Le lavagne, i registri, le apparecchiature per i laboratori, i computer… Qualcuno farà fatica a crederci ma questa volta, forse, la grande magia si compirà. Tutte le cose che gli avviliti e imbarazzati insegnanti ci hanno spiegato di non poter reperire per le aule in penombra della nostra scuola pubblica potrebbero cessare di essere un problema. Ce le regala un sistema semplice e ingegnoso inventato dal mecenate per antonomasia dell’educazione del nuovo millennio: il supermarket. Come abbiamo fatto a non pensarci prima? Eppure non era difficile. Al giorno d’oggi, chi se non le grandi catene della distribuzione alimentare ha la disponibilità necessaria a investire nella cultura? Loro, solo loro, hanno i soldi. Eppure dovremmo saperlo, glieli diamo noi tutti i giorni… Il “complottista” Pietro Ratto ci spiega cosa spinge Coop o Esselunga a finanziare le scuole e chi tira i fili dell’educazione alimentare nella scuola statale italiana

di Pietro Ratto
Scatolette ammaccate, pacchi e pacchetti sgualciti, banane sempre un po’ verdastre, pomodori sospettosamente rubicondi, verniciati di fresco… Sfilano tutti così, davanti ai miei occhi, spintonandosi l’un l’altro, tutti i prodotti variopinti e chiassosi che mi sono trascinato fin sul nastro trasportatore. Che inesorabile, li spinge dritti dritti nelle sapienti mani dell’annoiata cassiera di turno, ad uno ad uno marchiati da un inesorabile beep. Ha la tessera? Servono sacchetti? Due. Anzi: tre, grazie! La solita routine della spesa al supermercato, insomma..
Poi, improvvisa, fa il suo ingresso la “novità”. Voce impostata, finta cortesia da vero commerciante: ecco i buoni! Li consegni pure alla segreteria della scuola di suo figlio. Serviranno a comprare le attrezzature didattiche necessarie..
E così, come per magia, le lavagne e i registri, le apparecchiature per i laboratori, i computer.. tutte le cose di cui, da tanti anni, soffriamo la mancanza, ora compariranno magicamente nelle nostre aule. Pagate dal mio affezionato supermercato!
Lo sapevo già, è inutile fingere.. Nell’ultimo collegio docenti, a giugno, un dirigente scolastico insolitamente imbarazzato aveva accennato all’eventualità di avvalersi di questi finanziamenti privati. La risposta di molti insegnanti, però, si era rivelata ancora più sconvolgente della sua timida proposta, superando ogni sua aspettativa: ma perché mai abbiamo aspettato finora?
Mia moglie li afferra un po’ incerta, li ficca rapidamente in borsa guardandomi con serietà. Sa fin troppo bene, lei, cosa penso di tutta ‘sta storia. Perché in effetti, c’è poco da dire. Possibile che nessuno si renda conto del pericolo che incombe? Che nessuno intuisca come queste aziende, che ormai così prepotentemente entrano in settori pubblici “delicati” come quelli della Sanità o della Scuola, costituiscano un rischio enorme per quel che resta della nostra democrazia, per le pari opportunità e la libertà delle persone? I signori X fanno più spesa dei genitori di Y perché se lo possono permettere. Dunque, contribuiscono di più al miglioramento della scuola. Trattatemelo bene, il loro figliolo! Con un occhio di riguardo, mi raccomando! Se il nostro istituto adesso ha un laboratorio di Scienze, è più merito loro, che dei signori Y, che – da pezzenti – si servono al Discount. No? Possibile che non ci si chieda cosa spinga Coop o Esselunga a finanziare le scuole? Quali obiettivi di profitto? E con quali soldi? Non vien da pensare che quei buoni scuola saltino fuori da un generalizzato ritocco all’insù dei prezzi? Non vien da riflettere sul fatto che, quindi, le nostre scuole le si stia ristrutturando noi, da bravi “cittadini-consumatori”? Con tutte le tasse che paghiamo per godere di un servizio pubblico “gratuito”, con tutti i ticket sanitari che aumentano di giorno in giorno, con le centinaia di euro di contributo volontario obbligatorio che siamo subdolamente costretti a pagare quando iscriviamo a scuola i nostri figli, con tutto ciò, voglio dire, le nostre aule e i nostri ospedali li stiamo rattoppando coi soldi che ogni giorno spendiamo, facendo la spesa. No?
