In tutto il mondo da un paio di anni a questa parte osserviamo come l’ideologia dell’homo oeconomicus, individualista e utilitarista, goda di buona salute, ma al tempo stesso che la maggior parte delle volte ci comportiamo come persone che lasciano spazio a valori e pratiche solidali. È l’«economa sottomessa alla società», per dirla con Polanyi. Le nostre giornate, spiega Pablo Guerra, docente all’Università della Repubblica di Montevideo, sono infatti ricche di azioni sottovalutate basate su relazioni come la reciprocità, l’altruismo, la gratuità, oppure influenzate dall’amicizia, dai rapporti di vicinanza. La sfida oggi è mostrare come esiste molta più solidarietà e cooperazione nella vita sociale di quanto siamo disposti a riconoscere. I movimenti di economia solidale e popolare possono alimentare questa sfida sperimentando sforzi di cooperazione tra i suoi diversi attori, di autogestione, di innovazione di servizi, prodotti e parametri del benessere (buen vivir), ma anche attraverso sforzi che riscoprano la storia di questi movimenti e i loro legami internazionali.
1. L’economia ha bisogno di una maggiore solidarietà
Vorrei iniziare con un tema che pur essendo apparentemente ovvio, richiede invece di essere oggetto di analisi imprescindibili. Diciamo che è apparentemente ovvio perché la maggioranza della popolazione può trovarsi d’accordo sul fatto che il mondo in cui viviamo e la nostra economia in particolare son ben lontani da essere solidali. Certamente non voglio soffermarmi su degli aneddoti e intendo invece approfondire un aspetto chiave: dobbiamo distinguere tra la «solidarietà nell’economa» e l’«economia solidale». La prima si riferisce alle diverse manifestazioni di solidarietà in ciascuno dei nostri atti che ripetiamo quotidianamente, i quali dimostrano che in realtà la maggior parte delle volte ci comportiamo come persone che sottomettono l’economia a certi valori e norme sociali, un’economa sottomessa alla società, come diceva Polanyi. Sono atti quotidiani basati su principi o relazioni economiche come la reciprocità, l’altruismo, la gratuità, oppure influenzati da condotte sociali guidate da buone abitudini, dall’amicizia, dai rapporti di vicinanza, ecc. In primo luogo, quindi, dobbiamo evidenziare il fatto che esiste molta più solidarietà nella vita sociale ed economica di quanto siamo disposti a riconoscere.
Indubbiamente, peraltro, i cambiamenti culturali, ideologici, sociologici e economici, originati da certe correnti di liberismo, individualismo e utilitarismo, che si sono concentrati in America latina sotto lo pseudonimo di neoliberismo, hanno ridotto al minimo questi comportamenti solidali e li hanno confinati in certi contesti. Come risultato di tutto ciò, si è venuta determinando una economia mossa fondamentalmente dalla spinta verso il massimo vantaggio possibile. Di conseguenza, siamo in presenza di un mondo sempre più ricco materialmente e sempre più povero di aspetti spirituali. Sempre più ineguale e incapace di risolvere fenomeni drammatici come la povertà estrema, la fame e la cattiva alimentazione, la disoccupazione o il degrado dell’ambiente. È in questo senso che affermiamo che l’economia ha necessità di avere maggiore solidarietà. Tutti gli agenti economici possono e debbono comportarsi in maniera più solidale. È per questo, per esempio, che abbiamo bisogno di Stati più solidali, (ad esempio, realizzando una migliore distribuzione) e di imprese più solidali (ad esempio, promuovendo bilanci sociali e ambientali, che vadano al di la di quelli puramente contabili)
2. L’economia necessita di più economia solidale
Abbiamo quindi detto che si deve distinguere tra la «solidarietà nell’economia» e «l’economia solidale». Adesso vediamo che cosa significa la seconda: è evidente che molti dei nostri atti quotidiani di solidarietà si stanno «istituzionalizzando» e danno luogo a delle organizzazioni che al loro interno cominciano a maneggiare questi valori e questi principi per produrre economia, vale a dire per produrre, distribuire, consumare, risparmiare e svolgere attività finanziarie. Si effettua in tal modo un salto qualitativo, passando da meri comportamenti a una organizzazione imprenditoriale che presenta in se stessa caratteri distintivi rispetto ad altre forme di imprenditorialità. È per questo che noi analisti identifichiamo tre grandi e differenti settori nell’economia – sempre con il proposito di semplificare una realtà molto più complessa – e cioè: il settore pubblico statale, il settore privato capitalista e il settore solidale. Quando diciamo che abbiamo bisogno di «più economia solidale», ci riferiamo alla necessità di avere un settore solidale dell’economia molto più potente, di maggiori dimensioni, più sviluppato, allo scopo di sottrarre spazio agli altri settori nel quadro di una economia pluralista che guadagni in termini di democrazia, di equità e di sostenibilità socio ambientale.
