli le letture. Pensiamo di poter facilmente moltiplicare la rete delle collaborazioni per raccontare altri luoghi e altri mondi in cui stanno crescendo ribellioni e autogestioni. Vogliamo accompagnare meglio la crescita delle insubordinazioni di cui già ci occupiamo e stiamo pensando a come approfondire lo sguardo su alcuni temi andando anche oltre i confini della rete. Sappiamo che per cominciare a mettere in pratica tutto questo all’inizio del nuovo anno, mantenendo un’assoluta indipendenza dai poteri economici e politici, dovremo cambiare profondamente i ritmi, i modi e le condizioni con cui abbiamo fatto comune fin qui.
Abbiamo bisogno di aiuto, subito. Ecco perché, dopo nove mesi di meticoloso silenzio su noi stessi, cominciamo ad agitare le mani per cercarlo. Non servono necessariamente grandi risorse per intraprendere un viaggio difficile come quello a cui pensiamo, nel 2013 potrebbero bastare 50-60 mila euro. Esclusa a priori l’ipotesi di far leggere i nostri contenuti a pagamento, abbiamo pensato a tre linee di finanziamento.
La prima potrebbe chiamarsi Consigli Comunali ed è l’offerta di banner per promuovere attività, iniziative o anche prodotti a interlocutori selezionati in modo diretto (da noi) e molto, molto rigoroso. È una scelta rara perché richiede capacità, impegno e investimenti che graveranno sulla redazione, ma è il solo modo, lo diciamo sulla base di esperienze più che decennali, per mantenere il controllo della propria indipendenza in un campo minato come quello dell’advertising. L’obiettivo è di raccogliere 20 mila euro netti nel corso del 2013.
La seconda linea si articolerà attraverso iniziative pubbliche (corsi, meeting, progetti, concerti e un lungo eccetera) dedicate ai temi fondanti della costruzione del nostro discorso e dell’agire contro la dominazione che raccontiamo Potrebbe chiamarsi Commūnica!, che in latino vuol dire Metti in comune!, e sarebbe il nostro canale di interlocuzione principale con le realtà organizzate. Stiamo costituendo, a nostra volta, una piccola associazione che si impegni a sviluppare questa linea in stretto rapporto con la redazione. La cifra che ci proponiamo di raccogliere è di 25 mila euro ma comprende anche una parte delle quote versate alla nuova associazione.
La terza è certamente la più importante delle linee proposte. Quella che dovrebbe segnare il profilo (anche in homepage) della nostra impresa e che potrà darci il polso dei consensi che incontra la nostra avventura, oltre a tracciare e correggere la rotta giorno per giorno. A fine anno, poi, sarà questa linea a farci capire, meglio di un illusorio e truffaldino clic sul tasto “mi piace”, se e quanto possiamo o potremmo essere utili a quella rivoluzione della vita quotidiana che non può essere riservata agli attivisti ma deve nutrirsi e saper ascoltare le ribellioni di tutti, anche quelle delle singole persone. Questa terza via, potrebbe dunque chiamarsi Persone comuni, cioè ribelli, secondo la felice espressione del sub-comandante Marcos.
La nostra speranza è che i lettori che vorranno sostenerci in modo concreto possano partecipare a comune facendolo con noi, almeno per un giorno. Offriremo loro uno spazio autorevole in cui ospiteremo quel che vi sta a cuore e ci avrete inviato. Potrebbe essere un disegno, un testo molto breve, una foto della vostra bicicletta, un verso che vi aiuta a pensare, un appuntamento da segnare in agenda, l’autografo di Bruce Springsteen, il ritratto spietato del preside e molte altre cose che scopriremo via via. Speriamo possa diventare un lungo gioco in piena libertà che ci farà sentire vicine le vostre passioni, la fantasia, l’ironia, la rabbia … Sarà un modo per sentirci vicini, per prenderci tutti poco (o molto) sul serio e, soprattutto, per metterci in comune ogni giorno per tutto l’arco dell’anno.
Da questa decisiva linea di finanziamento dovrebbero arrivare altri 18.000 euro. Avremo bisogno di riempire quasi l’intero calendario per contare su 4 quote da 15 euro ogni giorno, per 300 giorni (stima prudente) fa appunto 18.000 euro. È un contributo minore rispetto a quello delle altre due linee ma, lo ripetiamo, è il più importante perché significa che oltre mille persone hanno scelto di essere compagni e compagne (con gli amici fa i soldi facebook) di comune e sono disposte a privarsi di 15 euro l’anno per farlo vivere. Il valore di questa scelta va naturalmente ben oltre l’aspetto monetario ma non ci facciamo illusioni: sarà dura. Quindici euro è più o meno il costo di un libro, noi vi offriamo di leggerci per un anno, fa poco più di un euro al mese. Sappiamo bene che di questi tempi non è un sacrificio da poco, ma è il prezzo della nostra indipendenza e di una piccola libertà. Niente di più, niente di meno.
