La National Association for the Advancement of Colored People ha dimostrato come l’uso del termine ”woke” con l’intento di esortare i neri a essere consapevoli dei sistemi che li opprimono è già documentato negli anni Venti. La parola è tornata a diffondersi grazie al web dieci anni fa con il linguaggio quotidiano del movimento Black Lives Matter. È incredibile quello che è accaduto dopo

Basterebbe poco, cinque minuti o poco più, da quando c’è Internet, ovvero da decenni ormai. Scopri una parola nuova? Magari è in una lingua che non conosci appieno, oppure proviene da una cultura che non ti appartiene? Bene, apri il tuo motorino di ricerca… e già, trascrivi il termine e premi invio, esattamente come fai con tutte le stronzate che cerchi ogni giorno. Ciò malgrado, si preferisce accettare la spiegazione che va per la maggiore, agevolando sistematicamente coloro che con la tua ignoranza ci costruiscono campagne elettorali, vincono elezioni e soprattutto fanno leggi che non solo danneggiano la vita delle persone più vulnerabili, ma stroncano del tutto le coraggiose e faticose iniziative di coloro che cercano di cambiare il mondo in meglio.
Prendi la parola Woke, a mero ed emblematico titolo di esempio.
La cosa che più mi ha rattristato da quando è divenuta di uso comune anche qui da noi è sentirla pronunciare in modo distorto e dispregiativo dalla maggior parte della gente che si definisce di sinistra, tra amici e conoscenti, ma anche personaggi popolari e influenti. Eppure, sarebbe bastato anche qui usare la rete per rendersi conto che i primi a diffondere la strumentale manipolazione semantica e più che mai politica del termine sono stati gruppi di estrema destra, razzisti e bigotti. E alla fine, tutto si è compiuto in modo clamoroso con l’elezione del campione dei campioni di tali venefici soggetti, ovvero la seconda consacrazione di Donald Trump.
Immagino che neppure il più ottimista dei fabbricatori di fake news destrorsi avrebbe potuto credere che sarebbe stato così facile prendere per il culo coloro che avrebbero dovuto distinguersi per essere quelli che gli articoli li leggono fino all’ultima riga, invece che fermarsi al titolo.
Perché mentre alcuni si sono lasciati convincere che essere “woke”, ovvero essersi “svegliati”, riguardasse solo la tv e il cinema, essenzialmente rendendo Capitan America, la Sirenetta e l’Uomo ragno neri, o dando ruoli femminili a personaggi tradizionalmente “machos”, più che maschi, nel frattempo qualcun altro si sfregava le mani perché il vero obiettivo, il bersaglio grosso, era ed è ancora oggi la lotta per i diritti civili delle minoranze e di ogni categoria umana storicamente emarginata.
Quanti artisti, professionisti della satira e comici irriverenti da sempre schierati a sinistra ci sono cascati in tale ennesimo imbroglio, anche da noi. Oppure lo hanno fatto consapevolmente, giacché schierarsi contro le mode del momento è sempre un rischio e bisogna saperlo fare, vedi Lenny Bruce. Perché sia ben chiaro che la moda non è mai stata il Woke, bensì l’Anti-Woke, e non ci vuole un genio per capirlo. D’altronde, confesso che ci trovo molto poco di divertente nella comicità nostrana degli ultimi venti o trent’anni. C’è stato un tempo in cui satira voleva dire prendere per il culo i potenti per far ridere il popolo. Mentre con il passare degli anni è emersa una generazione intera di guitti che fanno esattamente il contrario. Che poi, si prendono gioco nemmeno della gente in generale, ma addirittura di quelle suddette categorie più fragili. E chi se la ride di più? I potenti, già, pensa che triste paradosso.
Ma veniamo alla famigerata parola, già. Provo a fare un po’ d’ordine avvalendomi del sopra citato Internet, grazie come detto a cinque minuti o poco più.
Come spiega in modo chiaro e dettagliato Ishena Robinson, del Fondo di difesa legale della NAACP, la National Association for the Advancement of Colored People (Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore), l’uso del termine ”woke” con l’intento di esortare i neri a essere consapevoli dei sistemi che li danneggiano e li relegano in posizioni di svantaggio è già documentato negli anni Venti, quando il filosofo giamaicano Marcus Garvey, esortava a “svegliarsi” i neri in America, in Giamaica, e altrove per unirsi alla causa del panafricanismo.
