La diffusione del virus è coincisa con una soffocante pandemia di esperti. Quando capita un evento imprevedibile e misterioso come un’epidemia sentiamo infatti forte il bisogno di esperti, cioè di chi è in grado di fornire qualche orizzonte, mostrare l’oltre. Ma non per forza inteso come il Futuro, l’Umanità, la Giustizia – spiega Emilio Mordini -, ci sono anche gli “oltre” delle piccole cose, “oltre i miei problemi”, “oltre il nostro piacere”, “oltre quell’incomprensione”, “oltre il tuo rimprovero”, “oltre una mia paura o una mia pigrizia”… Quei grandi e piccoli “oltre” essenziali perché permettono di superare lo stato di cose presente
L’epidemia di Covid è coincisa con una pandemia di esperti, ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti: chi spiega se vaccinarci o no e quale vaccino faccia bene e quale male; chi dice che in India è un ecatombe e chi dichiara che invece manco se ne sono accorti; chi pensa che i bambini siano untori, chi li ritiene frugoletti innocenti. Gli esperti impazzano su giornali e in televisione, sproloquiando a più non posso, ignorando ciò che i Greci conoscevano: il dubbio.
I dizionari spiegano che l’esperto è una persona saggia per esperienza. La parola viene dal latino expertus, participio passato del verbo experiri, che significa “provare in modi diversi”, per vincere una sfida. Gli antichi greci usavano una parola simile, empeiros, che derivava dal verbo peirao. È probabile che sia i termini latini che quelli greci provengano da una più antica radice indoeuropea * pe (i) r, che esprimeva l’idea di “oltre”. In latino, questa radice ha dato origine anche a periculus (pericolo), pereo (morire, cioè passare oltre la vita), partus (partorire, parto), porta (che porta oltre, cioè cancello, porta), peritus (abile, che passa oltre una difficoltà), pirata (qualcuno che oltrepassa il baluardo di una nave, cioè un pirata). In greco antico, la radice * pe(i)r generava il verbo peirao (tentare di andare oltre un problema, e quindi, semplicemente “tentare”), e il verbo peiro (perforare, sputare). A sua volta, peiro ha generato i sostantivi peran (attraverso) e peras (fine, estremità), che, aggiungendo il prefisso privativo “a”, sono diventati a-poria (senza passaggio, cioè, incertezza) e a-peiron (senza un oltre, cioè infinito). L’idea di esperienza ha quindi a che fare con lo spettro dei significati legati all’idea di “oltre”. In altre parole, l’esperto è qualcuno che si occupa di un “oltre” (non di “altrove”, di cui si occupano invece i mistici).
Esistono due tipi di “oltre”. Ci sono grandi “Oltre”, scritti in lettere maiuscole, come il Futuro, l’Umanità, la Giustizia, la Legge, l’Amore: a me lasciano sempre un po’ a disagio. Poi, ci sono gli “oltre” delle piccole cose, che io amo molto: “oltre i miei problemi”, “oltre il nostro piacere”, “oltre quell’incomprensione”, “oltre il tuo rimprovero”, “oltre una mia paura o una mia pigrizia” e così via. Grandi e piccoli “oltre” sono per noi più essenziali dell’aria che respiriamo, perché permettono di superare lo stato di cose presente. Creano orizzonti – piccoli o grandi orizzonti – ma sempre orizzonti. Ogni orizzonte è infatti il punto di congiunzione tra un “al di qua” e un “al di là”, che altrimenti non comunicherebbero. Come Giano, l’antico dio romano, l’orizzonte guarda sempre sia avanti sia indietro. Quando guarda indietro, ti dice dove sei e, usando l’orizzonte come riferimento, ti permette di localizzarti. Quando guarda avanti, l’orizzonte ti permette di immaginare – sognare e a volte temere – l’ignoto. Se l’orizzonte fosse chiuso, saremmo murati vivi nella nostra tomba. Se l’orizzonte fosse incondizionatamente aperto, ci sarebbe solo un infinito “qui e ora” in cui ci disperderemmo. Gli esseri umani non possono sopportare né la chiusura né apertura incondizionate. L’orizzonte è in definitiva la loro unica possibilità. Infatti, quando l’orizzonte “esce fuori dai cardini”, quando “al di qua” e un “al di là” si disarticolano, il nonsenso irrompe nella vita.
