La maggior parte delle vittime a Valencia sono state persone intrappolate nelle auto, o che si trovavano nei parcheggi sotterranei, o bloccate nei negozi con le uscite ostruite sempre dalle auto. Il mantra dell’auto elettrica per affrontare il complesso disastro ecologico, non solo climatico, che viviamo appare ridicolo ma soprattutto tragico
Il proverbio “Quando il saggio indica la Luna, lo sciocco guarda il dito” rispetto al racconto che viene fatto su Valencia non sembra una metafora ma una triste realtà. La “Luna” è nelle immagini pubblicate sui social, sui giornali e nelle informazioni televisive: centinaia di auto accatastate nelle strade a causa dell’alluvione. Ora, in un contesto non taroccato dai “grandi” media e dalla politica dell’orientamento e del controllo, chiunque vedesse queste immagini, noterebbe appunto un apocalittico accatastamento di auto che bloccano tutto, anche lo scorrere dell’acqua. La maggior parte delle vittime sono state persone intrappolate nelle auto, o che si trovavano nei parcheggi sotterranei per salvare il loro mezzo, o bloccati nei negozi con le uscite ostruite sempre dalle auto. I protagonisti dunque di questo disastro sono stati due: la pioggia torrenziale e l’automobile, ma che possiamo ridurre a uno, perché la pioggia torrenziale ha fatto vittime soprattutto laddove si sono accatastate le auto.
Può ora sembrare normale e ovvio quello che ho appena scritto, se non superfluo, ma sta di fatto che nessun media, televisivo o cartaceo, ha finora incentrato la catastrofe di Valencia in questo contesto. Difronte alle immagini di una città trasformata in un‘area di sfasciacarrozze diffuso, gli “esperti” scientifici e politici vedono invece un “dito”, orientato verso il tormentone mediatico che ha sostituito quello del covid19: il cambiamento climatico, spostando il dibattito sul CO2, sulle auto elettriche, fino ai tappi attaccati alle bottiglie di plastica (e casomai, perché non le bottiglie?). E proprio le auto elettriche, che per la nostra Europa stanno diventando la panacea del clima, mi fanno riflettere su un non auspicato scenario di un prossimo alluvione, in presenza di sole auto elettriche. La fotografia purtroppo sarebbe la stessa, solo che accatastate ci sarebbero auto molto più pesanti e con tante batterie al posto del serbatoio del carburante.
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Insomma le immagini apocalittiche che abbiamo davanti agli occhi, dovrebbero invece far pensare che l’eccesso delle auto parcheggiate ai lati delle strade, hanno ridotto le città a una discarica, che non solo toglie diritti e libertà soprattutto alle categorie più fragili, ma diventano un pericolo aggiunto in caso di inondazione.
Ho pubblicato nel 2023 la seconda edizione riveduta e corretta di un libro, intitolato “La Città Fragile”, ma mai avrei pensato a tanto. Il titolo del libro in realtà vuole ribaltare sulla città, la “fragilità” di alcuni suoi cittadini: bambini, anziani e persone con disabilità, impediti a godere del loro diritto alla mobilità in autonomia, proprio a causa della presenza dell’auto ovunque, della cattiva gestione del Codice della Strada, della mancata applicazione delle leggi sull’eliminazione delle barriere, e della prepotenza dell’automobilista medio. Ho utilizzato per la copertina la figura del gioco del “domino”, dove la prima pedina non sta bene in equilibrio e pertanto rischia di portarsi appresso tutte le altre. Se dovessi rifarla oggi, metterei proprio una di queste immagini di Valencia, che più di ogni altra fa pensare proprio alla fragilità delle nostre attuali città. Non posso allora non pormi il problema che oscilla fra il diritto di possedere un mezzo di trasporto, e quello di potersi muovere in sicurezza e libertà per le strade cittadine, anche a piedi, in bicicletta o con mezzi pubblici efficienti e ininterrotti.
Eppure questo problema che dal secondo dopoguerra in poi, si accentua e diventa una metastasi diffusa in tutte le città occidentali, è molto sentito in alcune realtà, tanto da aver vietato almeno in parte o solo per alcuni, l’ingresso alle auto.
