“Non esiste un movimento anticapitalista capace di fare un tour come quello che hanno fatto loro, di ascoltare senza giudicare, di imparare da altre esperienze“, spiega Say, organizzato nel collettivo Zambra nella città meridionale di Malaga.
La Palmilla è una piccola enclave alla periferia di Malaga, il sesto quartiere più povero della Spagna, la cui popolazione sopravvive con una media di cinque euro al giorno. Si tratta di edifici a quattro piani di tre metri quadrati, senza terrazze. La maggioranza della popolazione è di origine gitana e araba, soprattutto marocchina, di terza o quarta generazione, anche se oggi ci sono molti latinos e africani.
I membri della Zambra hanno invitato la delegazione zapatista, anche se non avrebbero mai immaginato che una ventina di giovani sarebbero arrivati per ascoltare una mezza dozzina di attivisti. Sono stati ricevuti in un orto occupato chiamato “Espacio Dignidad” (Spazio Dignità), che il collettivo coltiva in una zona semi-rurale. “Ci hanno tagliato l’acqua, prima a questo orto e poi a tutti gli altri”, lamenta Say, perché con il caldo e il sole è quasi impossibile coltivare in queste condizioni.
Il giro viene allestito la sera, quando il caldo si attenua. Maite contrappone le difficoltà dei movimenti europei nel realizzare il ricambio generazionale ai progressi compiuti dallo zapatismo in questo senso, e sottolinea anche la “cooperazione tra generazioni” che lo zapatismo realizza.
“Mentre qui ci piace dare le nostre opinioni, loro ci hanno insegnato che esiste un soggetto collettivo con un’alta capacità di ascolto”, continua Say.
Granja Julia è un collettivo che lavora quattro orti nella periferia di Paterna, a Valencia. Lavorano con giovani latinos e gitani che, secondo le parole dell’attivista veterano “Rubio”, sono “i bambini segregati dal sistema educativo”. Hanno istituito una scuola di musica e una di ceramica, e le coltivazioni hanno un duplice scopo, produttivo ed educativo. Pomodori, peperoni, melanzane e soprattutto patate dolci, una coltura generosa che consuma poca acqua ed è resistente al caldo e ai parassiti.
Rolando, di El Salvador, è insoddisfatto perché, a differenza di quanto conosceva sullo zapatismo, “qui non condividiamo macchinari”. Nel frattempo, Joan ci ricorda che di fronte al cambiamento climatico “le vecchie conoscenze non ci servono più a molto”, e Lidia si rispecchia nello zapatismo evidenziando che “resistere senza creare è uno dei nostri problemi”.
Rolando interviene nuovamente e, contrariamente al senso comune, dice che “c’è molta militanza giovanile” e si chiede se “possiamo seguire i giovani”. Secondo lui sarebbe necessario un “ascolto zapatista” per capire e dare importanza a ciò che fanno questi giovani che, per molti adulti, non sono veri militanti perché non seguono i vecchi manuali.
Si formano dei gruppi di lavoro che, nelle loro relazioni alla plenaria, sottolineano che siamo di fronte a “tempi di mostri”, di fronte ai quali è necessario “creare comunità”. Non si sbagliano quando dicono che c’è “paura del sistema” e ritengono che manchino la riflessione, la capacità di rischiare e di coltivare la rabbia collettiva.
“Rubio” ha concluso l’assemblea dicendo che “lavoriamo con i lebbrosi di questo secolo”, qualcosa di simile all’affermazione di Marx su coloro che non hanno nulla da perdere, solo le loro catene.
Pensieri ed esperienze simili si possono trovare a Barcellona, così come alla Feria Alternativa di Valencia, che quest’anno ha celebrato la sua 35ª edizione. La fiera contiene cibo vegetariano, artigianato, musica, libri, collettivi sociali e conversazioni multiple per tre giorni in un parco pubblico situato dove un tempo c’era il letto del fiume Turia.
La fiera è completamente autogestita: tutti i collettivi devono partecipare alla pulizia e alla sicurezza dell’enorme spazio; tutto ciò che viene venduto deve essere artigianale e non industriale, e ogni gruppo deve presentare le ricevute che attestano l’acquisto di prodotti non industrializzati da realizzare.
Tre decenni sono tanti: dalla transizione dalla dittatura al governo elettorale, dai governi “socialisti” alle destre radicalizzate.
L’impressione è che per i collettivi europei il Tour per la vita sia stato, come dicono alcuni, una spinta allo spirito, ma anche uno specchio in cui guardarsi per imparare e capire meglio i propri limiti. Questo è molto, al giorno d’oggi.
Pubblicato su Desinformemonos.org. Traduzione di Donatella Donato per Comune
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