Qualcuno ci ha detto in questi giorni: «Ormai siete una realtà virtuale consolidata, vi leggo tutti i giorni, ma dove avete la sede della redazione?». Sedi, per ora, non ne abbiamo. Non abbiamo neanche una sedia, per essere più precisi. Come sia potuto accadere che poco meno di duemila persone aprano ogni giorno le pagine che riempiamo con qualche affanno resta un mistero pari a quello della dieta del toxodonte, un ungulato estinto alla fine del Pleistocene senza lasciare discendenti. Alcuni di noi, discendenti ne hanno fortunatamente messi al mondo prima di far nascere comune, ed è soprattutto la necessità di pagarci almeno qualche rimborso che ci impedisce di continuare così. Poi abbiamo urgente bisogno di un nuovo server, di qualche computer, di quattro o cinque scrivanie e di molti, moltissimi abbracci. Pensateci un po’ su, ma fatevi vivi presto. Non basta un clic sulla casella «mi piace», scrivete a
bravissimi! vi seguo ogni giorno e grazie a voi imparo molto e divento più ottimista.
grazie per esserci!
mi piace moltissimo la terza linea di finanziamento, io sono pronta a darvi subito 15 euro e vedere anche un mio modesto contributo pubblicato…è una bellissima idea.
continuate così!
Per la prima volta scrivete sulle vostre pagine qualcosa che NON “Mi piace”. Se il gradimento e la condivisione delle notizie che pubblicate “non basta” per sostenervi, allora vi chiedo se “basta”, per farvi conoscere dalle persone a cui sollecitate il versamento di un seppur minimo contributo economico, “communicare” su Internet le vostre idee. Io sono fra quelli che per sostenere un’iniziativa devono conoscere la gente che sta dietro alle parole, conoscerla personalmente e per un certo tempo, perché un sostegno sentito deve poggiare su una solida base di verifica reale della coerenza tra il dire e il vivere. Allora mi chiedo se dire che un click su “Mi piace” “non basta” non sia una dichiarazione sgradevole per chi finora ha diffuso le vostre pagine sul web e se invece non sarebbe più consono allo spirito che apparentemente permea il vostro gruppo affermare semplicemente che chi vuole, chi può o chi se la sente ha modo di contribuire anche economicamente alle pubblicazioni. L’idea di pubblicare i contributi solo di chi paga è altrettanto discutibile, a mio avviso. Cordialmente.
Cara Fanny, comincio dalla coda, con il mio nome e cognome, ma credo a nome di tutt*: noi pubblichiamo i contributi di tutti i soggetti e le realtà che riteniamo interessanti e coerenti con la mission di Comune che è pubblica, a prescindere dal fatto se contribuiscano o no a sostenerci. La Comunità di Comune alimenta il sito in modo solidale, condiviso e democratico, ed è molto più estesa (fisicamente e geograficamente) della sua redazione…
Per farlo impieghiamo tempo volontario e tempo di lavoro, e per questo ci piacerebbe riuscire a retribuire parte del tempo lavorato. Chiediamo, così, a chi può (o diciamo sempre e in più messaggi, ma con nostro stesso stile) di sostenere questo lavoro di informazione che richiede impegno, professionalità, capacità di relazione e anche un po’ di mestiere…
Magari siamo stati un po’ diretti, ma è la triste verità: “Mi piace” non paga conti, spese, asili dei bambini… per questo, a chi può, poniamo con trasparenza e immediatezza i nostri bisogni di persone normali per attivare un senso di responsabiità collettiva rispetto alla funzione sociale di uno spazio come questo.