In questo campo le sfide sono molte e variate. La prima di esse richiede di ottenere un aumento del settore in termini di identità, e per riuscirci sarà fondamentale costruire collettivamente questa specifica identità. Inoltre, saranno necessari molti sforzi di cooperazione tra gli attori, perché le cooperative che funzionano in maniera isolata non sono delle vere e proprie cooperative. Quindi parte della sua identità dipende dalla attuazione di questo principio di cooperazione tra attori. Tuttavia il settore ha bisogno di progredire anche nelle strategie come quelle della messa in rete (con misure che rispettino i principi e i valori dell’Economia solidale popolare, Esp), come contenitori e organizzazione delle reti. Richiede di integrare maggiormente la produzione solidale con la finanza solidaria. In definitiva, necessario tracciare strategie settoriali che permettano uno sviluppo del settore, affinché per questa strada si possano avere dei miglioramenti nella democratizzazione dei mercati, oggi sostanzialmente egemonizzati dalle forze capitalistiche.
3. La Eps deve porre maggiore enfasi sulla proposta economica rispetto alle forme organizzative
Un collega francese diceva tempo fa che la differenza tra la mera «economia social» e «l’economia solidale» è che la prima metteva l’accento sulle sue forme giuridiche mentre la seconda lo metteva sui suoi contenuti, vale a dire che mentre la prima si domandava «come ci organizziamo», la seconda si chiedeva «in nome di che cosa ci organizziamo». Credo che questo sia un buon punto di inizio per affrontare la nostra terza sfida: sarà necessario mettere maggiore enfasi sul contenuto che sulla forma.
Purtroppo, molte delle forme classiche dell’economia sociale (cooperative, mutue, associazioni), pur conservando una forma giuridica alternativa a quelle utilizzate delle società per azioni, molte volte sono ad esse molto somiglianti quanto a comportamenti. D’altra parte, esistono numerose esperienze che non hanno assunto forme giuridiche alternative, che però nei fatti operano molto di più secondo principi di solidarietà, e sono per di più molto orientate alla trasformazione. È per questo motivo che molti dei nuovi attori della economia solidale meritano una lettura in cui le forme giuridiche hanno poco significato: mi riferisco ai flussi del commercio equo e solidale, e ai movimenti del consumo responsabile, della sovranità alimentare e anche le iniziative di finanza etica.
Con questo non voglio dire che la personalità giuridica sia un aspetto irrilevante. Di fatto, le formule giuridiche come le cooperative, le mutue e le associazioni dispongono di normative specifiche che garantiscono la realizzazione di certe modalità di azione in materia di distribuzione delle eccedenze o l’esercizio della democrazia, per citare solo due aspetti molto importanti. Ciò che voglio dire è che da un lato possono avere delle esperienze di economia solidale che vanno al di la delle loro forme (molte imprese recuperate e autogestite dai loro lavoratori sono delle società per azioni, ai temi delle imprese recuperate e autogestite è dedicato questo dossier, ndr), dall’altro, che la sola formalità può portare a dei casi che in se non rappresentano alcun avanzamento dal punto di vista di una economia solidale (come succede, per esempio, rispetto alle cosiddette «cooperative truffa»; o come succede quando le cooperative si mimetizzano troppo imitando il comportamento delle grandi imprese di capitali). Quindi, dal punto di vista dei contenuti, nascono delle sfide riguardo alle attuazione del modello di gestione, per non burocratizzare troppo le organizzazioni solidali, ed evitare fenomeni come la «Legge di Ferro della Oligarchia», come un minimo senso di coinvolgimento nelle masse sociali, oppure livelli minimali di partecipazione o ancora la utilizzazione di tecniche di organizzazione del lavoro troppo simili a quelle delle imprese capitaliste, ecc. Esistono anche sfide relative alla gestione dei processi produttivi, in particolare nei confronti del tipo di prodotto o di servizio che forniamo. L’esperienza della finanza solidaria, ad esempio, che promuove nuovi servizi più inclusivi, che applica nuove tecnologie sociali, che inserisce i suoi contratti all’interno di un quadro di certi principi e norme etiche, sono delle innovazioni concrete che devono essere messe in risalto.