Li sento già, tutti quanti, gridare al complottista.. Ma che problema c’è? Non è stato proprio il Ministero a dichiarare che i soldi pubblici non basteranno mai a provvedere al fabbisogno della scuola? E allora meno male che ci pensa la Coop, no?

Siamo davvero sicuri che i soldi privati facciano così bene al “pubblico” ed alla collettività? Qualche settimana fa mi sono avventurato nella lettura di The China Study. Dirompente, impressionante! Uno studio capillare, monumentale, fondato su decine di migliaia di dati empirici, che dimostra come le proteine animali in eccesso (a differenza di quelle vegetali) possano esercitare un ruolo determinante nella proliferazione dei tumori. Dieta vegana, ecco l’unica vera, efficace risposta. E non solo al tumore: al diabete, alle malattie auto-immuni, alle cardiopatie, alla leucemia.. Colin Campbell, lo scienziato che così diligentemente, così coraggiosamente, ha condotto gli studi di cui parla nel suo importante saggio, si dilunga proprio sull’influenza che, in America, le case farmaceutiche e le aziende alimentari esercitano sulla ricerca scientifica, sulla formazione dei medici e l’educazione alimentare e sanitaria dei cittadini, sulle teorie nutrizioniste a cui la gente quotidianamente si affida. Risultato? Tutte le sue ricerche boicottate alla grande, a fronte di un continuo lavaggio del cervello dell’opinione pubblica: la carne fa bene, il latte fa bene, una dieta esclusivamente vegetariana non è sufficiente al nostro fabbisogno quotidiano, ecc. La teoria Campbell, insomma, non fa bene. Soprattutto ai bilanci delle multinazionali. Non fa bene a Coca-Cola, a Nestlè, a Mac Donald, ai grandi produttori di carne..
E’ davvero tutta una questione made in USA?
Il 30 marzo scorso Fabio Volo, a Radio Deejay, proprio citando Campbell ha avuto l’ardire di sostenere: il latte fa male. Ha detto proprio così, Volo, collegando il consumo di caseina alla progressione del cancro, così come Campbell sostiene. Ebbene, in men che non si dica si è trovato addosso il Presidente di Assolatte Giuseppe Ambrosi, che ha minacciato querele milionarie alla direzione, con conseguente dietrofront dello stesso dj: Ambrosi, ti prego, ho un bimbo di un anno e mezzo, una donna incinta, ci ho messo tanto a comprare quella casetta… ti do la possibilità di chiamare qui in diretta, così non solo rettifico che non è vero che il latte fa male, ma tu puoi intervenire e mi insegni anche qualcosa..
Come vanno, allora, le cose da noi? Come funziona l’educazione alimentare nelle nostre scuole? Chi sta dietro la cosiddetta Educazione alla Salute da qualche anno così in voga nei nostri istituti pubblici?