L’esperto dovrebbe essere quindi il “guardiano dell’oltre”, colui che cerca di tenere le cose in ordine, impedendo che (grandi e piccole) assurdità si impadroniscano delle nostre esistenze. Con la sua stessa esistenza, l’esperto testimonia che – al di là dei problemi, delle domande, delle incertezze – ci sono risposte e soluzioni. Non importa quanto il problema sia complesso: “when in trouble, call an expert” è stato per decenni il mantra della dell’ottimismo americano, dal presidente Roosevelt sino a Mister Wolfe di Pulp Fiction.
L’economia digitale rimuove l’intermediario dal rapporto acquirente-venditore e gli esperti sono una categoria peculiare di intermediari. Di conseguenza, l’era digitale stava liberando il mondo dagli esperti. Chi ha ancora bisogno di un esperto quando la maggior parte dei servizi e (quasi) tutte le informazioni rilevanti possono essere facilmente trovate online? Si potrebbe sostenere che non è possibile trovare “esperienza” online, quindi l’esperienza sarebbe il vero vantaggio offerto dagli esperti. Non è vero: in realtà, i “mercati online verticali” sono proprio mercati che offrono expertise e sono una delle evoluzioni più interessanti del web. Come dobbiamo quindi intendere l’attuale “pandemia di esperti”?
Credo che la si possa spiegare in due modi almeno.
Il primo è banale, ma pur sempre vero: un evento imprevedibile e misterioso (almeno per i più) come un’epidemia ha bisogno di qualcuno che fornisca alle persone un orizzonte, cioè che sappia dire alle persone dove sono e cosa vi sia al di là; l’esperto, l’ho detto, dovrebbe proprio essere costui. Tuttavia, è vero anche ciò che ho detto poco dopo, che il mondo digitale ha reso pleonastico questo tipo di esperto: le stesse informazioni che ci forniscono tutte le sere Antonella Viola o Matteo Bassetti si possono facilmente trovare su Wikipedia o sulle pagine – ben fatte – dell’Istituto Superiore di Sanità italiano, senza dover per forza ascoltare i programmi di Barbara Palombelli o Giovanni Floris.
C’è, però, una seconda spiegazione da considerare: gli esperti televisivi che ci affliggono (non solo in Italia ma in tutto il mondo) non sono esperti nel vero senso del termine, sono, in realtà aruspici. Gli aruspici erano nell’antica Roma, sacerdoti di origine etrusca che divinavano il futuro leggendo le viscere, il fegato in particolare, degli animali sacrificati. L’arte aruspicina si basava su una complessa distinzione dello spazio in zone familiaris (il regno dei vivi) e hostilis (il regno dei morti) e sul concetto di identità tra macro e microcosmo. In qualche modo, quindi, gli aruspici erano “costruttori di orizzonti” – proprio come gli esperti di cui ho parlato – ma costruivano grandi orizzonti cosmici e disprezzavano i piccoli eventi di ogni giorno. Erano un po’ come quei nostri virologi e clinici che ci sanno spiegare per filo e per segno gli influssi dei cambiamenti climatici sulla nascita di nuovi virus, ma che – quando chiedi loro se bisogna prendere l’aspirina ai primi sintomi di Covid – cambiano discorso. Li ascoltiamo con piacere un po’ per il gusto maligno di vederli sempre in disaccordo, punzecchiarsi, e un po’ perché ci regalano narrazioni, fiabe della buonanotte, a volte consolatorie a volte paurose, ma che sempre ci consolano dall’assurdo dandoci un senso.
Del resto, chi non ha mai notato quanto Massimo Galli assomigli a un vecchio nonno e Ilaria Capua a Nonna Papera?
Emilio Mordini, laureato in Medicina e in Filosofia, è specializzato in Psicoterapia e fa parte della Società Italiana di Psichiatria. Ha pubblicato decine di articoli e monografie su riviste scientifiche, curato numerosi volumi collettanei e fa parte del comitato editoriale di diverse riviste scientifiche internazionali.
L’articolo è apparso sul suo blog (e qui con l’autorizzazione dell’autore).
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