4. Abbiamo la necessità di un movimento mondiale, regionale, nazionale e locale che proponga una visione critica del modello egemonico e promuova una economia solidale
Questa quarta sfida si riferisce alla economia solidale nella sua dimensione di movimento sociale, in quanto movimento di idee individuato dall’agitare bandiere vecchie e nuove come la giustizia sociale, la partecipazione democratica, la pariteticità tra i generi o la protezione dell’ambiente.
È per questo che negli ultimi anni abbiamo visto un grande dinamismo in tutto il mondo, che ha dato luogo alla costituzione di reti che vanno dal locale al livello intercontinentale per coinvolgere ai diversi attori che perseguono la realizzazione di un’«altra economia». Lo hanno fatto in genere sotto l’ombrello della «economia sociale e solidale» o «economia social solidale», assumendo in tal modo un carattere aperto e senza ortodossie. Questo movimento deve maturare e crescere ancora più nei prossimi anni. Dovrà stabilire alleanze strategiche con altri movimenti sociali, che su piani diversi mirano ad obiettivi simili, come nel caso dei movimenti ecologisti, pacifisti, sindacali, per la parità dei sessi, per la sovranità alimentare, ecc. Dovrebbe comprendere anche tutte le molteplici manifestazioni della economia solidale: dai vecchi attori fino a quelli più recenti. Un movimento nel quale possono collaborare il mondo accademico e l’economia reale, la società civile organizzata e le politiche pubbliche in corso di elaborazione.
5. L’economia solidale deve conoscere la sua storia
Conoscendo la nostra storia, comprenderemo che le forme associative e comunitarie sono l’essenza dell’essere umano: si trova solidarietà fin dalle origini dell’umanità. Conoscendo la nostra storia valorizzeremo i popoli originari e ci riconosceremo anche come eredi delle loro pratiche comunitarie. Conoscendo la nostra storia ci riconosceremo come facenti parte di un movimento di lavoratori che lottò fin dai suoi inizi contro le peggiori versioni del capitalismo.
È così, per esempio, che i Pionieri di Rochdale affermavano tra i loro principi la necessità di «organizzarsi per cambiare il mondo». Nello stesso senso dobbiamo sottolineare dichiarazioni come quelle dell’ultimo Congresso argentino delle cooperative, che definì il cooperativismo come un sistema alternativo al capitalismo.
6. La scienza economica necessita di una maggiore apertura verso la solidarietà
Questa sfida corrisponde ad altre dimensioni specifiche della economia solidaria: oltre ad essere un settore dell’economia e un movimento di idee, l’economia solidale rappresenta un nuovo paradigma nella costruzione delle scienze economiche.