Non è però tutt’oro quel che riluce, perché questo processo va avanti da decenni, ma è ben lontano dal restituire ai suoi abitanti strade libere e vivibili per chiunque, perché tutte le operazioni di restiling, di divieto di accesso per i non residenti: a targhe alterne, a pagamento, a tempo, e chi più ne ha più ne metta, partono dalla volontà non dichiarata, ma reale, dell’allontanamento dei residenti meno abbienti, facendo lievitare i prezzi e creare così parti esclusive nella città, dove se pur libere dalle auto non ci vedremo più frotte di bambini scorazzanti, di anziani che giocano a carte, di panni stesi, di adolescenti chiacchieranti, di merci esposte in strada, insomma di vita popolare e quotidiana, perché questi vengono sempre più spinti verso squallide periferie, dove non solo le loro auto occupano ogni marciapiede e angolo di strada, ma anche quelle dei nuovi residenti delle zone liberate, in parcheggi multipiano. E torniamo a Valencia per rileggere l’alluvione e le sue auto accatastate, sotto questa ottica. Infatti la zona con il maggior numero di morti è stata nel quartiere di Paiporta, a sud della città, e a seguire: Picanya, Sedav, Alfafar, Massanassa e Catarroja. Tutti quartieri che almeno dalle immagini di Google maps non possiamo di certo definirli quartieri “in”, ma fatti di stradine a senso unico e senza marciapiedi, auto parcheggiate ovunque, case basse a due piani, dall’aspetto di crescita spontanea se non abusiva. Se dovessimo fare un parallelo con Roma, in caso di straripamento del Tevere, il “Paiporta” nostrano sarebbe la Magliana, costruito a circa sette metri metri sotto il suo livello.
A confermarci poi che la volontà di restituire ai cittadini, strade libere da auto, è una chimera, sta proprio nella martellante campagna di sostituzione dei mezzi a combustione con quelli elettrici, e non la sostituzione del mezzo privato con quello pubblico, perché queste, le auto elettriche, non fanno variare di certo l’occupazione di suolo, la pericolosità e l’intralcio al passaggio pedonale, e anzi, come messaggio non troppo subliminale, viene anche fatto intendere che con l’auto elettrica si può tornare anche a circolare nei centri storici.
Città e auto In questa scheda, un elenco, certamente non esaustivo, di città che hanno adottato o progettato di adottare interventi per alleggerire il traffico privato (ma se vi fate un “giro turistico” con Street Wiew, vi verrà il dubbio che queste iniziative siano state solo di propaganda, laddove invece effettivamente di auto ne vediamo poche, come in due esempi statunitensi, è difficile definire queste città, nel senso europeo del termine, ma più forse dormitori se non campi di isolamento famigliare). Oslo, dal 2019 ha abolito il traffico automobilistico a combustione, rimuovendone anche la possibilità di parcheggio; invece città come Barcellona, Parigi e Berlino stanno cercando di adottare misure simili per allargare le zone libere da traffico automobilistico. Il 95% delle strade di Tokyo non offre possibilità di parcheggio ai lati delle strade. È inoltre obbligatorio, per l’acquisto di un auto, dimostrare il possesso di in parcheggio. A Pontevedra, città al nord della Spagna e ai confini con il Portogallo, il sindaco non ha vietato l’accesso alle auto, ma rimodulando strade e marciapiedi, parchi e giardini, ne ha talmente disincentivato l’accesso che ora la città possiamo definirla libera da eccesso di traffico. Friburgo (Germania), con i suoi 400 km di piste ciclabili cerca di avvicinarsi all’obiettivo. Nel 2012 a Londra è stato inaugurato un grattacielo, “the shard” (la scheggia), progettato da Renzo Piano; con i suoi 309 mt e 87 piani, è il più alto d’Europa, e può ospitare ben 8.000 persone, ma solo 48 automobili. Questo perché nella visione urbanistica di Piano e del sindaco di allora, la mobilità cittadina deve avvenire soprattutto con i mezzi pubblici; l’auto privata deve essere prevista solo nei casi di effettiva necessità. Addirittura negli Stati Uniti, nazione cult dell’automobile, due città, una in Arizona: Temple, e una nel North Carolina, Charlotte, hanno adottato un sistema di zonizzazione di complessi da 1.000 abitazione, tutte senza posto auto, o quasi, strade percorribili solo a piedi o mezzi alternativi: biciclette, scooter elettrici, servizio pubblico; auto solo fin larghe autostrade fra una zona e l’altra, che però creano isolamento.
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Paolo Moscogiuri, architetto da sempre attento alle questioni educative, vive a Pomezia ed è autore di due libri: La città fragile e La dignità del dignitario. I suoi articoli nell’archivio di Comune sono leggibili qui. Ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura.
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