Basta dare un’occhiata alle ultime pubblicità di Eni e Nestlé o ricordare le nuove strategie commerciali di Coop Italia, Amazon e di molte banche: è partita la grande rincorsa agli adolescenti di Fridays For Future. Come è sempre accaduto, il sistema dominante prima nega, poi reprime, infine tenta di sussumere le contraddizioni che genera. «Ma temo che la presunta “svolta etica del capitalismo” – come l’ha chiamata The Wall Street Journal – non sia solo una operazione di marketing…» spiega Paolo Cacciari
Propongo un gioco. Indovinate chi ha scritto queste parole: “Sono, i nostri, tempi difficili e controversi. Di crisi di meccanismi e modelli di produzione e consumo. E di necessità di un vero e proprio ‘cambio di paradigma’. L’orizzonte di riferimento è appunto la sostenibilità ambientale e sociale: green economy e solidarietà, cura attenta per l’ambiente e rispetto delle persone”. Non Greta Thumberg, non papa Francesco, nemmeno Legambiente. Ma il vicepresidente della Confindustria lombarda, Antonio Calabrò, su Buonenotizie del Corriere della Sera di martedì 8 ottobre. È partita la grande rincorsa agli adolescenti di Fridey For Future. Come è sempre accaduto, il sistema dominante prima nega, poi reprime, infine tenta di sussumere le contraddizioni che genera.
Guardate le paginate di pubblicità dell’Eni: volti di ragazze sorridenti e “Bioeconomia ai primi posti”. Non c’è banca che non proponga ai risparmiatori fondi etici garantiti. La Nestlè ha da tempo una linea di cioccolato e caffè equo e solidale. Il bio è diventato industriale e lo trovate sugli scaffali dei peggiori supermercati. Lo storico marchio Fair Trade è distribuito da Amazon. La Amministratrice Delegata di Coop Italia, Maura Latini, racconta ad Affari e Finanza di Repubblica il “rinnovato posizionamento del modello comunicativo” della sua azienda. Scrive il giornale (titolo a pag.39: “Dialoghiamo con i giovani su valori, etica e ambiente”, lunedì 7 ottobre): “Una sfida ambiziosa: perché si rivolge principalmente ai consumatori di domani, la Generazione Z. Un target di persone che vanno dai dieci ai venti anni che, oltre a chiedere cose importanti – in questo senso il messaggio di Greta è stato dirompente – ha già attuato dei cambiamenti radicali nei comportamenti”. La risposta della Coop è una serie di spot con lo slogan: “Una buona spesa può cambiare il mondo”. Se trovate qualche affinità con lo slogan “Vota con il portafoglio”, lanciato dall’economista Leonardo Becchetti della NeXt (Nuova economia per tutti), avete visto giusto.
In queste nuove grandi conglomerate che si battono per la green economy, l’economia circolare, il Green New Deal, ecc. (penso alla Alleanza per lo sviluppo sostenibile dell’ex ministro Enrico Giovannini, alla Fondazione per lo sviluppo sostenibile di un altro ex ministro, Edo Ronchi, alla Symbola di Ermete Realacci che ministro non è riuscito a diventare) c’è di tutto: dalle associazioni ambientaliste, alla grande distribuzione organizzata, dalle grandi imprese alle Fondazioni bancarie. Nulla in comune con i vecchi movimenti del consumo critico e consapevole degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, protagonisti di campagne di boicottaggio, denuncia delle sofisticazioni alimentari, richiesta di etichette trasparenti, giornata del non acquisto, ecc.
Ma temo che la presunta “svolta etica del capitalismo” – come l’ha chiamata The Wall Street Journal – non sia solo una operazione di marketing. Pensano di poter cambiare cavallo in corsa. Scendere da quello “estrattivista” e salire su quello “immateriale”, etereo ed angelico, pulito e compassionevole, tecnologico e intelligente. Ovviamente: “senza rinunciare al benessere acquisito”, come ha detto Eddo Ronchi, presidente della Federazione per lo sviluppo sostenibile” (Cosera 27 settembre) illustrando un piano di trasferimento di investimenti in rinnovabili ed efficienza per 240 miliardi di nuovo valore aggiunto. Il green – insomma – conviene.
