L’indipendentismo catalano intreccia elementi e ragioni storiche, culturali, economiche e politiche, alcune interessanti, altre molto discutibili. Quello che non si può discutere è che ci sia una forte repressione in corso. Le operazioni della Guardia civil, in vista del referendum del 1 ottobre, sono iniziate. Il governo ha mandato in Catalogna 10.000 poliziotti della Guardia Civil, scelta che richiama al franchismo, ospitati in parte su tre navi da crociere italiane, inclusa la Moby Dada decorata con il canarino Titti e il gatto Silvestro. “Minacciano di sigillare i collegi elettorali. La popolazione è organizzata per difenderli e anche a dormirci fino a domenica se fosse necessario – racconta Federico Demaria, ricercatore universitario in economica ecologica a Barcellona, dove aveva partecipato alla straordinarie giornate del movimento 15M – Mentre scrivo l’operazione di polizia è cominciata…”
Cronaca di una giornata elettorale
di Federico Demaria*
Se qualcuno pensa, dice o scrive che il conflitto catalano è facile da capire, direi che non ha capito niente. La questione viene da lontano ed è complessa. L’indipendentismo catalano può apparire all’occhio italiano, sia come una sorta di Lega Nord alla spagnola, che come una forza politica di emancipazione (simile, ma ovviamente diversa a quella dei Kurdi o dei Saharawi). Vivo a Barcellona da dieci anni e cercherò di spiegare quel poco che ho capito. In particolare, cerco di abbozzare il contesto storico, per poi delineare le motivazioni culturali, economiche e politiche ed economiche dell’indipendentismo catalano contemporaneo. Concludo con la questione del referendum dell’1 di Ottobre, con la speranza che ci sia mediazione piuttosto che repressione per affrontare un conflitto politico.
In Catalogna, che ha come capitale Barcellona, vivono 7,5 milioni di persone. Il nome viene usato per la prima volta nel Medioevo, e corrisponde grossomodo alla Contea di Barcelona creata attorno l’anno 800 d.C.. In quegli anni, i musulmani controllano la quasi totalità della penisola iberica sotto il nome di Califatto di Cordoba (o al-Ándalus). Per secoli la Catalogna viene conquistata ripetutamente dai regni vicini (più o meno Francia e Spagna, nella configurazione odierna). È una repubblica indipendente, sotto il protettorato della Francia, tra il 1640 ed il 1652, prima di cadere definitivamente sotto il domino spagnolo nella guerra di successione finita nel 1714. All’epoca, il Re era Filippo V di Spagna (1683 – 1746) della dinastia dei Borbone, che ancora regna in Spagna (oggi il Re è Filippo VI). Il nazionalismo catalano, come lo conosciamo oggi, ha le sue radici nella seconda metà del secolo XIX, ai tempi dell’industrializzazione. Fin dagli inizi, il nazionalismo riceve supporto sia da forze progressiste che conservatrici. Il primo partito catalano è la Lliga Regionalista de Catalunya (1901-1936). Nel 1931 il partito, che ancora esiste, Esquerra Republicana de Catalunya (ERC, Sinistra Repubblicana di Catalogna) sostiene la causa di una repubblica catalana, ma si deve accontentare di ottenere una regione autonoma sotto il nome di Generalitat de Catalunya. Il governo autonomo tra il 1936 ed 1939 viene abolito dopo la vittoria del golpista Francisco Franco. L’autonomia politica venne cancellata e la lingua catalana proibita. Morto Franco nel 1975, la nuova costituzione spagnola del 1978 permette la formazione del nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna nel 1979, simile a quello del 1932 poi abolito sotto la dittatura. Nel 2006 i catalani approvano con un referendum un nuovo Estatut che aumenta l’autonomia del governo, ma la Corte Costituzionale lo boccia. Questo genera parecchia frustrazione, e di conseguenza l’opzione dell’indipendenza dalla Spagna inizia a farsi sempre píù forte. Lo dimostra la crescente partecipazione alla Diada (la festa nazionale catalana) dell’11 Settembre di ogni anno, con 2 milioni di persone secondo gli organizzatori (e 600.000 secondo il governo spagnolo) nel 2012 chiedendo la indipendenza. Nel 2014 si celebra la prima consultazione popolare e nelle elezioni del 2015 la coalizione di partiti indipendentisti vince le elezioni. Ecco come arriviamo al Referendum dell’1 Ottobre 2017.
Per semplificare, direi che ci sono tre principali elementi dell’indipendentismo catalano contemporaneo che hanno a che vedere con la cultura, l’economia e la politica.