Nel ‘38, Lead Belly, musicista Blues statunitense aveva registrato la canzone “Signor Boys”, in cui raccontava la vera storia di quattro giovani neri falsamente accusati di aver violentato una donna bianca a Scottsboro, in Alabama, e successivamente condannati a morte da una giuria tutta bianca, anche se per fortuna sono stati liberati dopo diversi appelli e processi. Nella canzone, Lead Belly dice:
“Consiglio a tutti di stare un po’ attenti quando vanno laggiù (riferendosi all’Alabama). Restate svegli (Stay woke). Tenete gli occhi aperti”.
Nel 1940, dopo aver scoperto che venivano pagati meno delle loro controparti bianche, il leader di un sindacato dei lavoratori minerari neri in West Virginia scrisse: “Stavamo dormendo. Ma ora rimarremo svegliati (woke)”.
Nel mentre, dall’altra parte non se ne stavano mica con le mani in mano e già all’inizio degli anni Sessanta lo scrittore di Harlem William Melvin Kelley iniziò a mettere in risalto come il linguaggio di protesta e di lotta per i propri diritti violati da parte degli afroamericani veniva trafugato, storpiato e manipolato contro di loro dagli stessi avversari. O, meglio, da coloro che si sentivano minacciati dall’avvento di una società più giusta ed egalitaria. “Il linguaggio sembra essere modificato in due modi”, disse Kelley. “E il primo è dare a una parola, già in uso, il suo significato opposto”.
“Ogni volta che i neri cercano di usare una frase o un vocabolo che simboleggiano il loro desiderio di liberazione, alla fine diventerà una parolaccia per i bianchi”, afferma l’autore afroamericano Michael Harriot, e aggiunge: “Come l’espressione potere nero (black power), che la gente ha equiparato al comunismo e al sentimento anti-bianco, e poi alla fine ha dato vita a potere bianco (white power)”.
Pare che la parola woke sia tornata in auge grazie a una canzone del 2008 di Erykah Badu, ma il paradosso è che alcuni sostengono che l’avesse usata su Twitter per sostenere il movimento femminista russo.
La parola si è comunque diffusa di nuovo grazie al web, fino a diventare parte del linguaggio quotidiano del movimento Black Lives Matter nato nel 2013 e di tutti gli sforzi che nel decennio successivo sono stati fatti per sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo al tuttora vigente razzismo istituzionale e legalizzato di cui il nostro Paese è in pratica un avamposto statunitense in Europa.
Ciò ha generato terrore allo stato puro in chi continua con violenza e senza ritegno a difendere strenuamente i propri privilegi. E come per le fake news e la disinformazione che hanno causato danni enormi nel mondo, vedi la Brexit, e facilitato l’avvento di governi xenofobi alimentando l’odio contro le persone migranti, è nata la vera moda che hanno fatto propria in molti nel mondo, anche negli ambienti più inaspettati: Stop Woke, già, un parola buona per mandare a farsi fottere tutto ciò che vorrebbe un mondo migliore. Perché se tieni all’ambiente, che palle, sei woke, tanto andrà tutto a puttane. Se credi che le persone con facoltà di intendere e di volere, con rispetto e consenso reciproci, hanno il dritto di amarsi è roba noiosa, ovvero woke. E se affermi che il mondo sia già un crogiolo di molteplici diversità e preziose unicità, che va solo riconosciuto e valorizzato per quello che è, sei woke, esatto.
Dal canto mio, non so ancora se mi sia sufficientemente “svegliato”, ma non ho perso la speranza. E a chi sostiene di biasimare quest’ultima tirando in ballo cerebrali dissertazioni, dico che lo invidio. Perché la gente come il mio compianto padre, il sottoscritto e le centinaia di disgraziati che ho incontrato fino a oggi in trent’anni di lavoro nei luoghi di cura, non hanno mai goduto del lusso di potersi permettere di rinunciare alla speranza in un domani migliore…
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Alessandro Ghebreigziabiher ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
Stavolta applausi.
Continuerò a deridere e ridere dei fanatici di ogni credo, a partire dai “nostri”.
Gente che imbratta statue di Colombo, che mette la ə pure sulla carbonara (siate maledettəëę), che saluta tutte e tutti, che riscrive i classici del cinema ecc.
Ma intanto li difenderò da ogni becero insulto razzista, omofobo, fascista.
Percularli spetta a noi.
Solo a noi.
bravo!
ti sgenalo anche che se in Italia l’ostracismo politico contro il woke non sembra avere molta importanza è anche perché i politicanti della destra italiana sono del tutto indigenti intllettuali … In Francia è l’ex ministro della pubblica istruzione (macroniano hard) -Jean-Michel Blanquer- ad aver lanciato nell’ottobre del 2021 un think tank contro il “virus wokista” con un esplicito appello a colpire fra altro gli intellettuali di sinistra capofila dell’intersezionalismo woke (fra questi Eric Fassin, minacciatio anche da squadristi fascisti). …