L’unica speranza è che le nuove generazioni non ci caschino. Tutte le versioni di “sviluppo sostenibile” fin qui conosciute (da quelle più soft della “crescita verde”, dell’“economia circolare” ed altre, a quelle più socialmente caratterizzate che oggi prendono il nome del Green New Deal) si basano sull’ipotesi di fondo del “decoupling” – la separazione della curva dell’aumento del Pil dalla curva delle pressioni ambientali. Vale a dire, sulla possibilità di continuare a perseguire un aumento della crescita economica e, contestualmente, ottenere una diminuzione degli impatti antropogenici sui cicli naturali, sul “consumo di natura”. Peccato che tale ipotesi, in un contesto economico di tipo capitalistico, non abbia mai funzionato e non possa mai funzionare. Ad affermarlo – da ultimo – è una fonte non sospetta, l’European Environmental Bureau (composto da 143 organizzazioni di trenta paesi) con il rapporto Decoupling Debunked. Evidence and arguments against green growth as sole strategy for sustainability, luglio 2019. Vale la pena leggerlo.
Maurizio Buzzani dice
Paolo è veramente un grande!
Paola Ricca Mariani dice
E quindi?
Paola Nicolini dice
Proprio così, sono i metodi di cosiddetto lavaggio dell’immagine: cooperazione, collaborazione, attenzione agli ecosistemi, attenzione al prodotto naturale e verde. Una versione umana del medesimo sistema capitalistico. Un’industrializzazione green, dal cuore umano. Ossimori.
Marino Vascotto dice
Più che ossimori sono contraddizioni in termini.
Samuele Scognamiglio, insegnante dice
Interessante.
Salvatore Cantoro dice
Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Si pone sempre lo stesso problema: adeguarsi ma mantenere il potere, contestare la modernità per non arrivare all'”altermodernità”. Non si cambia niente…
Manuela dice
Una chiara e vera fotografia del capitalismo di oggi. Illuminante.
Laura Di Lucia Coletti dice
Condivido! Hai colto ! come fare? a volte mi sento disarmata…combatto dal mio piccolo avamposto come insegnante ma è sempre più difficile. Una questione mi pare però importante e che forse può aiutare le nuove generazioni: capire la connessione tra pandemia e crisi ambientale. Significa aprire gli occhi sulle strategie inefficaci con cui il sistema sta affrontando la pandemia. La questione tocca da vicino le loro vite come le nostre!!
ChiaraPatrizia Tardivello dice
prima di Greta … nel 1992 http://www.fidelcastro.cu/it/discursos/discorso-rio-de-janeiro-dal-comandante-capo-durante-la-conferenza-delle-nazioni-unite-su
ChiaraPatrizia Tardivello dice
PS: illuminante l’articolo, buona analisi del sempre attento Paolo
Katia Maurelli dice
perfetto. Proprio oggi ho avuto modo di incontrare dei giovanissimi mobilitati e attenti, mettendoli in guardi su questo green washing dalle ‘forme’ attraenti! boicotaggio!
Nicola dice
Come da insegnamenti del buon Darwin: in natura sopravvive chi riesce ad adattarsi meglio alle condizioni esistenti. Va riconosciuto che il capitalismo è indubbiamente molto capace in tal senso.
Gaetano Colella dice
Una cosa è certa!
Personalmente continuerò a boicottare Nestlè, Eni, Benetton, Monsanto, McDonald, ecc. ecc., come faccio ormai da quasi trent’anni.