Se poi un nostro lettore/una nostra lettrice può solo cliccare mi piace, siamo strafelici che lo faccia e che stia con noi, per questo non abbiamo contenuti riservati agli abbonati o solo a chi paga. Molti dei nostri lettori “che non possono”, però, ci hanno già aiutato materialmente in molti modo. Uno per tutti: spingono anche il tasto “condividi” e chiedono magari a parenti e amici “che possono” di leggerci, diffonderci a loro volta, e se ci trovano utili, anche di sostenerci materialmente. La solidarietà vera, infatti, non ha paura né dei bisogni propri né di quelli altrui. Li mette in mezzo, e li affronta, in Comune 🙂
Piacere, Monica di Sisto. Grazie per la risposta. Spero che le mie osservazioni servano ad alimentare un dibattito o qualche riflessione e non siano invece considerate una perdita di tempo. E’ chiaro che vi scrivo proprio perché apprezzo e spesso condivido il lavoro che state facendo, quindi mi permetto e mi prendo la briga di intervenire, proprio come si fa in piazza, quando ci si incontra e si rimane a discutere per ore in merito a questioni che ci riguardano, in barba al tempo che stringe. La mia piccola stizza è derivata soprattutto da un problema di linguaggio, secondo me. Non si tratta di essere più o meno “diretti” (né tantomeno di aver paura dei bisogni propri o altrui), quanto piuttosto di non sottovalutare, anche involontariamente, temi sottili, ma non per questo meno importanti. Quanti di noi, mettendo in gioco la propria professionalità o le proprie capacità individuali, passano tanto tempo a “lavorare” su facebook o in rete per condividere le notizie di attualità che altrimenti nei mass media vengono taciute o sottovalutate? Quante ore di lettura di post, di dibattito apparentemente inutile a distanza, di selezione, di diverbi a volte incresciosi ci sobbarchiamo, perché pensiamo che sia invece utile e giusto – oltre che piacevole – creare una rete di coscienza politica (e non mi vergogno a usare questa parola) e quindi di confronto? Quasi nessuno di noi è pagato per farlo. Ogni click, e ogni “condividi”, ogni frase aggiunta per evidenziare o commentare un post, hanno di per sé stessi un valore, che va ben al di là del millesimo di secondo impiegato per battere ogni tasto. Quindi leggere che “non basta” “un illusorio e truffaldino clic sul tasto “mi piace” [perché poi truffaldino? A che pro uno dovrebbe clickare su “Mi piace”, se non fosse vero?], pur con tutta l’ironia e l’autoironia del caso, può essere fastidioso. E’ chiaro che organizzare e far vivere una rivista on-line è ben altra cosa e, mano mano che le attività fortunatamente procedono, è giusto che il lavoro della redazione (o almeno di chi sta in ufficio) sia pagato. Ciò non toglie che il modo e il motivo per cui si richiede un aiuto economico siano questioni delicate, che riguardano la coscienza dei lettori (e dei “condivisori” :D) e scelte importanti della redazione stessa. Quante riunioni, quante ore di scrittura e di diffusione, quante attività si organizzano quando si fa politica (in senso alto e indipendente), senza ricevere un soldo indietro?! E’ giusto? Non lo è? E’ garanzia di maggiore libertà, non essere pagati per l’impegno sociale e politico, o invece è un vincolo che restringe il campo di azione? Resto sulle domande, perché non saprei dare loro risposte generali, soprattutto in questo periodo storico. Forse, poi, ho male interpretato la parte dell’articolo qui sopra, in cui si dice: “La nostra speranza è che i lettori che vorranno sostenerci in modo concreto [?] possano partecipare a comune facendolo con noi, almeno per un giorno. Offriremo loro uno spazio autorevole in cui ospiteremo quel che vi sta a cuore e ci avrete inviato. Potrebbe essere un disegno, un testo molto breve, una foto della vostra bicicletta, […]”. Lo spazio è offerto solo a chi avrà dato il contributo oppure ho capito male? Perché, eventualmente? Bene, non vi tedio più. Continuerò a leggere, a condividere e a marcare con un “Mi piace” tutti i vostri articoli che mi troveranno in sintonia e spero che il vostro lavoro, molto interessante e di qualità, prenda sempre più il volo. Con simpatia. Fanny Cerri
Fanny, sta sicura: lo spazio è per tutti. Se no che Comune sarebbe? Grazie del ragionare insieme: di nuovo, se no, che Comune sarebbe? Con affetto
Beh, io sono un esordiente in prova. Ho cominciato proprio in questi giorni a dare il mio contributo dopo essere stata accolta a braccia aperte. Vi siete fidati di me e questo, a mio avviso, è un punto imprescindibile del fare comune. Spero di continuare a meritare la vostra fiducia. Leggere non solo ciò che arriva con la newsletter o che viene condiviso su facebook, ma un articolo da tradurre, significa riflettere dieci volte di più su un contenuto. Insomma, è un’opportunità grandiosa di approfondimento. E’ anche darsi tempo per fare qulcosa di concreto in un contesto coerente con un modo di vedere le cose.
Il contributo economico l’ho “saltato” a pié pari, ma non mi ha infastidito la richiesta, né mi sono sentita costretta o in soggezione. Probabilmente lo darò, sapendo però che non è necessariamente da lì che si comincia.
Un abbraccio a tutti voi di comuneinfo e a tutti coloro che, anche indirettamente, ne fanno parte. Come direbbe qualcuno, “la libertà è partecipazione” (questa è proprio da vecchia feisbuchiana).
Buone vacanze!