Qualcuno a Roma e in altre città ogni tanto si chiede che fine ha fatto il Teatro Valle di Roma, dopo gli anni della straordinaria autogestione. Alcuni si domandano se finalmente un assessore alla cultura come Luca Bergamo, che aveva aderito alla fondazione Teatro Valle Bene Comune, lo ha restituito ai cittadini. Questa lettera di Fulvio Molena all’assessore e vice-sindaco offre diverse risposte, mostra anche il bisogno sempre più diffuso in città di cultura, di partecipazione e di creatività e, allo stesso tempo, il disprezzo di quelli che sono in alto per ciò che si ostina a muoversi in basso

di Fulvio Molena
Gentile Luca Bergamo, assessore alla Cultura e Vice-sindaco, di questa città maltrattata e amministrata ormai da anni, in maniera alquanto imbarazzante. Le devo alcune precisazioni, dopo le dichiarazioni da lei rilasciate il 6 febbraio, in merito al presente del Teatro Valle e soprattutto all’esperienza dei tre anni di Occupazione.
Il Teatro Valle in quei tre anni, non è stato “ una sorta di auto-gestione” come con disprezzo lei definisce l’esperienza; il Teatro Valle Occupato è stata un’esperienza collettiva che ha coinvolto la città intera: attivisti, artisti, spettatori, gente comune, migliaia di persone hanno reso viva, la città di Roma in anni bui e disastrosi, situazione che tra l’altro non è cambiata da quando lei ricopre importanti cariche istituzionali. Il Teatro Valle Occupato è stato partecipazione vera, è stato un teatro aperto, spalancato, disponibile a tutti. Le sue dichiarazioni sul presente e sul futuro del Teatro Valle sono imbarazzanti: sui lavori da fare, parla di “ lavori più corposi da fare” ma non c’è traccia di bando o gara pubblica per fare questi lavori, o quantomeno non c’è stata nessuna comunicazione alla città, nessuna conferenza stampa sullo stato dei lavori e sul progetto artistico; non dice, però, che la prima cosa che avete deciso di fare è smontare la graticcia, patrimonio storico di un teatro del ‘700. Parla artisticamente di “performance non canoniche e istallazioni aperte a piccoli gruppi”, ma non parla delle modalità con cui coinvolgere gli artisti, non parla di lavoro; intuisco che il modello sia quello dei suoi due ultimi meravigliosi capodanni romani: artisti chiamati a lavorare gratis. Vede, lei non ci crederà, ma per noi, fare i tecnici, gli attori, scrivere, montare, girare, creare spettacoli è un lavoro che pretendiamo che sia retribuito.
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Parla poi di una “possibilità di fruizione artistica via streaming dall’Argentina”, e questa sembra una battuta da cabaret. Il teatro per sua natura è uno spettacolo da vivere dal vivo e la sua geniale idea è mandarlo in streaming e con le cuffiette? Mi scusi, ma non riesco che definire queste dichiarazioni come buffonate, come cialtronerie, non degne di un Assessore alla Cultura, ma proprie al massimo del mago Silvan o peggio di Otelma. Oppure, “ riapre il Teatro Valle” è solo un proclama pre-elettorale, basta dirlo.
Le scrivo con distacco, con amarezza, con la constatazione che anche lei, come i suoi predecessori, appena arrivato a ricoprire un importante ruolo istituzionale, si è chiuso nel suo ufficio, e dall’alto del suo studiolo vuole determinare, pontificare e soprattutto non ascoltare, come sta facendo nella vicenda della gestione della rassegna di cinema a Piazza San Cosimato, dove tutta Roma gli chiede di continuare a far funzionare una cosa che è stata bella e viva.
Non riconoscete le esperienze vive, i centri di aggregazione sociale informali che hanno provato a far vivere culturalmente e socialmente questa città e minacciate di sgomberare centri sociali e altri. Capisco, lei fa parte di un partito che parla di legalità come i talebani interpretano il Corano, un partito che parla di partecipazione come si parla nelle riunioni di condominio, un partito che è diventato solo rancore e desolazione.
La invito a uscire dal suo ufficio: la città è vuota, spenta, grigia nonostante il sole continui a sorgere tutti i giorni. Il Teatro Valle Occupato ha cercato una soluzione giuridica, creando uno statuto e una Fondazione di Bene Comune, sottoscritta e finanziata da tutte le persone che lo hanno attraversato e vissuto, per darlo veramente alla città e ai suoi abitanti; un percorso di autonomia, una nuova istituzione dove i costituenti e i gestori fossero i cittadini stessi; uno statuto riconosciuto dai più illustri giuristi italiani, il cui padre ispiratore è il compianto ma mai dimenticato Stefano Rodotà. Fa specie rileggere le sue prime dichiarazioni da Assessore alla cultura: “Occorre prendere lo statuto del Teatro Valle Bene Comune e trattarlo come si fa con il Talmud (…) A me piacerebbe fare una ricostruzione di quel dibattito, per esempio con tutta la discussione sui beni comuni”. Sono parole sue, e lei tra l’altro è socio del T.V.B.C. Le iniziative che ha promosso in questi due anni, sono state tristi, prive di partecipazione, prive di creatività, nascoste alla città. Mi fermo, sarebbero ancora molte le cose da dire e spero che si possa riaprire un confronto vero sull’emergenza culturale che vive questa città e tutto il paese, ma preferisco fermarmi qua. Come racconta questo video girato durante “una sorta di auto-gestione”, noi siamo un corpo collettivo, disperso, frantumato, arrabbiato, ma quando c’incontriamo, ci riconosciamo, ci abbracciamo, ci amiamo, siamo corpo vivo; noi danziamo anche sotto la neve e sotto il sole, noi brevettiamo la felicità, liberi. Ma lei Signor Luca Bergamo può affermare questo?
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