Vien l’autunno dalla montagna e ha l’odore di castagna, scriveva Gianni Rodari. A volte le stagioni s’incendiano così, senza un perché. Altre volte no. E allora diventa difficile far togliere le castagne dal fuoco ai soliti noti per godersi poi il business as usual. Il lavoro svolto in profondità dal Collettivo di fabbrica della Gkn è rimasto per anni sotto la superficie visibile ai media e, di conseguenza, alla stragrande maggioranza delle persone. Poi, nei primi giorni di luglio, quando il capitale finanziario ha pensato di poter fare la sua mossa per la soluzione estiva finale cancellando d’emblée 500 posti di lavoro e rendendo deserto sociale un territorio fatto di relazioni tra le persone e non di mappe satellitari, l’asse dello scontro si è clamorosamente spostato e dalla profondità è emerso uno spartiacque. Lo si vedrà bene sabato 18 settembre a Firenze, quando la città che si vuole ridurre ostinatamente a souvenir tornerà a mostrare, dopo tanto tempo, l’energia e la potenza dei molti e diversi volti dell’arte del conflitto. In primo luogo quelli degli operai destinati allo scarto e invece travolti da un ormai insolito destino: un fiume di solidarietà che valica impetuosamente da settimane anche le geografie del territorio
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Ci sono momenti che passano quasi inosservati, ma rappresentano uno spartiacque. Segnano un prima e un dopo, ma rimangono, almeno nell’immediato, invisibili ai più. Hanno uno sviluppo graduale, quasi impercettibile, ma non accadono all’improvviso. Sono il decantato di anni di lavoro apparentemente sotterraneo o comunque poco eclatante, per questo non intercettato dai media e, di conseguenza, dalla stragrande maggioranza delle persone. Ma accumulano energia che, come avviene per un terremoto, a un certo punto si libera modificando il panorama.
Il collettivo di fabbrica della Gkn è stato, in tutti questi anni, un accumulatore di energia: le lotte, gli scioperi, le vertenze, sia quelle affrontate e vinte in azienda sia quelle sostenute sul territorio, hanno avuto il ruolo di vero e proprio collettore sociale. Di esperienze, di diritti tutelati, ma soprattutto di legami sul territorio.
Tutta quella potenza si è liberata paradossalmente il 9 luglio di quest’estate postpandemica, quando la classe egemone nella sua nuova forma del capitale finanziario ha scelto Campi Bisenzio come il suo nuovo tavolo da croupier.
Si scommette su una chiusura, aumentano le azioni, si sbanca il tavolo portando a casa dividendi e profitti e poco importa se si desertifica un territorio e si cancellano 500 posti di lavoro.
Nulla di nuovo sotto il sole del capitalismo, volendo dare il nome giusto alle cose, nomi troppo spesso rimossi in questa Italia normalizzata, ma in questo caso siamo di fronte a una forma più virtuale e infida del vecchio padrone che, se non altro, doveva affrontare la fatica di guardare in faccia le persone che colpevolmente lasciava a casa.
Ma quell’atto di cinismo non ha tenuto in seria considerazione quello che sarebbe successo da lì a poco. Una solidarietà ampia e diffusa capace di superare i confini del territorio e che ha vestito i panni della condivisione della lotta e non di una semplice pacca sulle spalle, è stata la rappresentazione plastica dell’identificazione nella lotta della Gkn da parte di migliaia di persone, a prescindere dalle proprie identità.
E quando un’ingiustizia e un abuso diventano indignazione e ribellione collettiva, significa che qualcosa è accaduto, che quello spartiacque, forse, si sta superando.
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Hanno provato a convincere che si potesse vincere solo competendo: precari contro strutturati, nativi contro migranti, giovani contro pensionati.
La gestione disastrosa di una pandemia causata dall’alleanza tra un virus e le politiche irresponsabili di gestione della sanità pubblica e dell’esclusione sociale ha allargato ancora di più queste divaricazioni, lasciandoci di fronte un Paese più spaccato e vulnerabile, nonostante la farsa dell'”andrà tutto bene”.
Ma la vicenda Gkn sta segnando un dopo. Perchè il collettivo di fabbrica e tutto l’arcipelago di soggetti che lo circondano sono riusciti gradualmente a spostare l’asse dello scontro.
Non più orizzontale, ma diretto dal basso verso l’alto, dando nuovamente un senso all’ordine delle cose e rimettendo al centro la parola conflitto, dimenticata dai più, soprattutto da chi quel senso alle cose avrebbe dovuto darlo da tempo mentre si deprivavano progressivamente le persone di aspettative e diritti.
Per questo la mobilitazione non “per”, ma “con” la Gkn assume un’importanza centrale che va oltre la necessaria e indiscussa difesa dei posti di lavoro, perché chiede a tutte e tutti noi una scelta di campo: alimentare questa convergenza perché da spartiacque diventi un processo politico e sociale in crescita, o rimanere semplici spettatori, alla fine complici più o meno consapevoli di un sistema inaccettabile.
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Firenze, il prossimo 18 settembre, sarà lo spazio e il momento in cui questa scelta dovrà essere fatta.
Essere in piazza, sostenere quella mobilitazione, garantire quella solidarietà concreta anche nei giorni e le settimane che seguiranno, significherà puntellare quell’asse verticale del conflitto che, per un lungo periodo oggi apparentemente dimenticato, è stato il motore del progresso sociale nel nostro Paese.
io sabato ci sarò anche per recuperare un po’ di dignità personale come sindacalista in pensione (con onore) ma da tempo in rotta di collisione col sindacalismo attuale appiattito dall’accettazione del sistema economico unico.