Qui il problema sta nel fatto che queste scienze negli ultimi decenni sono state molto influenzate dalle correnti di pensiero liberale, individualistiche e utilitariste, che ci hanno fatto credere che tutti ci comportiamo come homo oeconomicus, vale a dire come esseri freddi, calcolatori ed egoisti che ricerchiamo un nostro beneficio il maggiore possibile. Una scienza economica basata su categorie come l’efficienza, la competenza, il profitto, il libero mercato, deregolamentazione; che lascia praticamente fuori dal comportamento economico razionale altre categorie come la fiducia, il cameratismo, la cooperazione, la responsabilità, l’altruismo e la solidarietà. E che ha costruito indicatori il prodotto interno lordo, che dicono ben poco sul reale sviluppo umano, sul sumak kawsay, (il bien vivir o buen vivir) come ben lo definiscono gli ecuadoriani. È giunto il momento di nuovi indicatori, come per esempio quello della Felicità interna lorda, che ha reso popolare il regno del Bhutan; o come i bilanci integrali di impresa; è tempo di nuovi punti di vista che guardino più al bene comune e meno al conseguire la quota più alta possibile di reddito.
Su questo piano la scienza economica dovrà abbeverarsi alle sue fonti, per diventare più economia politica, dialogando con altre discipline e con altre scienze.
Anche le università devono integrare nei loro programmi la prospettiva delle economie solidali. Esistono sufficienti evidenze empiriche relative a come il modo di insegnare l’economia conduca a dei comportamenti fondamentali affini al concetto di homo oeconomicus usato dagli economisti. Quindi le nostre organizzazioni utilizzano dei professionisti che applicano modelli di gestione che sono fortemente in contrasto con gli ideali per i quali furono create.
7. Le imprese solidarie devono riconoscere la loro identità e devono elaborarla per acquistare maggiore forza
Già sul piano microeconomico sono molte le sfide che le nostre imprese devono affrontare. Una di esse prevede di organizzarsi in modo coerente con la propria identità. Come dice Razeto, i due fattori fondamentali di queste imprese sono il lavoro e il fattore C (collaborazione, cooperazione condivisione etc), cioè la razionalità di questi fattori è quella che deve imporsi su tutto il resto. Ciò implica fondamentalmente proteggere e sviluppare la comunità dei soci e delle socie, dei lavoratori e delle lavoratrici che costituiscono il nucleo imprenditoriale. Significa che il gruppo umano dovrà diventare sempre più forte. La mia esperienza è che senza avere alla base un forte gruppo umano, il resto si dissolve. Questo gruppo dovrà imparare a lavorare in modo collettivo, a prendere decisioni in maniera democratica, ad affrontare il dissenso e le diversità. Dobbiamo elaborare molto di più i diversi aspetti della convivenza e del rispetto in una società schiva dove devono primeggiare quelle caratteristiche che Bauman ha definito la «modernità liquida», cioè la spontaneità, la mancanza di compromessi, la sensazione di precarietà e la ostilità a contrapporsi ai progetti collettivi. Il lavoro, quando assume delle categorie organizzative, dovrà rompere con questa cultura da tempo determinata del lavoro salariato considerato in relazione alla dipendenza, in base alla quale spettava al lavoratore accettare senza recriminazioni le decisioni prese dal datore di lavoro.
Nelle organizzazioni solidali che assumono dei lavoratori, per quanto le riguarda, sarà necessario promuovere la massima autogestione possibile, vincolando questi lavoratori alla posizione di associati, ivi incluso la possibilità di sceglierli tra gli associati ogni volta che sia possibile; tutto ciò nel tentativo di rendere più forte il fattore comunitario e di evitare le divisioni tipiche delle imprese capitalistiche.
8. L’economia popolare deve diventare una economia solidale
Dobbiamo avere cura di evitare il discorso di autocompiacimento e romantico che ci porta a vedere in tutta l’economia popolare una economia solidale. Non è così. La realtà è che l’economia popolare comprende atteggiamenti, culture, razionalizzazioni e modelli di fare economia che possono essere molto diversi. Nei nostri settori di economia popolare è possibile trovare dalle pratiche immorali fino alle pratiche più elevate di solidarietà economica.
Su questo piano le sfide sono condurre le iniziative immorali a diventare iniziative moralmente legittimate; portare le attività illegali a diventare attività legali; trasformare le attività che generano dipendenza in attività auto sostenibili; operare con le iniziative individualiste fino a farle diventare attività comunitarie. In sostanza, si tratta di fare della economia popolare una economia solidale.
