L’ultima proposta è l’inserimento di lezioni dedicate alla “relazione”. La scuola viene sempre chiamata in causa ogni volta che si presenta un problema sociale, raramente mettendosi in ascolto di chi la vive ogni giorno. Di sicuro educare alla relazione non è un obiettivo raggiungibile aggiungendo una materia. La scuola deve imparare, senza aspettare nuove riforme, a mettere in discussione i suoi rigidi orari, smettere di essere un luogo di educazione all’obbedienza, trovare al suo interno occasioni nelle quali parlare di relazioni, affettività, corpi, sessualità. La scuola può riscoprire la sua vocazione ad essere luogo di riflessione, ascolto, dialogo. Ma per farlo ha bisogno di molto tempo lento e ovviamente di insegnanti che sappiano condividere la propria passione per la letteratura, l’arte, le scienze e per quello che accade nel mondo e nel territorio. Possiamo sorvolare sul fatto che la scuola sia un mondo a parte, che non incida sulla vita di ogni giorno dei ragazzi e delle ragazze? Possiamo accettare che ci sia un dentro e un fuori – si chiede Emilia De Rienzo, insegnante per oltre trent’anni – e che questo dentro e fuori non si tocchino?
[In coda a questo articolo saranno pubblicate
le parole per una scuola del dialogo]

La scuola viene sempre messa in campo ogni volta che si presenta alla ribalta un problema, e il più delle volte si aggiungono al programma scolastico una materia in più, o qualche ora dedicata a… L’ultima proposta è l’inserimento nella scuola di lezioni dedicate alla “relazione”. Chi debba tenerle o quando, è ancora in fase di elaborazione.
Educare alla relazione, al rispetto, all’affettività non è sicuramente un obiettivo raggiungibile aggiungendo una materia scolastica o un corso organizzato a questo scopo. Il rispetto non è un argomento che può passare da chi ne sa di più a chi ne sa di meno. Non si impara memorizzando qualche nozione, ci vuole molto di più.
La scuola è un mondo di relazioni che gli studenti vivono ogni giorno nella classe, tra professori e studenti e studenti tra di loro. E non è così facile capire quante sfumature ci sono in esse, con quante emozioni e sentimenti si intrecciano. Quello che si può fare è prima di tutto trovare momenti in cui provare a parlarne.
La scuola, salvo qualche eccezione, ha lasciato fuori la sessualità, i corpi, ha messo a tacere le emozioni, i sentimenti. Più volte si è detto: “Non si può” parlare di questi argomenti, non è la scuola che deve occuparsene, soprattutto non siamo noi insegnanti a doverlo fare.
L’andamento delle ore scolastiche era è regolato da tanti “Non si può”, “Non abbiamo tempo”, “Bisogna attenersi al regolamento scolastico”, quindi: “Non si viene a scuola con un abbigliamento inopportuno”; “Non si usa il cellulare”; “Non ci si alza durante la lezione” etc. etc.”. “Qui si viene ad imparare e a studiare”.
La scuola scandisce con precisione i suoi tempi, li incasella in orari rigidi, lezioni, verifiche e infine valutazioni numeriche.
La scuola, soprattutto in questi ultimi anni, vorrebbe tornare ad essere un luogo di educazione all’obbedienza, a uno studio che vuol dire “ripetere, ripetere e ripetere” (parole di una nota insegnante scrittrice), che non chiama in causa il pensiero, che porta a un sapere che è del tutto estraneo all’esperienza personale degli studenti: “Studia da pag. a pag…”. “Alla fine dell’argomento: verifica o test. E alla fine di tutto le “Prove Invalsi”.
Quale spazio ci può essere in una scuola regolata così per costruire la classe come un luogo dove l’incontro, lo scambio siano possibili? Come può un bambino, un ragazzo trovare uno spazio dove poter crescere, trovare ossigeno per costruire la propria persona, scegliere il proprio percorso di vita con responsabilità e nel rispetto degli altri?