Prima di tutto, i catalani sono molto orgogliosi della loro lingua e “cultura”, e si sentono diversi dagli spagnoli. La Catalogna è completamente bilingue, spagnolo e catalano. Chi ha studiato sotto il franchismo (ovvero fino alla fine degli anni Settanta), parla catalano ma non sa scriverlo. Era proibito anche parlarlo. Invece, oggi le scuole sono in catalano. La memoria dell’oppressione franchista è molto viva.
Secondo, c’è una questione economica simile a quella posta dalla Lega Nord degli anni Novanta. La Catalogna rappresenta il 20 per cento del PIL spagnolo, il 16 per cento della popolazione e paga il 23 per cento delle tasse ma riceve a cambio “solo” il 10 per cento degli investimenti. Ci sarebbe quindi un deficit fiscale, tra quello che la Catalogna contribuisce e riceve dalla Spagna. Per esempio, si stima che nel 2015 un catalano ha pagato allo stato Spagnolo 2.600 euro e ne ha ricevuti 2.300. Quindi se la Catalogna fosse indipendente, potrebbe “guadagnare” circa il 10 per cento del suo Pil. Confesso che, nonostante aver studiato economia, la logica esatta di queste stime mi sfugge. Per esempio, in termini energetici la Catalogna dipende completamente da importazioni estere di combustibili fossili, e la sua industrializzazione è stata permessa da flussi migratori di mano d’opera dal sud della Spagna e dall’estero. Quale sia quindi il deficit e il debito non solo economico, ma anche ecologico, è discutibile.
La questione economica è poi certamente stata aggravata dalla crisi finanziera. Nonostante sia stato il governo catalano ad applicare le prime misure di austerità, queste sono poi state giustificate dalla mancanza di finanziarizzazione da parte del governo spagnolo. Sinceramente, mentre posso condividere la questione culturale, preferisco non posizionarmi sulla questione economica.
L’ultima questione sarebbe quella politica. La Spagna è una monarchia ereditaria parlamentare, suddivisa in diciassette comunità autonome (che sarebbero come le regioni in Italia, ma con più autonomia). Le comunità hanno ampie competenze, che includono sanità ed educazione, e allo Stato corrisponde soltanto la legislazione di base. Alcune comunità come i Paesi Baschi e la Catalogna, hanno la propria dinamica politica con i loro partiti regionali. I catalani non si sentono identificati con il governo spagnolo, ora dominato dal Partido Popular di Mariano Rajoy, di destra. Vi è l’ipotesi che se il governo fosse a un livello più basso, sarebbe più democratico. C’è anche l’intenzione di rompere la costituzione del 1978 con la quale molti a sinistra pensano che non sia stata fatta giustizia con il passato franchista (una transazione, piuttosto che una transizione).
In conclusione, anche se queste questioni contribuiscono a capire l’emergere dell’indipendentismo catalano, resto con il dubbio che ci siano questioni più ampie che hanno a che vedere con processi globali, come un certo rifiuto della globalizzazione, e che quindi potenzialmente potrebbe essere validi altrove. C’è chi sostiene che in tutto il mondo, diversi popoli desiderano autogovernarsi, con aspirazioni di democrazia diretta. Vedremo…
Sperando di aver chiarito un po’ le origini dell’indipendentismo catalano, veniamo a oggi. L’attuale governo catalano ha convocato un referendum per l’1 di Ottobre con la domanda: “Vuoi che la Catalogna sia uno stato indipendente in forma di repubblica?” Si o no.
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Il governo catalano, composto dagli indipendentisti, è deciso a celebrare il referendum, e ha approvato una legge ad hoc. Si compone della coalizione Junts per Sí (con Esquerra Republicana de Catalunya, di centro-sinistra, e il Partit Demòcrata Europeu Català, di centro-destra) con la Candidatura d’Unitat Popular, di estrema sinistra. Sono 72 voti in un parlamento con 135 deputati. Contro, con 52 voti, ci sono il Partit dels Socialistes de Catalunya, il Partit Popular de Catalunya e Ciutadanos. Gli altri 11 deputati sono di Podem (il Podemos catalano) stanno in mezzo: non sono a favore dell’indipendenza, ma dicono sì a un referendum.