Ricordiamoci del “voto col portafoglio”
Pietro Negri dice
Voce fuori dal coro: non sono assolutamente d’accordo con quanto scrive Cacciari. Dove tiene i suoi soldi ? Lo sa come vengono impiegati dalla sua banca? o non è importante anche questo aspetto da tener presente per incidere nei processi trasformativi (irreversibili) in atto? E’ questo che differenzia la Finanza sostenibile (non “etica” che è una branca della prima, la più risalente nella sua applicazione..) e che se riusciremo tutti insieme a metterla in atto, porterà all’implosione del Capitalismo come lo abbiamo conosciuto e alla fine delle terribili disuguaglianze esistenti…O vogliamo sostenere che la Retroutopia di Baumann (pensare che nel passato – e non nel futuro ideale – possa essere il Mondo auspicabile che vorremmo…) sia la risposta a quello che sta accadendo? Da Parigi 2015 ad oggi, anche grazie a Greta, la consapevolezza è enormemente cresciuta e molti si pongono domande che in passato erano impensabili: quando ero piccolo (e ne ho 52) i miei mi curavano a bombe di Bactrim e mangiavo schifezze. Oggi scelgo il mio cibo e mi curo con quel che dico io…e così con il danaro. Le aziende quotate in Borsa, vengono oggi controllate con il 30 % delle azioni. E l’altro 70%? Silente o inconsapevole del fatto che forse è il suo Fondo pensione a detenere quelle quote ma non esercita i diritti in assemblea dei soci per avere remunerazioni più giuste ed eque dei top (?) manager, sistemi produttivi più efficienti e una progettazione di beni e servizi nella quale il produttore resta proprietario per sempre, nella seconda e terza vita del bene o del servizio venduto che deve essere concepita sin dall’origine…Oppure è nel conto bancoposta e Cassa depositi e prestiti li investe in cose che poi ci si ritorcono contro….vogliamo chiedere conto di tutto ciò? Vogliamo sostenere questa trasformazione attraverso comportamenti “attivi” e consapevoli….Ed è solo conoscendo i tecnicismi della macchina a sostegno del Capitale che si può mettere lo zucchero nei punti giusti..ma non per farla “grippare” ma per farla viaggiare a servizio di tutti …illusione? forse, ma non è chiudendomi in una enclave che le cose cambieranno ma solo agendo perché ciò accada e nel modo più condiviso, trasparente e equo per tutti…ma non sono io a dirlo, Terry Gilliam in Brazil già aveva ben intuito il modo per farlo. Pietro Forum finanza sostenibile
Maria Sferrazza dice
Grazie per aver espresso in maniera perfetta anche il mio pensiero. Personalmente sono stufa di questo atteggiamento che demonizza ciò che oggi secondo me rappresenta l’evoluzione di un pensiero critico che a suon di boicottaggi sta per estinguersi. Continuo a credere nella possibilità di cambiare le cose dall’interno, a poco a poco e non contro il sistema sempre e comunque. Di fronte all’avanzare di masse enormi di nuovi consumatori della classe media dei Paesi emergenti autoprodursi il dentifricio o non fare la spesa al supermercato vorrei proprio capire quanto incide…Serve una rivoluzione verde come ben spiega Naomi Klein e la rivoluzione si fa solo se si è in tanti!
Giancarlo dice
quello che attulmente vediamo é un mondo capitalistico finanziario a cui non interessa l’economia reale ma lo sfruttamento dei territori , i quanto prevale l’accumulo di denaro , un denaro che prima facilitava l’economia ora opprime la stessa….. una moneta dovrebbe attivare l’economia non la finanza.
la moneta é il punto debole della finanza se potete leggere qualche libro del prof tonino perna persona eccezionale ci aprirà un mondo sulla questione moneta
hans drager dice
Quando numeri e figure
non saranno più la chiave di tutte le creature,
[…]
allora di fronte a un’unica parola magica
si dileguerà ogni falsità.
(Novalis)
Chiesta da una sostenitrice del Green New Deal negli Stati Uniti sulla costosità delle misure per dare una svolta decisiva alla ‘politica climatica’ sinora seguita, Greta Thunberg dava la seguente risposta: “C’erano abbastanza soldi per il salvataggio delle banche. Se possiamo salvare le banche, possiamo anche salvare il mondo “.
A parte il fatto che questa risposta è in qualche modo ‘ingenuo’, a dir poco, ci dà qualche indicazione che cosa lei e i suoi amici pensano come l’intero pasticcio climatico possa essere risolto, cioé sulla base del denaro e a livello di governo (appelli alle coscienze dei governanti). Se una volta riuscirà a sviluppare il suo olfatto, rafforzato dalla malattia, scoprirà che il denaro, contrariamente a asserzioni completamente diverse (“non olet”), puzza enormemente. La via del denaro è lastricata di cadaveri.
Il processo di produzione e di sfruttamento capitalistico è un processo di distruzione. “La società capitalista si oppone alla vita come forza di natura. La protesta, cioé l’articulazione della vita, viene continuamente soffocata e uccisa; questo è assassinio permanente, assassinio organizzato” (SPK – Fare della malattia un’arma, http://www.spkpfh.de/Malattia_e_capitale.htm ).
Il denaro è la merce carente per eccellenza (il contrario sarebbe un’inflazione permanente non controllata, come negli anni ’20, ad esempio l’essere eccessivo, il bilancio della morte medico, e la selezione (le leggi sull’igiene razziale e sulla sterilizzazione obbligatoria della Repubblica di Weimar furono adottate con i voti dei socialdemocratici).