Ebbene, sappiate che in prima linea nell’educazione scolastica ad una sana alimentazione risulta esserci una Fondazione chiamata Food Education Italy. Nel 2011, istituendo il Comitato Tecnico Scientifico Scuola e Cibo, il MIUR ha di fatto affidato a questo gruppo, affiancato da altri esperti, l’Educazione alimentare nella Scuola statale. All’interno del Comitato Scuola e Cibo possiamo trovare noti nutrizionisti, a cominciare dalla Presidente FEI Evelina Flachi, docente di Nutrizione per il benessere all’Università di Milano, nonché partecipante al “Tavolo dell’Educazione Alimentare“ della CARTA DI MILANO per EXPO (avevate qualche dubbio?) e membro del Tavolo EXPO SALUTE e del Tavolo EXPO AGROALIMENTARE. Ma tra un tavolo e l’altro, si muovono anche imprenditori come Riccardo Garosci, Forza Italia, già consigliere delegato di Federdistribuzione (nel cui comitato esecutivo spiccano, tra gli altri, marchi come Carrefour, Bennet, Pam, Selex, Esselunga e Auchan), attuale presidente della Commissione ministeriale per l’educazione scolastica alimentare, sì, ma anche ai vertici – così come tutta la sua potente famiglia, un tempo titolare dei supermercati VèGè, poi venduti a Carrefour – della Casa editrice Largo Consumo (ex Cash and Carry), che pubblica l’omonima rivista di alimentazione. Troppi interessi in gioco, pensate? Che dire allora di Giorgio Antonio Arturo Donegani, che di Food Education Italy è l’ex presidente, ma che attualmente è membro dell’Osservatorio Nestlé (la Nestlè, sì: proprio lei; quella delle ripetute infrazioni al codice alimentare dell’OMS, quella che nel 2002 ha addirittura fatto causa all’Etiopia, uno dei Paesi più poveri del mondo, chiedendo un risarcimento di 6 milioni di dollari), nonché del comitato scientifico di Wise Society, magazine diretto dall’editrice Antonella Di Leo, proprietaria di Life Solutions Wisdom ma anche ex direttore marketing della Edilnord (sì, avete capito bene: la mitica società immobiliare di Berlusconi!), attualmente alla guida del settore marketing del Gruppo Paolo Berlusconi* e già account supervisor di Livraghi, Ogilvy & Mother, una tra le più grandi agenzie pubblicitarie del mondo, che tra i suoi clienti vanta (ma dai?) Coca-Cola e Nestlé.
E’ questo, insomma, il Comitato scientifico che dovrebbe insegnare ai nostri ragazzi, in maniera “indipendente”, il corretto modo di alimentarsi? Certo, vi fanno capolino autorevoli esperti come il nutrizionista Paolo Paganelli, ma anche nomi di studiosi forse un po’ meno “disinteressati”, come Cristiano Federico Sandels Navarro, professore universitario ma anche project & business manager presso il Gruppo Gate14 (che si occupa anche di ristorazione), di proprietà dell’imprenditore Mauro Cervini, il quale, tra i molti incarichi, ricopre anche quello di amministratore delegato del Gruppo Montenegro (in mano alla potente Simonetta Seragnoli), che oltre a produrre il noto amaro, controlla Brandy Vecchia Romagna, Olio Cuore, Camomilla Bonomelli, Thé Infré, Polenta Valsugana, Pizza Catarì, Spezie ed Erbe Aromatiche Cannamela. E c’è Francesco Leonardi, dietista ma anche membro del CdA di ADI Onlus, società legata a doppio filo (e ci risiamo) con l’Osservatorio Nestlè. O la partecipante onoraria Anna di Vittorio, insegnante e ricercatrice, ma anche scrittrice di un sacco di testi sull’alimentazione rigorosamente editi dalla Coop. Libri come: Educazione al consumo consapevole: le proposte Coop, uscito nel 1998. Per non parlare di chi figura tra i “Donors” della nostra FEI. Come non notare, ad esempio, la presenza dell’Abbott Laboratories, il colosso farmaceutico di Chicago che ha sedi e stabilimenti in tutti i continenti e che tre anni fa è finito alla sbarra, costretto a sborsare 1,6 miliardi di dollari (comunque non più del 4% del suo bilancio annuale), per aver commercializzato l’antiepilettico Depakote, risultato poco efficace ma, soprattutto, rischioso per la salute?
I soldi privati nella cosa pubblica? Un problema enorme, altroché! Perché mai uno Stato sovrano (ma è proprio questo il punto, no?) dovrebbe delegare alle multinazionali il finanziamento della sua Istruzione o della sua Sanità? Perché non può sovvenzionare direttamente questi delicati settori? (Come dite? “Perché dovrebbe poter esercitare una sovranità sulla propria moneta”?.. Bingo! L’hanno studiata bene, la cosa, no?) Perché uno Stato non può avvalersi di studiosi indipendenti (nutrizionisti, dietisti, ricercatori, scienziati..), svincolati da qualunque contratto o interesse economico nei confronti di aziende private? Un’industria deve far profitti, no? Anche a costo della salute, della verità scientifica, dell’autonomia della ricerca e dell’insegnamento.. Sarà mica per questo che anche i nostri ospedali, le nostre scuole, sono ormai Aziende?

