Molti anni fa, quando un dibattito a una voce sola calò come una mannaia sulla testa dei movimenti e dei centri sociali sotto il nome di nonviolenza, rimasi molto colpita da una frase di Fausto Bertinotti, allora segretario di Rifondazione comunista. Era il 2003, il 4 ottobre c’era stato a Roma un corteo in occasione della riunione della ‘Conferenza intergovernativa dell’Europa allargata’, poliziotti e carabinieri a migliaia avevano difeso i Grandi Leader dalle contestazioni, c’erano stati scontri, i Disobbedienti avevano caschi e scudi. Si scatenarono polemiche sulla violenza dei movimenti. Non era la prima volta, non sarebbe stata l’ultima, ma Bertinotti ritenne necessario intervenire «per respingere ogni atto di violenza», ripudiare il Brecht di «Noi che volevamo la gentilezza non potevamo essere gentili» e per dire a Carlo Bonini, sulle pagine di Repubblica: «Penso che esista un solo metro per riconoscere, in una manifestazione, la differenza tra un’espressione di inaccettabile violenza ovvero di legittima tutela dei propri diritti sia pure attraverso strumenti di coazione. E questo metro di giudizio è una donna incinta». Se è una piazza adatta a una donna incinta bene, altrimenti «vuol dire che quella piazza non ha legittimazione».
Mi colpì molto, quel ragionamento, perché una donna incinta entrava ed entra molto raramente nelle parole della politica, e lì per lì pensai: beh, giusto. Ma quella frase di Bertinotti mi è rimasta in mente, appesa nella testa come fanno qualche volta i problemi quando non sono chiari. Qualcosa non mi tornava, e ho capito cos’era leggendo il bel libro di Luisa Muraro «Dio è violent» (edizioni nottetempo, 80 pagine, 6 euro).
A non tornarmi era la possibilità, non prevista da Bertinotti, che quella donna incinta fosse incazzatissima, e soprattutto fortissima. Mi sono venute in mente le molte donne e i loro pancioni che nelle piazze piene di tensione hanno scelto di starci, per difendere con le unghie e con i denti (con il corpo tutto intero, pancia compresa e per prima) un diritto offeso. E ho pensato alla precaria incinta che prese gentilmente la parola a un convegno con Brunetta e venne insultata dal ministro, e alle foto di Tano D’Amico, maestro e compagno fotografo di strada, piene di donne incinte o con i bambini in braccio, nelle piazze e nelle strade (e in particolare a quella che Tano ha chiamato «il presepe di Casalbruciato», scattata a Roma nel 1974 durante uno sgombero di case occupate, in cui c’è una donna a destra, un poliziotto a sinistra, e in mezzo, per terra come Gesù bambino nella grotta, un neonato in una culla).
In questi anni le lotte giuste – cioè capaci di tenere insieme la giustizia degli obiettivi e la giustezza delle forme, scrive Muraro – democratiche, partecipate, ragionevoli, non hanno avuto risposte politicamente degne. Queste lotte sono state per Muraro «gli antefatti» alla scrittura del suo libro (che lei chiama, parlandone, «il mio librino») perché chiamavano a rispondere la politica, ma alla politica si è sostituita la violenza in forme diverse (cioè mascherata o nuda).
Gli esempi non ci mancano. Muraro parte da quel che è successo a Genova nel 2001, naturalmente (e andranno in galera solo i manifestanti che hanno spaccato una vetrina, non gli assassini di Carlo Giuliani, non i massacratori della Diaz né i torturatori di Bolzaneto, e neanche i picchiatori per le strade, e nessuno dei loro mandanti); e parte dall’ultima guerra umanitaria e democratica in Libia, iniziata senza un accenno di trattativa e non ancora finita; e pensa a Vicenza, la sua città, dove mesi e mesi di mobilitazione intensa e pacifica contro l’allargamento della base Usa non sono bastate a fermare le ruspe, arrivate una mattina all’alba, protette da centinaia di agenti in tenuta antisommossa; come accade – volendo un po’ arricchire la lista – in Valle di Susa, un anno fa ma non solo; e a Pomigliano, dove il ricatto del padrone si rinnova; ed è avvenuto nel centro di Roma, nei dintorni di Montecitorio e di Palazzo Chigi, solo due settimane fa ma decine di altre volte. D’altronde perfino i terremotati dell’Aquila sono stati manganellati a sangue, da quelle parti. E che dire del referendum contro la privatizzazione dei beni comuni, frutto di un lavoro incessante, diffuso, paziente, che ha costruito relazioni e competenze, partito nei movimenti e condiviso da milioni di italiani di buonsenso? E allora perché il sindaco Alemanno, a Roma, sta privatizzando l’acqua?
Sono solo esempi. Ma questo cumulo di macerie ha un significato preciso, dice Muraro, che non possiamo non comprendere e che travolge certi comodi angoletti in cui a volte abbiamo cercato rifugio: il contratto sociale alla base della costruzione dell’Europa moderna non vale più. Il patto che ne era alla base è rotto; la contrattazione che lo sostituisce è fasulla, e la sua falsità emerge dal confronto dei rapporti di forza in campo. Le donne, che in fondo da quel contratto sono sempre rimaste fuori, e che portano l’eredità della critica femminile e femminista a quel patto, hanno di questa fine una competenza maggiore. Questa competenza è una cosa complicata da gestire, ma ha diverse radici. La più importante è la consapevolezza che la violenza comincia e finisce nelle case e lì ritorna, e nessuna legge e nessuna giustizia hanno mai davvero tentato di arginarla. Finirà solo quando le donne diranno basta, con forza, e smetteranno di sopportare.
Come dire basta, come non sopportare oltre, questo è il problema. Ci hanno proposto di accontentarci della nostra forza morale, «io propongo di scegliere la forza simbolica», ha detto Muraro alla Casa internazionale delle Donne di Roma. Dire no, provare a fare in modo che sia no.
A partire, insieme con gli antefatti di cui sopra, anche da un dubbio radicale, se viene detto da Luisa Muraro: «Abbiamo lottato invano per la differenza sessuale, se ora questa si presenta in modo non confliggente con l’ordine costituito?». Le lotte non confliggenti, perché non confliggono? Che speranza, che fiducia hanno nella propria forza e capacità di farlo? In quale modo stare nel conflitto? «Dio è violent» è un invito ragionevole, mite e lucidissimo, a rivoltare il binomio violenza-nonviolenza come un calzino: la paura dello spauracchio della violenza, la confusione ormai ridondante tra legalità e legittimità, quanta forza ci ha tolto?
«Disponiamo della nostra forza con spregiudicatezza, riappropriamoci della legittimità di disporre liberamente della nostra forza, perché l’agonia a cui assistiamo mette tutte e tutti sotto torchio; non soccombiamo a questo patimento – ha detto ancora Muraro a Roma presentando il cosiddetto ‘librino’- ma affrontiamolo. Non regaliamo le nostre vite all’agonia del contratto sociale, anche perché sarà un’agonia lunga. Facciamoci forti».
Al centro del ragionamento proposto da Muraro c’è dunque la forza, la nostra, di tutti quelli che credono di non averne, o di averne poca e inutile. C’è la ricerca di una lotta, cioè di una politica, più felici. E adesso questo centro è rivoluzionario, e già a renderci più felici è la lettura di questo libro prezioso, scritto da una donna libera.
Rosa Mordenti, Senza dominio
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