In molti angoli del Sud del mondo ancora non si conosce il coronavirus, si teme di più la malaria, la diarrea infantile, il morbillo, il tetano. E magari si muore per un’emorragia “post partum”. Molti si chiedono anche se il Nord del mondo ha idee di cosa accade da settimane con gli sciami di locuste che portano carestia, fame e morte: hanno paura che il resto del mondo non comprenda questa “maledizione” biblica. “Si può e si deve lottare per la salute di tutti, sotto casa e a migliaia di chilometri di distanza”, scrive dal Corno d’Africa Aldo Morrone, primario infettivologo del San Gallicano di Roma, da molti anni impegnato con i migranti e in diversi paesi poveri
“La malattia è il lato notturno della vita,
una cittadinanza più onerosa.
Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza,
nel regno dello star bene e in quello dello star male.
Preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto buono,
ma prima o poi ognuno viene costretto,
almeno per un certo periodo,
a riconoscersi cittadino di quell’altro paese”.
(Susan Sontang, 1977)
Siamo tornati stanchissimi e ricoperti di polvere dalla testa ai piedi. In bocca, in gola e negli occhi. Si tossiva e starnutiva, non era il coronavirus, ma la mancanza di strade. Solo piste per asini e dromedari. Ma siamo riusciti a raggiungere Semema e a incontrare la popolazione locale con cui da anni lavoriamo per garantire la salute e la dignità alle donne incinte perché nessun neonato e nessuna donna debba più morire di parto.
Insieme a Carmen a Giulia, a Luca, accompagnati da Esayas e da Hagos, ci siamo commossi a vedere e sentire la gioia di creature che “ai confini” del mondo ci abbracciavano e cantavano. Il desiderio di vivere è più forte della paura di morire. Non conoscono il COVID-19, per fortuna, ma temono di più la malaria, la diarrea infantile, il morbillo e il tetano. Ci chiedono cosa faremo per contrastare gli sciami di locuste che da mesi li sta portando alla carestia e fame. Per loro e per quel po’ di bestiame che cercano di allevare. Questo oggi li spaventa e hanno paura che il resto del mondo non comprenda questa “maledizione” biblica.
Ma per un giorno si festeggiava. C’erano nuovi strumenti diagnostici, per evitare di morire per un’emorragia “post partum” o per una banale infezione. Con i medici e gli infermieri dell’Università di Aksum, abbiamo avviato l’ennesimo screening per le “Tropical Neglected Diseases”, se riusciamo a diagnosticarle subito, si possono salvare migliaia di vite. E noi utilizziamo la conoscenza delle lesioni cutanee che spesso compaiono molto prima di tutti gli altri sintomi.
Stanchi, stanchi da morire, ma felici perché tocchiamo con mano che si può e si deve lottare per la salute di tutti, sotto casa e a migliaia di chilometri di distanza. Non fa nessuna differenza. Proprio con l’epidemia del COVID-19 l’abbiamo imparato a nostre spese.
Il sole al tramonto è stato dolce con noi e stanotte le stelle ci sorridevano. Domani un altro villaggio, un’altra woreda, con altre donne e bambini.
patrizia dice
bellissimo questo essere “felici perché tocchiamo con mano che si può e si deve lottare per la salute di tutti..”
Enza TALCIANI dice
Offrirsi agli altri,mettersi in gioco per salvaguardare la salute dei più lontani,dei più disperati è un modo per fare doni, per elargire il nostro affetto a chi ne ha bisogno!
MARINA LEONORI dice
Ho conosciuto l’impegno del dr. Aldo Morrone quando partecipavo ai convegni che si tenevano al San Gallicano sulle tematiche sociali e sanitarie. Ho imparato moltissimo e sono contenta di sapere che è”stanco ma felice”.