Ma torniamo ancora alla nostra FEI, al Comitato Scuola e Cibo e all’Educazione alimentare a scuola.
Ecco: i protocolli d’intesa, per esempio.. Vediamo un po’.. Ne sono stati firmati molti, per la questione dell’educazione alimentare a scuola, in questi anni.. Con la Coop (l’ultimo nel 2010, siglato dalla Gelmini, ministro di un governo che diceva peste e corna di quelle Coop con cui, evidentemente, non disdegnava fare accordi); con Confindustria, con Expo 2015, con Barilla (ma daiii!).. Ma nel 2011, quando nascono le Linee guida per l’Educazione alimentare nella scuola italiana, con chi lo stipula il protocollo d’intesa la Gelmini, per dare il via al suo Progetto Scuola e Cibo? Ma con Federalimentare, no? Quella presieduta da Luigi Pio Scordamaglia, amministratore delegato di INALCA, società leader in Europa nel settore delle carni bovine (fatturato da 1,3 miliardi di euro) di proprietà del Gruppo Cremonini, nonché vicepresidente di Assocarni e membro del Consiglio di Amministrazione dell’IMS, l’Associazione Mondiale della Carne. Scordamaglia, manco a dirlo, è stato anche consigliere del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per quanto attiene le politiche agroindustriali, con i ministri Gianni Alemanno, Paolo De Castro e Luca Zaia. E che tipo di consigli poteva dare costui ai vari ministri? Incentivare la produzione di soia?
Detta di passaggio, oltre che Federalimentare quel protocollo coinvolge anche Assolatte (il cui presidente, come abbiamo visto, è quel signore pronto a denunciare chiunque sostenga che il latte fa male), Assobibe, Aidepi, Assocarni..
Un bel pasticciaccio, insomma. L’apoteosi del conflitto d’interessi. E noi lì ad aspettar per anni che risolvessero il problema Berlusconi premier/Berlusconi imprenditore?! Ma questi ci sguazzano, ormai, in roba di questo tipo!
Nel suo The China Study Campbell spiega chiaramente come, nel corso delle sue sperimentazioni, egli abbia riscontrato che le proteine animali (presenti nella carne, nelle uova, nei formaggi..), possono essere usate come una specie di interruttore: le inserisci nella dieta e il tumore avanza; le sospendi e il tumore si arresta. E, in molti casi, recede. Ora, mi chiedo: cosa se ne fa, uno Scordamaglia, di un tipo come Campbell, a parte una bella porzione di carne tritata all’albese? Come possiamo aspettarci che una ricerca come quella dello scomodo scienziato americano (che, per inciso, si avvale di una caterva di studi precedenti in perfetta linea con quanto sostiene), possa anche solo esser presa in considerazione da associazioni ed aziende come quelle a cui il MIUR si affida per educare i nostri ragazzi ad una giusta alimentazione? Come potrebbe essere vagliata in modo scientifico e indipendente, da questi signori, l’opportunità di insegnare ai nostri figli a consumare meno carne, latte e formaggi, qualora Campbell avesse davvero ragione? E che speranza abbiamo di veder soddisfatto il nostro diritto di capire, chiaramente e incontrovertibilmente, se studiosi come lui abbiano ragione oppure no? Il nostro diritto a non ammalarci, accidenti! Chi ci può aiutare davvero a comprendere, insomma, quale sia l’alimentazione più corretta e sana da adottare per noi e per i nostri figli, se ad insegnarlo a scuola sono proprio quegli stessi individui che con il cibo – soprattutto certo cibo – costruiscono i loro giganteschi imperi finanziari?
Abbiamo ancora una possibilità di accedere alla verità, nell’era dell’informazione?
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Sulla pericolosa commistione di pubblico e privato nell’Istruzione pubblica italiana, cfr. anche Pietro Ratto, Questa Buona Scuola s’ha da fare, nella Bottega del Barbieri, per la quale è stato scritto anche l’articolo pubblicato qui sopra – naturalmente con il consenso dell’autore – con il titolo: “Quel che mi fai mangiare, mica me lo dai da bere”. Qui, tutti gli altri scritti di Pietro Ratto “in Bottega”.