Ma la domanda che sarebbe bello porsi è se noi adulti, possiamo davvero non occuparci di ciò che i ragazzi sentono, di come stanno a scuola e fuori, di come si relazionano con noi e con i compagni. Davvero non ci compete? Possiamo sorvolare sul fatto che la scuola sia un mondo a parte, che non incida sulla loro vita, quella vera? Possiamo accettare che ci sia un dentro ed un fuori e che questo dentro e fuori non si tocchino? Possiamo davvero illuderci che questi due mondi non siano comunque vasi comunicanti?
La scuola deve, quindi, ripensarsi, deve fare questo grande sforzo, un radicale cambiamento e lo dobbiamo fare prima di tutto noi, senza aspettare direttive illuminate dall’alto, che quasi mai arrivano. Si dovrebbe rivoluzionare tutto per ricostruire tutto. Ma sarebbe già importante cambiare noi giorno per giorno, senza smettere di denunciare e lottare ricordandoci che qualsiasi cambiamento arriva sempre dal basso.
Questo cambiamento è necessario perché viviamo questi tempi, con i nostri ragazzi che vivono in un mondo tanto diverso da quello in cui abbiamo abitato noi e che non era poi così invidiabile. È dal loro mondo allora che dobbiamo partire, che dobbiamo conoscere, suggerire nuovi interrogativi capaci di portare uno sguardo diverso e capace di autocritica. Introdurre la riflessione, la concentrazione, il tempo lento, e imparare ad ascoltarli e insegnare loro ad ascoltarsi. “Forse lei penserà che quello che sto per dirle è una sciocchezza…” dicono spesso, ma ogni sentimento, ogni osservazione, deve essere ascoltata con interesse.
È con questo rispetto che dobbiamo porci davanti a loro o meglio al loro fianco, non per assecondarli in ogni richiesta, ma per intessere con loro un dialogo; un dialogo anche acceso che nessuno di loro rifiuta, quando non si sentono sovrastati dalla nostra “ragione di adulti”. Si impara eccome da loro e loro possono imparare molto da noi; la cultura è molto importante per la loro crescita e la loro maturazione. Non però una cultura che appare ai loro occhi lontana e morta, ma una cultura che sa rivivere, anche se antica, nel mondo contemporaneo. Perché la cultura è viva, è ricca, può parlare ancora ai giovani, ma l’apprendimento deve avvenire non per accumulo, ma attraverso il dialogo e la relazione. Non sono solo loro a non recepire, ma forse siamo anche noi che non riusciamo a comunicare passione per quello che stiamo insegnando.
È importante interrogarci su cosa i ragazzi devono trovare a scuola per mettere in moto le loro menti, per essere motivati ad apprendere, per non sentirsi, appena arrivati nella scuola, già fuori.
Non è impossibile fare apprezzare ai ragazzi la letteratura, l’arte, la cultura in genere ma bisogna porgerla senza dogmi. Niente è grande se tu non riesci a spiegare agli altri il perché. Questo è il compito degli insegnanti, travasare la nostra passione, contagiarli.
I libri devono vivere dentro la classe, con quello che hanno da dirci, da suggerirci, per lo stimolo che ci danno per discutere sui problemi che la vita ci pone ogni giorno. I libri devono vivere per dirci come risolvere un problema, per esercitare la nostra mente, per giocare con la nostra intelligenza piccola o grande che sia. I libri devono vivere per incuriosirci, per stupirci, per presentarci realtà nuove che non potremmo conoscere in altro modo. I libri devono esistere per abituarci a informarci, per acuire il nostro spirito critico. I libri devono esistere per insegnarci a fare domande senza le quali il nostro sapere non potrebbe progredire. I libri devono vivere in mezzo a noi per interrogarci su ciò che ci sembra giusto o ciò che non ci sembra tale…
Con questo articolo, Emilia De Rienzo – insegnante per oltre trent’anni a Torino – apre una pista di ricerca che prova a scavare intorno a diverse parole/concetto con le quali favorire il passaggio da una scuola del “Non si può” a una “Scuola del dialogo”.
(Pagina in costante aggiornamento)