Quello che è accaduto a Ventimiglia nel 2015, con l’autogestione di un luogo di lotta e solidarietà come il presidio permanente No Borders, ha mostrato che non esistono confini, non solo quelli geografici, invalicabili. Sono 13.000 i migranti che hanno attraversato quella frontiera a partire da giugno. La repressione che ha sgomberato il presidio ha finito solo per mostrare come ovunque donne e uomini, migranti e non, possono costruire relazioni sociali diverse. In realtà, come dimostrano molte altre esperienze, la capacità di ricomporre legami e di ribaltare le culture del razzismo ordinario, penetrano anche in spazi più istituzionali. Siamo tornati a Ventimiglia, questa volta nel campo allestito dalla Croce Rossa nei pressi della stazione: quello che manca oggi è la presenza costante di gruppi, associazioni, movimenti che garantiscano l’accesso ai diritti e un po’ di convivialità e che sappiano alternare mediazione e conflitto creativo con gli abitanti della zona. Tuttavia, anche in un campo questo decine di volontari mettono in comune tempo, saperi e voglia di costruire un mondo diverso. Un reportage dell’ultima sera del 2015, tra racconti di viaggi, tombolate, brevi corsi di italiano e Charlie Chaplin
di Marino Ficco
“Che film guardiamo stasera? Jackie Chan?” chiede Samir, un giovane egiziano arrivato a Ventimiglia da tre giorni. “Tempi moderni di Charlie Chaplin… ti piacerà!”, risponde Camila, giovane volontaria della Croce Rossa venuta dal Brasile. È l’ultimo giorno del 2015 anche al campo di transito per migranti allestito dalla Croce Rossa nei pressi della stazione di Ventimiglia.
Fervono già dalla mattinata i preparativi per il veglione di Capodanno. Molti ragazzi circondano incuriositi Arcangelo, missionario scalabriniano da anni al servizio degli uomini e delle donne in marcia per fuggire da conflitti e ingiustizie. Oggi il suo problema più grande è con il proiettore, che ha deciso di non funzionare. Da ore sta cercando di trovare una soluzione e intanto ne approfitta per scambiare due chiacchiere con alcuni ragazzi che gli raccontano il lungo viaggio dall’Afghanistan e dal Pakistan. Affianco a lui Greta, Giulia, Matteo e Anna insegnano un po’ di italiano agli altri ospiti del campo. La prefettura ha autorizzato un piccolo gruppo di Pax Christi a trascorrere il Capodanno con i migranti. Tarek ha appena imparato cos’è un berretto e subito dopo parla a tutti del pakol, il tipico cappello Pashtun che aveva suo padre in Afghanistan. “Ma perché restate con noi solo due giorni? Ci annoiamo tutto il giorno, non abbiamo niente da fare!” si lamenta Sahajahan, che dice di essere un campione di cricket in Bangladesh. Da una settimana si trova a Ventimiglia, l’ultimo comune italiano in Liguria prima della Francia. Insieme a lui altri cento ragazzi vivono nella stessa situazione. Il sindaco Enrico Ioculano si è sempre espresso contrario al campo d’accoglienza temporanea, così come gli abitanti dei condomini della zona, che si lamentano per il disturbo sonoro. Nei giorni scorsi la prefettura ha fatto verifiche per accertare l’eventuale disturbo sonoro agli abitanti della zona con esito negativo.
La frontiera
“Sono circa 13.000 i migranti che hanno attraversato la frontiera nei pressi di Ventimiglia a partire dal mese di giugno 2015”, dice Walter, della Cri di Ventimiglia. Dall’estate scorsa è aumentato il numero di uomini, donne e bambini provenienti da Medio Oriente, Asia e Africa che hanno tentato di raggiungere la Francia ed il nord Europa passando per Ventimiglia. A giugno la risposta della Francia è stata molto dura, con la sospensione degli accordi di Schengen e il ripristino dei controlli alla frontiera in uscita dall’Italia. “Si è arrivati ad avere fino a cinquecento migranti in stazione pronti a tutto per proseguire il loro viaggio. Per questo la prefettura di Ventimiglia ha chiesto alla Croce rossa italiana di aprire un centro d’accoglienza provvisorio per permettere agli uomini in transito di riposarsi e rifocillarsi”, continua Walter, calmo e disponibilissimo nonostante i turni serrati. La Croce Rossa fa un ottimo lavoro per la gestione del campo e l’assistenza sanitaria. Quello che manca è la presenza costante di associazioni, gruppi e movimenti che garantiscano l’accesso ai diritti legali, a un po’ di convivialità e che facciano mediazione con gli abitanti della zona.
Arrivare al campo è facilissimo. Usciti dalla stazione, sulla sinistra una grossa croce rossa disegnata su un’inferriata indica l’ingresso, continuamente presidiato da numerosi uomini delle forze dell’ordine. In un contesto relativamente tranquillo, poliziotti e carabinieri passano il tempo a chiacchierare e a chattare con i loro amici. Intanto i tubi di scappamento perpetuamente accesi per mantenere l’abitacolo caldo liberano nell’aria piccole nubi grigiastre. Superata l’entrata, sulla sinistra si trova una clinica mobile seguita dai bagni. Due piccole porte permettono l’accesso a quattro stanzoni della ferrovia adibiti ad accogliere gli ospiti. Sono divisi tra africani e asiatici (afghani, pakistani e bengalesi), mentre una piccola stanza più riservata accoglie donne e bambini. Superata la tenda refettorio si entra nel regno di Biagio, chef genovese che ha lasciato il suo posto in un hotel del capoluogo ligure per venire a cucinare qui. “Tagliate i peperoni in quattro spicchi, preparate 120 coperti, su su su rapidi con i pomodori”, cucinare per cento persone non è facile ma grazie a lui e ai numerosi migranti che lo aiutano la Croce Rossa garantisce colazione, pranzo e cena equilibrati e di qualità.
Mohamed ha fatto cinquina
Sono le 21,30 e il proiettore non vuole saperne. Il pomeriggio è trascorso tra corsi di italiano, chiacchiere, giochi con e senza palla nell’incredulità dei poliziotti che facevano video da postare su Facebook e mandare agli amici. Dopo cena si passa alla tombola. “Bingo bingo bingo!!” Quando Abdullah si rende conto di aver fatto ambo è visibilmente emozionato. In piedi in uno scrosciare d’applausi ne approfitta per immortalare con un selfie il momento della consegna del premio: due sacchetti di frutta secca. Abdullah è giovanissimo, timido, dice di avere venticinque anni ma ne dimostra meno. La sua storia è identica al protagonista del libro di Fabio Geda “Nel mare ci sono i coccodrilli”. “Bingooooooo!!!” Mohamed, trentenne di Dacca ha fatto cinquina e subito dopo aver ricevuto un panettone ne stacca un pezzo e lo passa agli altri.
Finalmente alle undici Arcangelo riesce a proiettare il film nello stanzone al piano terra. È impressionante vedere come un film muto in bianco e nero di cento anni fa riesca a far ridere, piangere e riflettere dei ragazzi di età, “culture” e vissuti completamente diversi. Arrivata la mezzanotte Assan comincia a danzare al ritmo di canzoni popolari tipiche del Bangladesh. Se i vicini si fossero affacciati ai balconi avrebbero assistito a un bellissimo spettacolo. Ma non è troppo tardi, sono sempre in tempo per affacciarsi.
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