di Claudia Fanti*
Mi chiedo spesso chi sia oggi il “bravo” insegnante (in particolare della primaria) per il pubblico, parenti e cittadini in generale, per i lavoratori della scuola, dirigenti, personale degli uffici, operatori scolastici.
Tempo fa si stilavano per l’insegnante addirittura elenchi di competenze che arrivavano a superare 150 indicatori. Li ricordo con precisione. Oggi, leggendo libri e riviste, ascoltando opinioni e scorrendo articoli sul web, mi pare che di qualcosa ci si dimentichi (a parte elenchi di competenze spicciole che la brava maestra dovrebbe far acquisire ai ragazzini in bell’ ordine). Mi sembra che tutti siano d’accordo sulla bravura di un docente che dà importanza alla relazione, alla sfera emotiva e affettiva affinché si possano sviluppare apprendimenti di ogni tipo e ciò mi pare perfino ovvio che sia sottolineato. Tuttavia non mi sembra che i più siano interessati (tranne rare eccezioni) al docente che investe anche sullo sviluppo di una corretta espressione linguistica (non mi riferisco al solo insegnante di italiano), in particolare quella orale, che investe sul fornire solide basi matematiche e un buon approccio allo studio della storia e della geografia, queste ultime essenziali per poter collocare i saperi nel tempo e nello spazio, dall’arte all’educazione fisica, alla musica, ecc…).
Se avessi figli o nipoti in età scolare, sarei sconcertata e dubbiosa sul loro futuro di cittadini in grado di farsi ascoltare e di saper ascoltare e capire, soprattutto quando mi capita di udire o leggere un unico e costante leitmotiv, cioè quello che recita più o meno così a diversi livelli di formulazioni più o meno dotte: “l’insegnante deve essere buono, comprensivo, paziente, dare buoni voti, ascoltare tutti e mettersi dalla parte dell’alunno, deve saper usare la tecnologia, conoscere la lingua inglese, capire le esigenze dei ragazzini…”. Mi pare poco, veramente poco. Francamente dopo un’elencazione del genere, che col buon senso condivido, mi stupisco nell’accorgermi che pochissimi si preoccupano di buona sintassi, di arricchimento lessicale, di scritture diversificate per genere e scopi, di ortografia, di riflessione sulla lingua, di cura per le conversazioni e l’orale, di avvio alla comprensione e fruizione di letture di diverso tipo, di avvio alla capacità di sintesi e di rielaborazione, di uso sicuro di dizionari e atlanti (anche cartacei), di poesia… insomma io mi preoccuperei molto anche del cognitivo, del cosa insegna la maestra (o il maestro) relativamente alle sue materie, in quale modo lo fa e che a tutti i bambini e le bambine vengano forniti gli strumenti per crescere linguisticamente in maniera libera ma sensata e in modo che il linguaggio venga arricchito sempre più per far sì che il bambino lo domini e lo utilizzi in modo adeguato alla propria età e alle proprie “dotazioni” di partenza.
Mi pare che a docenti che si occupano di “radici per volare” si pensi molto poco e che le si consideri facili da far attecchire e fortificare, magari possibilmente in tempi veloci e sincopati, apprezzando di contro attività su brevissimi segmenti di diversi saperi non ben collegati fra loro, attività estemporanee, ma di effetto. Mi pare che sovente non ci sia la giusta attenzione per la fatica complessissima della professionalità di chi fa crescere processi che conducono alla costruzione lenta ma duratura di uno strato profondo e solido sul quale poggiare altri strati di conoscenze. In particolare ritengo che proprio l’inserimento dei ragazzini stranieri nelle classi dovrebbe spingere nella direzione di comprendere quanto valore abbia una professionalità, la quale fa sì che insieme gli alunni si confrontino con le difficoltà della lingua italiana in modo cooperativo al fine di dare strumenti per un futuro di pari opportunità.
La mia esperienza mi ha insegnato che tutti possono imparare tutto purché gli adulti capiscano quanto sia valida una figura che dà importanza e valore allo sforzo degli apprendimenti “radicali” e iniziali. Sono questi ultimi infatti che danno fiducia ad alunni e alunne all’interno della comunità, permettono di affrontare tutti gli altri saperi. Ma se può perfino far sorridere un mondo adulto che non comprende in profondità quale sia il valore delle basi, è inaccettabile che una riforma non tenga minimamente conto di ciò, e che non favorisca un ambiente di apprendimento adatto a far fiorire maestre/i e alunni/e, che parla di tutto tranne della figura dell’insegnante che conosce le proprie discipline, crede in esse come base per liberare l’individuo e per il suo riscatto sociale. Agli insegnanti viene chiesto di tutto, tranne che insegnare ciò che vale e per ciò che vale essere sostenuti con leggi a misura di bambino/a.
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