Se il ‘deal’ – in lingua straniera: affarismo a scopo di profitto, commercio, litigio – per salvare il clima (o il capitalismo, che è probabilmente lo stesso per i suoi fautori) si chiama ‘green’ non cambia affatto. ‘Business as usual’. Ciò vale tanto per la politica verde del clima nei paesi europei che la politica di crescita ‘verde’ o di ‘sviluppo sostenibile’ come l’autore di suddetto articolo giustamente ribadisce.
Il New Deal Keynesiano degli americani, a cui invocano i fautori del New Deal VERDE, è inseparabile dal relativo riarmo prima della Seconda Guerra Mondiale. Non è stato fino al riarmo che il numero di disoccupati ha iniziato a calare lentamente, come previsto per prevenire la ribellione.
Lo stesso è accaduto qui dalle nostre parti: La via del denaro è lastricata di cadaveri. Anche con il Deal delle camicie brune del Reich millenario dei Nazi allo scopo di creare posti di lavoro si sono costruite le autostrade, c’è stato il riarmo, la guerra … e anche l’assassinio di centinaie di miglaia di pazienti (l’Aktion T4 ovvero il Programma della cosiddetta eutanasia) e di milioni di Ebrei-come-pazienti nei campi di sterminio avevano trovato la proprio collocazione in questo ‘Deal’, p.e. come misura di ridistribuzione di ricchezza.
Il ‘Deal’ è quindi neutro dal punto di vista cromatico, ma mai neutrale riguardo alla malattia, ovvero è sempre contro la malattia e i suoi portatori, e a maggior ragione contro la malattia come arma di conoscenza e trasformazioe rivoluzionaria e i pazienti rivoluzionari.
Chiunque è disposto e in grado di comprendere sia anche solo in parte le relazioni di cui sopra tra catastrofe climatica, capitalismo e affarismo con lo scopo il profitto da un lato (Green Deal = Brown Deal), e la ricerca disperata di una strategia che può invertire la rotta, si renderà facilmente conto che la “parola segreta” (Novalis) è qualcosa che ha a che fare con la malattia – e chi può dire che non è malato. E per quanto ne so, a parte del COLLETTIVO SOCIALISTA DI PAZIENTI / FRONTE DIPAZIENTE – SPK / PF (H) nessun altro ha sviluppato una idea della malattia, un concetto di malattia. Nessun altro gruppo politico, socialista, comunista, anarchico, femminista o militarista, per non parlare del partito dei Verdi, era pronto per questo.
Prendere posizione e schierarsi in favore della malattia è a mio parere l’unica via d’uscita dall’impasse in cui il capitalismo ci ha portato con il suo ‘profit-making’: il plusvalore cova del Capitale, Il denaro ‘lavora’, G (denaro) => G’ (più denaro). Gli strumenti concettuali, il concetto di malattia completo, e le patopratiche basate sulla sua applicazione si trovano sul sito internet multilingue (anche in italiano) dell’SPK/PF(H): http://www.spkpfh.de/index_italia.html
E poiché riguarda il futuro della terra e delle specie animali e del genere umano ancora incompleto la malattia e l’interezza con un futuro.
Daniele Morgan Palmi dice
Discutevo questa cosa quando vidi il WWF legarsi incautamente, in una campagna pubblicitaria, all’Algida (Unilever) e ai suoi nuovi imballaggi green. Che squallore il capitalismo e quanta sufficienza in tanti ambientalisti anche di spicco.