L’ultimo libro di Pietro Ratto “I Rothschild e gli altri”
Questo libro intende dimostrare come i Rothschild, e le altre dinastie imparentate, abbiano esercitato un’influenza enorme sulla storia del nostro pianeta. Non è assolutamente vero che essere famosi significhi contare davvero qualcosa. Nell’era dei social network, in cui ognuno cerca disperatamente di apparire e di collezionare il maggior numero possibile di amici e di condivisioni, chi davvero esercita un’influenza importante non viene mai, o quasi mai, menzionato. Non c’è nessun accenno, per esempio, alla famiglia Rothschild all’interno dei libri di storia su cui i nostri ragazzi studiano. Questo cognome è quasi sconosciuto. 
Nonostante ciò, questo libro intende dimostrare come i Rothschild e le altre dinastie con cui essi si sono via via imparentati, abbiano esercitato un’influenza enorme sulla storia del nostro pianeta, per lo meno dalla fine del Settecento ad oggi.
Un’indagine quanto mai attuale, che spiega molte cose sul famigerato debito pubblico diventato ormai un’ossessione per milioni e milioni di persone; uno studio che, condotto in parallelo sulle singole grandi famiglie della finanza internazionale, parte da parecchi secoli fa e dimostra che i grandi banchieri e imprenditori del nostro tempo discendono da antichissime stirpi, spesso di sangue reale, i cui esponenti, intorno al diciassettesimo secolo, sembrano essersi improvvisamente resi conto che il tempo dei privilegi dei nobili stava finendo.
E che la nuova partita si sarebbe vinta sul terreno del controllo dell’intera economia mondiale.
Pietro Ratto è su Facebook e su Twitter.
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* Apprendiamo da Paola Sapino, assistente del presidente della PBF Srl (Paolo Berlusconi Finanziaria), che Antonella Di Leo non ricopre più la carica di guida del settore marketing del Gruppo Paolo Berlusconi. Ringraziamo Paola Sapino per la precisazione.
Non se ne può più delle vagonate di merda gratuitamente gettate sulla cooperazione, a proposito od a sproposito. Preferite i padroni?
L’autore mette insieme cani e porci (con rispetto per questi simpatici animali), come Esselunga e Coop: perché non leggersi le contemporanee esternazioni pro Esselunga ed anti Coop del guitto nazionale Beppe Grillo? Mah, ognuno delira a modo suo, siamo in un paese (almeno formalmente) libero !
Coop fa un sacco di campagne solidaristiche, e quelle per la scuola le fa ben da prima della “buona squola” di Renzi. Coop, tra l’altro, fa un sacco di iniziative – centrate sui suoi prodotti – per la tutela dei consumatori, oltre che dei lavoratori dell’agroalimentare. Se lo fa anche qualche privato, non fa certo male.
Ma poi l’autore mette insieme una serie di iniziative delle aziende capitalistiche e delle loro associazioni, coinvolgendo anche Coop (il suo obiettivo principale) che non c’entra. Un po’ più di lucidità non stonerebbe.
La lotta in difesa della proprietà pubblica va condotta con maggiore avvedutezza. Sparare cazzate a raffina non aiuta.
Caro Gigi,
in genere non rispondiamo ai commenti che insultano senza articolare una percentuale pur minima di ragionamenti. Conoscendoti bene da decenni, siamo certi che converrai che “sparate cazzate” o “preferite i padroni?” non è un granché, da quel punto di vista. Facciamo un’eccezione, non solo per la lunga e bella storia di cooperazione sociale che hai scritto in tanti anni ma anche perché su un punto hai ragione.
Non riguarda l’eccellente articolo di Pietro Ratto, dove si parla di relazioni pericolose tra Stato e aziende, di mercificazione della salute e della scuola pubbliche, di supermarket e strategie di marketing sociale. Un articolo che un numero molto elevato di lettori di Comune ha trovato interessante e ha mostrato con evidenza di gradire.
