Una notizia che farà poco scalpore. Perché ormai ci siamo assuefatti alla disperazione degli altri, alla violazione dei diritti degli altri. Degli altri. Anche quando si cospargono di benzina e gridano di dolore. Dopo il raragazzo di 19 anni della Costa D’Avorio, che si era dato fuoco al Terminal 3 dell’aeroporto di Fiumicino il 15 febbraio scorso, un cittadino marocchino ieri ha fatto a Rimini, lo stesso gesto. Cosparso di benzina in un grido silenzioso, che non raggiungerà l’ufficio immigrazione. Province, aeroporti, tunnel d’Italia. Rivolte, sempre per questioni legate ai documenti, alla burocrazia, all’ingiustizia, alla non integrazione, al renderli non persone. Oggetti da rispedire. Il richiedente asilo denegato, per evitare l’esplusione. Questo cittadino marocchino, perché la Questura non gli ha rinnovato il permesso di soggiorno, che significa probabile rimpatrio, dopo aver vissuto anni in Italia e aver di recente perso il lavoro. Entrambi contro l’espulsione.
Mi ricorda un altro caso diverso, l’indiano Navtej Singh Sidhu, che ragazzi avevano cosparso di benzina, su una panchina della stazione di Nettuno mentre dormiva. Là era aggressione a sfondo razziale.
Una burocrazia razzista
Nel nostro Paese gli immigrati vanno a fuoco, in silenzio, nell’anestesia generale. O si distruggono di birra e di annullamento, come a Roma, a piazza Vittorio – ormai centro di accoglienza a cielo aperto senza l’accoglienza; dove li incontri, stravolti, svuotati, degradati, distrutti. Resi corpi. Da una burocrazia razzista che non li vuole e viola Costituzione e convenzioni internazionali.
Nessun grida, qua, le fiamme non sono quelle del venditore di arance di Sidi Bou Said, Mohammed Bouazizi che, con suo gesto, aveva fatto “divampare” la rivoluzione araba.
Qua sono ricoperte delle cenere dell’indifferenza che solo uccide dentro.
Ci vuole una ribellione migrante.
Fonte: Unità
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