Con la stessa fermezza il governo spagnolo (in minoranza) del Partido Popular é deciso a impedirlo. Anche il Partido Socialista Obrero Español si oppone, mentre Podemos no. La Corte costituzionale l’ha sospeso. Nelle ultime due settimane, hanno già arrestato funzionari del governo, sequestrato 10 milioni di schede elettorali, chiamato a dichiarare davanti a un giudice 700 tra i quasi 900 sindaci catalani che hanno mostrato il loro appoggio per il referendum. Il governo ha mandato in Catalogna circa 10.000 poliziotti della Guardia Civil (fatto che richiama al franchismo), ospitati in parte su tre navi da crociere italiane. Il governo spagnolo si fida poco della polizia catalana (i mossos) con 16.000 membri. Tralasciamo che una delle navi da crociera, la Moby Dada, è decorata con il canarino Titti e il gatto Silvestro.
Ora si minaccia di sigillare i collegi elettorali, e la popolazione è organizzata per difenderli, ed anche a dormirci fino a domenica se fosse necessario. Mentre scrivo l’operazione di polizia è cominciata.
Sinceramente, io non sono particolarmente indipendentista, ma la repressione non mi è mai piaciuta. Vivo in un paese di 10.000 abitanti, e mi sono iscritto a uno dei Comités de Defensa del Referéndum organizzato dalla CUP (che emulano i Comités de Defensa de la Revolución a Cuba). Sul gruppo di whatsap siamo oltre 250, pronti (si spera) per la resistenza passiva.
I sondaggi dicono che circa l’80 per cento dei catalani pensa che si dovrebbe poter votare. La partecipazione sarebbe di circa il 60/70 per cento, e circa il 50 per cento voterebbe a favore dell’indipendenza. Invece, il 60 per cento degli spagnoli pensa che il referendum non dovrebbe essere permesso. Ecco servito il piatto di un conflitto politico che dubito si possa risolvere con la repressione, ma che invece ha bisogno di mediazione. Staremo a vedere, ma non con le mani in mano.
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Grazie, quasi tutte cose che non sapevo. Un articolo molto chiaro. Ho condiviso su facebook.
La contea di Barcellona nasce nel 878 dC e nel 1137 si estingue nel regno di Aragona, soggetto statale molto più vasto e pluriregionale. Dura quindi solo 259 anni e risale a 900 anni fa. Le ragioni storiche mi sembrano debolucce. Dopo c’è stato solo l’attrito, condivisibile o meno, con i castigliani.
Le ragioni economiche sono, se non ci nascondiamo, molto simili a quelle dei cechi contro gli slovacchi, queste sicuramente poco condivisibili.
In Europa l’estinzione degli stati nazionali, piuttosto che accentuare la frantumazione nazionalistica, accompagnata da una forte autonomia locale mi sembrerebbe un punto di partenza migliore dei referendum per moltiplicare gli stati
Condivido quanto espresso da Beniamino, non mi sembra che l’Europa ed il mondo abbiano bisogno di ulteriori micro-nazioni (per quanto economicamente forti). Ed aggiungo che la lettura che contrapporrebbe una “catalogna democratica e indipendente” ai residui della “Spagna franchista” mi sembra altrettanto deboluccia e fuorviante. La Catalogna vuole tenersi il ricco malloppo che produce e non contribuire più alle casse pubbliche spagnole (piuttosto malgestite ed inevitabilmente più impegnate nelle aree più povere del paese). Se gli elementi del leghismo italiano puzzano di egoismo, quelli catalani non possono profumare a libertà.
Conoscevo la situazione, ma ho apprezzato l’articolo chiaro e senza sbavature.
Grazie *_*
Già. la questione catalana ha radici lontane, dalla caduta di Franco. Considerata l’enorme mole di persone che vogliono il referendum, come si può impedire loro di votare?
Gran bel pezzo.
Tristi stravaganze: a Palermo ricordano bene come alcuni fa Moby Dada è servita anche come hotspot galleggiante al porto… Secondo me Titti e Silvestro dovrebbero ribellarsi e opporsi al costante uso improprio della loro immagine!
“la partecipazione sarebbe di circa il 60/70 per cento, e circa il 50 per cento voterebbe a favore dell’indipendenza” ciò significa che la secessione sarebbe dichiarata da circa il 35% dei catalani. Oggi è il 9 ottobre, abbiamo visto come sono andate le cose, e non sappiamo come andrà a finire, intanto le grandi aziende scappano dalla Catalogna, Ue, Francia e Germani hanno dichiarato che il referendum era illegittimo e lo Stato Catalano non sarebbe stato mai riconosciuto. Ora la Catalogna è in un vicolo cieco, l’eventuale dichiarazione di indipendenza comporterebbe gravi conseguenze per tutti i catalani. Ma a prescindere dal fatto che un referendum per la secessione è un controsenso sia sul piano logico che su quello giuridico, come si poteva pensare che sarebbe stato rappresentattivo un referendum approvato, al massimo, dal 35% dei cittadini catalani?