Il punto su cui purtroppo hai ragione sono le vagonate maleodoranti che investono la cooperazione seppellendo straordinarie esperienze concrete (e potenzialità) di mutualità e autogestione con la pura logica del profitto e la criminalità più o meno organizzata. Dagli appalti delle Grandi Opere al business dei migranti.
Questo mare di merda, come sai meglio di noi, Gigi, non piove certo sulla cooperazione per la natura della sua proprietà ma proprio perché, a un certo punto, l’attuale ministro del lavoro lo ricorderà bene, la cooperazione ha abbandonato il pensiero critico e ha smesso di nutrirsi di condivisione e mutualità per diventare banca, compagnia di assicurazioni, supermercato.
Ecco, noi pensiamo che la logica da supermercato faccia male agli agricoltori e ai consumatori, alla cooperazione e ai lavoratori, alla salute e alla società. Forse ti stupirà ma noi non pensiamo che Coop ed Esselunga siano uguali. Non solo, come è evidente, nella proprietà, ma nemmeno nei comportamenti. Li abbiamo accomunati nel titolo – noi della redazione e non l’autore dell’articolo – proprio perché pensiamo che il fatto di essere diversi per aspetti non secondari non può modificare di una virgola il giudizio su una strategia di marketing che non nasce con Renzi ma non ha a che vedere col solidarismo.
Il senso è insomma che quando la Coop viola i diritti dei suoi lavoratori o nuoce all’agricoltura contadina non fa meno danni perché la sua proprietà non è padronale. Sostenerlo, innesca da tempo logiche e processi mostruosi, dalla necessità di competere “con ogni mezzo necessario” in un mercato selvaggio (la grande distribuzione, ad esempio) a quella di lucrare sulla vita dei rifugiati e dei migranti.
La “diversità cooperativa”, tu lo hai fatto a lungo e con tenacia ammirevole, Gigi, va difesa con maggiore avvedutezza. (m.c.).
Ma vi rendete conto di stare diffondendo notizie del tutto infondate e false come “il latte fa male”?
Quando uno “studio” sostiene cazzate si dice che è un incompreso,a causa della perversità delle case farmaceutiche. Così si diffondono in modo irresponsabile dicerie insensate e magari le madri hanno paura di dare il latte ai figli!
il genere umano si è sviluppato mangiando proteine tutte le volte che potevano (selvaggina, soprattutto) e latte o formaggio, da quando c’è l’allevamento, e non morivano certo di cancro.
Invece di diffondere un’educazione alimentare onnivora – qual è l’animale umano – che evidentemente eviti gli eccessi di qualunque alimento.
Sono contrarissima ai finanziamenti privati delle scuole ma questo grazie a dio non c’entra niente col veganismo obbligatorio. Liberi di fare la dieta vegana che si vuole, ma per favore evitate di prendere per oro colato dicerie insensate.
So benissimo che le case farmaceutiche hanno i loro pesantissimi interessi. Non per questo tutta la ricerca scientifica va messa al bando per abbracciare le teorie bislacche dei soliti “scienziati” incompresi che hanno capito tutto da soli, controcorrente, ecc.