Ciò significa non solo migliorare l’impatto di queste economie nella soddisfazione delle necessità umane di chi vi partecipa, ma farlo anche attraverso l’inserimento di valori e principi molto diversi. In questo senso diciamo che non possiamo rimanere vincolati alla mera gestione della povertà, ma che invece dobbiamo concepire delle iniziative coinvolgenti, sostenibili ma anche guidate da una matrice di principi che le facciano diventare alternative, ad esempio rispetto alla impostazione imprenditoriale che è stata così in voga nell’ambito degli organismi multilaterali come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale o il Bid.
9. Generare politiche pubbliche consistenti, coerenti e partecipate
Non possiamo trascurare, anche in questa rapida sintesi delle sfide, un paragrafo dedicato alle politiche pubbliche, perché queste – per quanto siano state marginali fino a qualche anno fa – nell’ultimo decennio hanno cominciato a mostrare di avere una importanza fondamentale in molti paesi che si erano resi conto come le strutture comunemente utilizzate per occuparsi delle attività di tipo cooperativo, rimanevano troppo piccole per entrare in contatto con un nuovo panorama molto più ricco e di ampie dimensioni. Io credo che il compito principale che spetta a queste politiche pubbliche è quello della promozione, senza trascurare, ovviamente, l’importanza fondamentale di altri ruoli, come quelli della regolamentazione, della sorveglianza, ecc. Però la funzione principale deve essere quella promozionale, perché la Eps deve avere una visibilità molto maggiore e le energie sociali che possono potenzialmente essere canalizzate da queste attività sono molto rilevanti. Anche se la società civile ha su questi temi un ruolo imprescindibile, le politiche pubbliche possono e devono operare – in continuo dialogo e condivisione con la società civile – per aumentare l’incidenza di questo settore nel complesso dell’economia. Tutto ciò peraltro dovrebbe svolgersi con certa coerenza. Purtroppo, l’esistenza di politiche pubbliche, di leggi relative a questi temi, ecc. serve a poco se lo Stato mette in atto altre politiche che si contrappongono frontalmente al progetto di una economia solidale. Per esempio nei nostri paesi si aprono spesso degli sportelli statali per promuovere la finanza solidale, seguiti da un altro sportello che promuove le attività bancarie tradizionali; uno sportello che facilita la produzione familiare con un altro sportello che agevole gli investimenti di grandi dimensioni; uno che facilita l’agricoltura biologica seguito da un altro che opera in favore dell’agroindustria. In questo senso diciamo che dobbiamo evitare gli Stati che presentano delle identità dissociate.
10. Lavorare per un modello di sviluppo alternativo
Nulla di ciò che facciamo a livello microeconomico e settoriale svolgerà realmente una azione di trasformazione se continuiamo a vivere in un modello di sviluppo orientato esclusivamente alla crescita economica e che non modifichi nella sostanza le basi con le quali furono concepite le nostre economie: il consumismo, l’alienazione, l’emarginazione e il degrado dell’ambiente sono facce diverse di una stessa moneta. Sarà necessario cambiare non solo l’apparenza dell’economia attuale ma anche il suo cuore e la sua colonna vertebrale.
Tutto ciò sarà possibile con la forza della mistica, con la spinta dei valori, con l’energia di una storia che lungi dall’aver raggiunto la sua fase più alta, come credevano alcuni profeti del libero mercato, sta facendone emergere un’altra, costruita tra tutte e tutti, per la felicità nostra e dei nostri figli.
Pablo Guerra è docente e ricercatore presso l’Università della Repubblica di Montevideo, Uruguay. Questo testo è stato preparato per il VI° incontro nazionale della Rete nazionale delle finanze popolari e solidali (Renafipse), ospitato a Quito, in Ecuador, il 22, 23 e 24 novembre 2012.
Per un approfondimento sulla relazione tra economia solidale e decrescita suggeriamo la lettura di Vie di fuga dall’economia. Nella foto (di Alessandro Di Ciommo) in alto, uno stand del mercato EcoSolPop (economia solidale e popolare), promosso dal laboratorio urbano romano Reset al momento presso Scup).
Lascia un commento