Emilia Accomando dice
Le risorse di un imperialismo senza scrupoli non hanno mai fine. Spero che i ragazzi del FridforFuture escano da una posizione apolitica che ragiona sí sugli aspetti della questione ma è incerta su analisi delle cause, prima fra tutte quel liberismo senza scrupoli che strumentalizza tutto e tutti grazie Cacciari
Paolo Cacciari dice
Vorrei ringraziare ognuno/a di voi che ha commentato il mio articolino che – lo avete capito – è solo un piccolo sfogo di rabbia nei riguardi di quei gruppi industriali e quegli istituti bancari che cinicamente montano sull’onda di Greta per ampliare i loro affari. Ma non vorrei apparire un ambientalista fondamentalista purista. Ben vengano tutte le iniziative orientate a diminuire l’impronta ecologica (e sociale) di qualsiasi attività umana (ben comprese quelle finanziarie delle vere banche etiche). Tutte le infinite possibili buone pratiche – come torrentelli che confluiscono nel fiume – devono però perseguire l’obbiettivo comune di liberare dalla logica del mercato (demercificare) fette sempre più consistenti dell’economia. In particolare vorrei che alzassimo la guardia dalla cd “sovranità del consumatore”. Almeno che in essa non contemplassimo anche la possibilità di non consumare. Ovvero, di riuscire a soddisfare i nostri bisogni e desideri senza dover sottostare alla legge della domanda e dell’offerta mediata dal denaro e regolata dai prezzi. Rovesciando il pensiero del prof. Becchetti dovremmo dire: “votate senza (non con) il portafogli”. In altre parole vorrei dire che cambiamo realmente l’attuale sistema economico mortifero solo se riduciamo il flusso di denaro con cui si alimenta e si riproduce. Dovremmo riuscire a decrescere i profitti e restringere i margini di accumulazione dei capitali. Quindi, in una visione generale macroeconomica, dovremmo pensare a disconnettere (decoupling) il benessere sostanziale delle persone (e la salubrità dell’ambiente) dall’indicatore del Pil. E’ un’operazione non solo e tanto economica. Riorientare le “forze produttive” al bene collettivo condiviso, riconcettualizzare l’idea di ricchezza – passando da quella economicista a quella olistica, relazionale ed ecologica – comporta prima di tutto una rivoluzione culturale, etica e spirituale, cioè politica, libera l’immaginario collettivo dalla mercificazione di ogni cosa e di ogni relazione umana, apre ad un superamento antropologico dell’homo oeconomicus occidentale (l’individualismo proprietario), ritira la delega alle rappresentanze istituzionali. Quando un gruppo di acquisto o una comunità di sostegno all’agricoltura o un emporio cooperativo o un una qualsiasi altra forma di economia ecosolidale autogestita stringe un patto di produzione e di fornitura tra produttori e fruitori crea un’economia di comunità distrettuale che produce valori d’uso, redditività sociale, sviluppo locale auto-sostenibile, democrazia civica sostanziale. Certo, mi rendo ben conto che sto proponendo una strategia lillipuziana, ma le scorciatoie fino ad ora si sono rivelate fasulle o, peggio, hanno portato nel baratro.
Paolo Cacciari
Laura Di Lucia Coletti dice
Un’analisi, quella proposta da Paolo che aggredisce la ” questione”. Infatti benchè ogni passo avanti verso politiche più attente all’ambiente sia ovviamente positivo, dobbiamo essere consapevoli che non sarà così che si potrà cambiare e uscire dal baratro. Se prendiamo in analisi ogni singola azione del sistema, comprendiamo l’imbroglio, o meglio l’assolta continuità con un approccio predatorio. Prendete il sistema industriale automobilistico, che apparentemente si sta convertendo, ma come? inventando l’ibrido che incarna perfettamente il travestimento fittizio. Infatti continui ad avere un motore termico che ogni tanto va con quello elettrico, quando non acceleri troppo!!! Ma supponiamo di avere tutte le auto che riescono ad andare ad elettrico, e l’energia? sicuramente ci sarà qualcuno che riparlerà di nucleare…Per alimentare un’auto già suggeriscono di farsi aumentare la potenza di energia casalinga da 3 a 7 kW . Cioè si aprirà un’altra contraddizione, mentre la vera scelta sarebbe diminuire il parco auto, limitare il numero di auto per famiglia. La verità è che siamo andati un po’ troppo oltre, e cambiamenti/ adattamenti lenti purtroppo temo che servano poco e soprattutto non consentiranno di rovesciare le logiche di un capitalismo che è padre di uno squilibrio che di continuo prende forme in guerre più o meno latenti, che lasciano sul terreno vittime innocenti. Vittime di povertà, di ingiustizie, di veleni sversati, di aria irrespirabile e di acqua avvelenata. Uomini, donne e bambini senza più terra. Uomini donne e bambini senza più casa. Una disegaglianza così profonda e violenta tra le nostre calde case, che avrebbe bisogno di un radicale cambiamento a partire dalla redistribuzione della ricchezza e attraverso quella riconcettualizzazione dell’idea di ricchezza – “passando da quella economicista a quella olistica, relazionale ed ecologica “. Cioè una rivoluzione.
Pietro Negri dice
Grazie per la risposta. Consiglio un bel libro: Material matters di Thomas Rau e Sabine Oberhuber Edizioni ambiente. La proprietà dei beni resta in capo al produttore per tutta la vita e tutti i materiali rientrano in un “catasto”generale che ne traccia l’esistenza nella prima, seconda, terza, ecc…vita….Il consumatore diventa SOLO un fruitore di servizi e non esiste più la proprietà individuale dei beni. Unica strada ragionevole per cambiare i processi produttivi….Grazie Pietro