Cara Donatella, le “dicerie del tutto infondate”, come le chiami tu, circa la nocività di latte e derivati non sono state messe in circolo da uno sciamano pazzo ma da fior fior di nutrizionisti, chimici, biologi e medici che, in cinquant’anni di ricerche, hanno incontrovertibilmente dimostrato come le proteine e i grassi animali (abbondantemente contenute nel latte soprattutto ma anche, ovviamente, nella carne e nelle uova), siano responsabili di tutte le principali “malattie del benessere” – quelle che tipicamente colpiscono i popoli occidentali – come cancro, diabete, cariopatie di vario genere, malattie autoimmuni ecc… Ferma restando la sacrosanta libertà di scelta di ognuno (nessuno parla di veganismo obbligatorio: Se ti sei presa il disturbo di leggere l’articolo prima di commentarlo, avrai notato che l’autore sostiene che studi come questi non siano presi in considerazione e valutati seriamente perchè ci sono troppi interessi in gioco. Non ha certo sostenuto che vada recepito come un testo sacro), rimane il fatto che la scelta consapevole discende dalla libera e onesta informazione mentre qui – e l’articolo lo spiega bene – le informazioni sono filtrate da chi ha tutto l’interesse a continuare a farci ingollare proteine animali e poi farmaci per curare le patologie che ne derivano. Se è lo stile di vita che scegli consapevolmente sei libera di farlo. Se non lo scegli ma lo subisci acriticamente perchè ti insegnano che è l’unico possibile è un’altra cosa. Le madri invece di spaventarsi potrebbero dare il proprio latte ai figli, come fa qualunque altro mammifero di questo pianeta, e, una volta svezzato, finirla lì. Mi sembra una scelta molto più naturale che non quella di bere e dar da bere il latte materno di un’altra specie animale. Questo sì che siamo gli unici a farlo! Quanto al fatto che “il genere umano si è sviluppato mangiando proteine tutte le volte che potevano e non morivano certo di cancro” sarei curiosa di sapere se te l’ha confidato l’Uomo di Neandertal in persona oo se è una tua autonoma conclusione. Saluti
Salve a tutti, leggo con interesse gli articoli che pubblicate. Ho troppe poche informazioni per rispondere in maniera adeguata a quanto scritto, ma vorrei comunque esprimere il mio punto di vista. Rispetto alla paura che chi fornisca più buoni possa essere facilitato (“signori X fanno più spesa dei genitori di Y perché se lo possono permettere. Dunque, contribuiscono di più al miglioramento della scuola. Trattatemelo bene, il loro figliolo! Con un occhio di riguardo, mi raccomando!…” ), penso che dall’articolo possa venire un buono spunto critico per pensare che i buoni possano essere consegnati in maniera anonima in contenitori di raccolta. Come si può fare per suggerire questo?
Per quel che riguarda il discorso delle proteine animali da più parti si sta evidenziando una coscienza critica in tale senso. Esprimo semplicemente una mia riflessione di buon senso. Non mi meraviglia che degli studi dimostrino una correlazione tra utilizzo di proteine animali e problemi alla salute. Ne ho letti anche io e ne sono intuitivamente certa. Ma una sfumatura la metterei nel senso “quali proteine animali?” Penso ad un bovino, che ha la possibilità di fare la sua vita in un contesto naturale, all’aria aperta, in un ambiente sano, e di nutrirsi degli alimenti che sono adatti a lui. E penso contemporaneamente allo stesso animale, costretto a vivere in spazi estremamente ridotti, in batterie, che viene foraggiato con cibo modificato che non mangerebbe in natura, che viene forzato a cicli di produzione assolutamente innaturali (penso anche a quanto narrativamente, in maniera estremamente incisiva, scriveva Jonathan Coe ne “la famiglia Winshaw”). Il latte e la carne di questi due esseri a mio parere saranno estremamente diversi. Per questo forse, anche quello che diceva Margot, stimola a una riflessione. Forse in passato i cicli di produzione erano diversi e per questo il risultato era diverso, forse ora nutrirsi di proteine animali di un tipo o dell’altro può fare la differenza. grazie per tutti i vostri articoli
Ho letto anch’io quest’estate The China Study e ne sono rimasto colpito, anzi molto colpito tanto che sto cercando di cambiare stile di vita alimentare. Sono contento che Pietro Ratto lo riprenda qui e direi che possiamo partire da questo studio e discuterne su questo sito, render noti i dati principali e pensare a come ampliare la discussione coinvolgendo chi si occupa di alimentazione nelle scuole (e chi educa e insegna) negli ospedali e nelle università. Mi meraviglia ma è solo frutto del mio pregiudizio, che Fabio Volo abbia avuto questa attenzione e questo coraggio ! Un contributo può arrivare da qualsiasi parte…
Comune-info può dare una mano per avviare quest’azione.
Grazie per aver aperto su questo tema.
Buona giornata enzo
hanno inventato l’acqua calda? puro marketing on the man….tutto ciò che spendono lonscaricamno come spese pubblicitarie….esselunga non regala na coppola di minkja